INTERVISTE
Nino G. D'Attis
Intanto ci dici cosa hai fatto prima di approdare alla letteratura?
Operaio, contadino, critico musicale, Dj radiofonico, musicista...in realtà non ricordo un vero e proprio "prima" della scrittura perché da piccolo inventavo balle colossali, lavoravo di fantasia con chiunque avessi di fronte: mio fratello, i miei genitori, la maestra delle elementari...Poi mettevo giù una storiella su un foglio di quaderno, la illustravo (malissimo, mai saputo disegnare) e tentavo di convincere l'edicolante del mio paese a venderla. Copia unica, al prezzo di un Alan Ford dell'epoca.
Sei uno dei responsabili della web-zine www.blackmailmag.com e tra le altre cose parli anche di libri. La domanda che ti faccio in qualche modo riguarda anche il sottoscritto: come riesci a combinare il ruolo di scrittore con quello di recensore? Non è un atteggiamento schizofrenico?
E chi lo nega! Ma ho una mia regola: leggo e di conseguenza recensisco poco e niente mentre sto lavorando ad un nuovo romanzo. Vuoi perché per forza di cose mi ritrovo immerso in un mare di letture che hanno qualche attinenza con la storia che sto scrivendo (nel caso di Mostri per le Masse, avevo sulla scrivania la Bibbia, diversi testi di patologia forense e Come un'onda che sale e che scende di William T. Vollmann), vuoi perché mi tengo a prudente distanza dai romanzi degli altri: non voglio che altre narrazioni confluiscano in quella che io ho nella pancia. Durante i due anni che ci sono voluti per finire questo libro mi sono eclissato quasi totalmente da Blackmailmag e da altre testate che normalmente ospitano i miei testi critici. Le conseguenze le ho viste dopo: una stanza intera di libri acquistati o ricevuti. Tutti intonsi.
Negli anni '80 il nume tutelare della 'nuova' letteratura era Tondelli. In questi anni tumultuosi, dove il noir in qualche modo ha scalzato il mainstream, il faro guida sembra essere De Cataldo e il suo 'Romanzo criminale'. Tu lo citi anche nel libro. Pensi che tutto ciò sia vero e attendibile?
Ho voluto fare un piccolo omaggio a De Cataldo e al suo bellissimo romanzo, tutto qui. Personalmente posso dirti che i miei numi tutelari sono quasi tutti morti e che attualmente, almeno in Italia, non vedo grandi impennate di genio. Ci sono autori che apprezzo e stimo molto, è vero: De Cataldo è tra questi, come pure Massimo Carlotto. Altri invece si limitano a domandarsi come fare, come riuscire ad essere piuttosto che rischiare. Stanno lì immobili, al calduccio, rinunciando a porsi delle domande vere per poi rilanciarle debitamente in faccia a chi legge. In questo senso il più giovane e fresco tra noi tutti è Andrea Camilleri.
Nel tuo romanzo i poliziotti non ci fanno bella figura, violenti e corrotti. Quanta di questa impostazione deriva da una tradizione 'consolidata', penso ai personaggi di Ellroy o di Lehane, e quanta invece da una considerazione tutto sommato giustificata che il più pulito c'ha la rogna?
Non è esattamente così che stanno le cose. Hai presente Platoon, il film di Oliver Stone? Ecco uno dei riferimenti fissi che avevo mentre stavo scrivendo questo romanzo. Padri buoni e padri cattivi, i padri che uno si sceglie o si ritrova nella vita. Prima ancora di essere un film sul Vietnam, Platoon guarda al nemico che ti ritrovi accanto, che magari veste la tua stessa divisa. Mentre facevo le ricerche mi è capitato di parlare con alcuni poliziotti, di ascoltare le loro confidenze, i loro sfoghi. Nego che nel mio libro ci siano solo sbirri marci. I buoni, questo sì, hanno più che altro un ruolo da testimoni. Sono dei crociati che prendono uno stipendio da fame, fanno turni massacranti, cercano di salvaguardare un po' della propria salute mentale e dei propri ideali per non diventare come certi loro colleghi che arrivano alla pensione dipendenti dagli psicofarmaci e con qualche scheletro di troppo nell'armadio.
Nel libro ad un certo punto tenti di abbozzare una sorta di sociologia politica: quello che è accaduto nel passato, per quanto inquietante, non ha valore di fronte al pericolo del terrorismo internazionale. Ma le cose stanno davvero così?
Au contraire! Il passato è importante. Sempre. È qualcosa che in un modo o nell'altro incide sul nostro futuro perché ti mette al tappeto soprattutto quando lascia affiorare un iceberg di brutti ricordi. È un assalto crudele, eppure noi non siamo quasi mai disposti ad imparare qualcosa dagli errori commessi in precedenza. È il nostro fallimento come singoli e come parte della collettività. Ecco cosa alimenta le paranoie pubbliche o private. Ecco cosa inietta carburante fresco tra le fila di chi il terrorismo senza frontiere lo pratica o lo propaganda come arma di coercizione di massa anche attraverso il sistema dell'informazione.
Vlad il russo, pedina importante della storia e di traffici illeciti, ad un certo punto afferma: sarebbe un errore da dilettanti ridurre solo alla politica ciò che facciamo. Ci spieghi meglio il concetto?
