INTERVISTE
Nicoletta Vallorani
Nel tuo libro si parla di violenze sui bambini e chi ti intervista è un orco. Non è che la cosa si mette proprio bene.
Non so. Valuta tu. Ho come la sensazione che si tratti però di orchi diversi. Anche Shrek è imparentato con la categoria. Ma il coefficiente di pericolo per i bambini direi che in quel caso è ridotto.
Affronti il problema della pedofilia ma nel racconto L'ultimo scatto non si capisce bene se il pedofilo è una vittima sacrificale o un'anima tutto sommato persa e dannata.
La realtà non è né bianca né nera ma fatta – io credo – di innumerevoli zone di grigio. Non sono certo la prima a dirlo. E neanche la prima a cercare di costruire una storia fittizia con ganci forti e deliberati col reale. Ci sono delitti che non conoscono salvezza, criminali che siamo incapaci di redimere. Poi, anche lì, a guardar meglio, forse va bene mantenere il dubbio che le cose non siano sempre come appaiono. Specie oggi si fa presto a parlare di pedofilia. E' un'etichetta comoda per i giornali, più comoda e colpevolizzabile della violenza che non finisce nell'omicidio, quella che rimane chiusa nell'ambito della famiglia, che si protrae per anni, e che nessuno scopre mai, perché non vi è un corpo (bambino) del reato, ma solo un corpo solo (SOLO) ferito e violato infinite volte. Qual è la sofferenza peggiore? Me lo chiedo in linea del tutto teorica. In pratica, non so rispondere. Posso ipotizzare una risposta, e scriverci una storia. E questa storia – la mia personale risposta – è L'ultimo scatto.
Tra l'altro questa storia, ormai vecchia come il cucco, che chi ha subìto violenza a sua volta diventa un violentatore non ti sembra un alibi?
Non saprei. Non faccio l'avvocato. E quanto all'età delle storie, non saprei dire se questo serva a renderle, nel reale, più accettabili. Credo che siamo modellati dall'ambiente in cui cresciamo. Credo che qui in Italia sia forse più difficile che un bambino di 10 anni imbracci un fucile, mentre nella striscia di Gaza è più facile che accada. Questo non rende il bambino italiano più buono di quello palestinese. E il fatto che anche questa sia una vecchia storia non la rende più facile da accettare.
In Sputo e il Giustiziere leggo: Il problema è che l'invenzione poggia su una terra solida di realtà, sfarinata dalla parole che non sanno proprio come raccontarla. Come a dire che il mondo è pieno di falsi scrittori e di persone che celebrano il proprio talento senza averlo.
Mi sopravvaluti. E l'autore non coincide sempre col personaggio. Detto questo, credo che escano troppi libri, e troppo pochi siano scritti da scrittori talentuosi. Semplicemente il talento non è il criterio primario sulla base del quale si pubblica un autore.
Una curiosità: nel racconto I libri coi denti, la bambina mongoloide, o diversamente abile come si dice oggi, legge un sacco di libri per l'infanzia, ma non c'è 'Pinocchio'. Un caso?
Sì, un caso, pilotato dal fatto che non ho mai amato molto Pinocchio. Voglio dire che non ho fatto una riflessione sulla cosa. La piccola down legge quello che amo io, ed è una presunzione di scrittrice proiettare tutto questo in una storia. Non è un giudizio letterario su Pinocchio (Dio mio, è perché?). Solo la rivelazione di un'adesione emotiva a quella storia che da parte mia non c'è mai stata, né da bambina né ora.
Tra tante violenze nel tuo libro c'è spazio anche per soprusi di diversa tipologia: come la cattura di alieni che se la fanno con gli umani. Come al dire che il male s'annida dappertutto? E poi, come fai a 'giostrarti' così bene fra generi letterari diversi?
Quella storia è stata inserita nella raccolta perché, seppure trasversalmente, erano implicati dei bambini. Dopo di che, non riesco a dividere in comparti il mio immaginario. E non è difficile, oggi, mescolare i generi letterari. I confini lì son diventati molto permeabili, allo stesso modo in cui altri confini nel reale sono invece diventati più rigidi. Mi piace provare accostamenti strani e vedere cosa succede. Mi piacciono le storie e le persone meticcie. Sono una ricchezza. Dopo di che non so se riesco a 'giostrarmi' bene. Io mi diverto. Se il divertimento riesce, siete voi lettori che dovete dirlo.
Con la serie dedicata a Zoe Libra hai affrontato il 'problema' del serial-killer. Non pensi che quel tipo di personaggio sia passato di moda?
Sapessi quel che è di moda, sarei in testa alla classifica dei libri più venduti. Detto questo credo che nella letteratura, oggi, sia molto di moda un altro tipo di serialità. Ma qui mi taccio, se no finisce che dicono che parlo solo per invidia.
Abbiamo perfettamente capito, e senza fare nomi, condividiamo. E cosa c'è di diverso nel trattare la violenza che il serial killer esercita sulle vittime con quella che si esercita sui bambini?
Nessuna, secondo me. O meglio, nessuna per come la vedo io. Parlo di sopraffazione in entrambi casi. Ed è una sopraffazione il cui esito è ampiamente prevedibile. Come diceva U.K.LeGuin, Quando una cultura ha un grosso fucile e l'altra non ha niente, l'esito dello scontro tra esse è ampiamente prevedibile.
Negli ultimi racconti dell'antologia affronti problemi più politici: come la strage di Piazza Fontana e l'omicidio di Carlo Giuliani. Quando pensi che guarirà questo paese che è l'unico al mondo, oltre le tante nefandezze di cui si rende protagonista, ad avere una commissione stragi?
Molti sono in grado di dire su questa faccenda cose più intelligenti di quelle che potrei dire io. Il problema è che a parlare siam bravi tutti. Ci manca il fare, allora istituiamo commissioni, dilazioniamo le soluzioni, cogliamo tutte le sfumature ... e andiamo avanti per decenni a non prendere alcuna posizione. Nella speranza, a mio parere, che tutti dimentichino. La commissione stragi indaga su tragedie delle quali gli studenti cui faccio lezione all'università quasi non hanno memoria. Questo dà una misura empirica di quanto sia sbagliato tutto ciò. E' sbagliato dimenticare nel quotidiano quel che è accaduto, tanto quanto è sbagliato delegare una commissione a imbastire decenni di riflessioni su quello che nel quotidiano non siamo capaci di ricordare. Ma appunto lo diceva Voltaire, mi pare: Non è la storia a ripetersi, solo l'uomo.
Non so. Valuta tu. Ho come la sensazione che si tratti però di orchi diversi. Anche Shrek è imparentato con la categoria. Ma il coefficiente di pericolo per i bambini direi che in quel caso è ridotto.
Affronti il problema della pedofilia ma nel racconto L'ultimo scatto non si capisce bene se il pedofilo è una vittima sacrificale o un'anima tutto sommato persa e dannata.
La realtà non è né bianca né nera ma fatta – io credo – di innumerevoli zone di grigio. Non sono certo la prima a dirlo. E neanche la prima a cercare di costruire una storia fittizia con ganci forti e deliberati col reale. Ci sono delitti che non conoscono salvezza, criminali che siamo incapaci di redimere. Poi, anche lì, a guardar meglio, forse va bene mantenere il dubbio che le cose non siano sempre come appaiono. Specie oggi si fa presto a parlare di pedofilia. E' un'etichetta comoda per i giornali, più comoda e colpevolizzabile della violenza che non finisce nell'omicidio, quella che rimane chiusa nell'ambito della famiglia, che si protrae per anni, e che nessuno scopre mai, perché non vi è un corpo (bambino) del reato, ma solo un corpo solo (SOLO) ferito e violato infinite volte. Qual è la sofferenza peggiore? Me lo chiedo in linea del tutto teorica. In pratica, non so rispondere. Posso ipotizzare una risposta, e scriverci una storia. E questa storia – la mia personale risposta – è L'ultimo scatto.
Tra l'altro questa storia, ormai vecchia come il cucco, che chi ha subìto violenza a sua volta diventa un violentatore non ti sembra un alibi?
Non saprei. Non faccio l'avvocato. E quanto all'età delle storie, non saprei dire se questo serva a renderle, nel reale, più accettabili. Credo che siamo modellati dall'ambiente in cui cresciamo. Credo che qui in Italia sia forse più difficile che un bambino di 10 anni imbracci un fucile, mentre nella striscia di Gaza è più facile che accada. Questo non rende il bambino italiano più buono di quello palestinese. E il fatto che anche questa sia una vecchia storia non la rende più facile da accettare.
In Sputo e il Giustiziere leggo: Il problema è che l'invenzione poggia su una terra solida di realtà, sfarinata dalla parole che non sanno proprio come raccontarla. Come a dire che il mondo è pieno di falsi scrittori e di persone che celebrano il proprio talento senza averlo.
Mi sopravvaluti. E l'autore non coincide sempre col personaggio. Detto questo, credo che escano troppi libri, e troppo pochi siano scritti da scrittori talentuosi. Semplicemente il talento non è il criterio primario sulla base del quale si pubblica un autore.
Una curiosità: nel racconto I libri coi denti, la bambina mongoloide, o diversamente abile come si dice oggi, legge un sacco di libri per l'infanzia, ma non c'è 'Pinocchio'. Un caso?
Sì, un caso, pilotato dal fatto che non ho mai amato molto Pinocchio. Voglio dire che non ho fatto una riflessione sulla cosa. La piccola down legge quello che amo io, ed è una presunzione di scrittrice proiettare tutto questo in una storia. Non è un giudizio letterario su Pinocchio (Dio mio, è perché?). Solo la rivelazione di un'adesione emotiva a quella storia che da parte mia non c'è mai stata, né da bambina né ora.
Tra tante violenze nel tuo libro c'è spazio anche per soprusi di diversa tipologia: come la cattura di alieni che se la fanno con gli umani. Come al dire che il male s'annida dappertutto? E poi, come fai a 'giostrarti' così bene fra generi letterari diversi?
Quella storia è stata inserita nella raccolta perché, seppure trasversalmente, erano implicati dei bambini. Dopo di che, non riesco a dividere in comparti il mio immaginario. E non è difficile, oggi, mescolare i generi letterari. I confini lì son diventati molto permeabili, allo stesso modo in cui altri confini nel reale sono invece diventati più rigidi. Mi piace provare accostamenti strani e vedere cosa succede. Mi piacciono le storie e le persone meticcie. Sono una ricchezza. Dopo di che non so se riesco a 'giostrarmi' bene. Io mi diverto. Se il divertimento riesce, siete voi lettori che dovete dirlo.
Con la serie dedicata a Zoe Libra hai affrontato il 'problema' del serial-killer. Non pensi che quel tipo di personaggio sia passato di moda?
Sapessi quel che è di moda, sarei in testa alla classifica dei libri più venduti. Detto questo credo che nella letteratura, oggi, sia molto di moda un altro tipo di serialità. Ma qui mi taccio, se no finisce che dicono che parlo solo per invidia.
Abbiamo perfettamente capito, e senza fare nomi, condividiamo. E cosa c'è di diverso nel trattare la violenza che il serial killer esercita sulle vittime con quella che si esercita sui bambini?
Nessuna, secondo me. O meglio, nessuna per come la vedo io. Parlo di sopraffazione in entrambi casi. Ed è una sopraffazione il cui esito è ampiamente prevedibile. Come diceva U.K.LeGuin, Quando una cultura ha un grosso fucile e l'altra non ha niente, l'esito dello scontro tra esse è ampiamente prevedibile.
Negli ultimi racconti dell'antologia affronti problemi più politici: come la strage di Piazza Fontana e l'omicidio di Carlo Giuliani. Quando pensi che guarirà questo paese che è l'unico al mondo, oltre le tante nefandezze di cui si rende protagonista, ad avere una commissione stragi?
Molti sono in grado di dire su questa faccenda cose più intelligenti di quelle che potrei dire io. Il problema è che a parlare siam bravi tutti. Ci manca il fare, allora istituiamo commissioni, dilazioniamo le soluzioni, cogliamo tutte le sfumature ... e andiamo avanti per decenni a non prendere alcuna posizione. Nella speranza, a mio parere, che tutti dimentichino. La commissione stragi indaga su tragedie delle quali gli studenti cui faccio lezione all'università quasi non hanno memoria. Questo dà una misura empirica di quanto sia sbagliato tutto ciò. E' sbagliato dimenticare nel quotidiano quel che è accaduto, tanto quanto è sbagliato delegare una commissione a imbastire decenni di riflessioni su quello che nel quotidiano non siamo capaci di ricordare. Ma appunto lo diceva Voltaire, mi pare: Non è la storia a ripetersi, solo l'uomo.
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