Il diavolo dice un sacco di bugie, non è vero? È il suo mestiere. Però c'è qualcosa di attendibile anche in un'affermazione del genere, suppongo. Tutto è politica, ma anche no: il piacere che si prova attraverso l'inganno, la sopraffazione dell'altro, il terrore cieco che riesci a instillare nel prossimo tuo ha a che fare sia con il concetto di potere che con l'assioma uccido, ergo esisto. Vlad è una rockstar del crimine su larga scala: non riconosce alcun tabù, se non quello del declino, di un drastico calo di popolarità. ''La Vanità è decisamente il mio peccato preferito'', diceva Al Pacino in una scena de L'avvocato del diavolo.
Si racconta che Verga, ad un certo punto della sua 'carriera' letteraria, abbia cambiato stile di scrittura dopo aver letto gli stringati resoconti dei diari di bordo delle navi. A cosa dobbiamo il tuo stile secco, senza fronzoli e diretto?
Buona parte del romanzo è nata per strada, assimilando suoni, odori e anche parole, modi di dire che mi arrivavano da Roma. Ogni città è un'entità capace di rivelarti qualcosa di giorno e di notte, basta avere la giusta predisposizione a muoversi e registrare. Lo scrittore è un'antenna che capta il modo di parlare, di vivere del tempo che sta raccontando. C'è stato come un clic nella mia testa, ho capito che questa storia, questi personaggi mi avrebbero parlato in maniera più onesta e diretta se avessi camminato di notte per la Caput piuttosto che se fossi rimasto comodamente seduto nella mia stanza. Durante le ultime due stesure poi ho lavorato molto per sottrazione togliendo il più possibile tutto ciò che per me era superfluo o ridondante. Ho perseverato fino ad ottenere il mood giusto per la storia che avevo in testa.
Si diceva prima che fai anche il recensore di libri. Indicacene un paio, recenti, che ritieni imprescindibili.
Il Castello nella Foresta di Norman Mailer e La Ricerca della Felicità di Michel Houellebecq.
Operaio, contadino, critico musicale, Dj radiofonico, musicista...in realtà non ricordo un vero e proprio "prima" della scrittura perché da piccolo inventavo balle colossali, lavoravo di fantasia con chiunque avessi di fronte: mio fratello, i miei genitori, la maestra delle elementari...Poi mettevo giù una storiella su un foglio di quaderno, la illustravo (malissimo, mai saputo disegnare) e tentavo di convincere l'edicolante del mio paese a venderla. Copia unica, al prezzo di un Alan Ford dell'epoca.
Sei uno dei responsabili della web-zine www.blackmailmag.com e tra le altre cose parli anche di libri. La domanda che ti faccio in qualche modo riguarda anche il sottoscritto: come riesci a combinare il ruolo di scrittore con quello di recensore? Non è un atteggiamento schizofrenico?
E chi lo nega! Ma ho una mia regola: leggo e di conseguenza recensisco poco e niente mentre sto lavorando ad un nuovo romanzo. Vuoi perché per forza di cose mi ritrovo immerso in un mare di letture che hanno qualche attinenza con la storia che sto scrivendo (nel caso di Mostri per le Masse, avevo sulla scrivania la Bibbia, diversi testi di patologia forense e Come un'onda che sale e che scende di William T. Vollmann), vuoi perché mi tengo a prudente distanza dai romanzi degli altri: non voglio che altre narrazioni confluiscano in quella che io ho nella pancia. Durante i due anni che ci sono voluti per finire questo libro mi sono eclissato quasi totalmente da Blackmailmag e da altre testate che normalmente ospitano i miei testi critici. Le conseguenze le ho viste dopo: una stanza intera di libri acquistati o ricevuti. Tutti intonsi.
Negli anni '80 il nume tutelare della 'nuova' letteratura era Tondelli. In questi anni tumultuosi, dove il noir in qualche modo ha scalzato il mainstream, il faro guida sembra essere De Cataldo e il suo 'Romanzo criminale'. Tu lo citi anche nel libro. Pensi che tutto ciò sia vero e attendibile?
Ho voluto fare un piccolo omaggio a De Cataldo e al suo bellissimo romanzo, tutto qui. Personalmente posso dirti che i miei numi tutelari sono quasi tutti morti e che attualmente, almeno in Italia, non vedo grandi impennate di genio. Ci sono autori che apprezzo e stimo molto, è vero: De Cataldo è tra questi, come pure Massimo Carlotto. Altri invece si limitano a domandarsi come fare, come riuscire ad essere piuttosto che rischiare. Stanno lì immobili, al calduccio, rinunciando a porsi delle domande vere per poi rilanciarle debitamente in faccia a chi legge. In questo senso il più giovane e fresco tra noi tutti è Andrea Camilleri.
Nel tuo romanzo i poliziotti non ci fanno bella figura, violenti e corrotti. Quanta di questa impostazione deriva da una tradizione 'consolidata', penso ai personaggi di Ellroy o di Lehane, e quanta invece da una considerazione tutto sommato giustificata che il più pulito c'ha la rogna?
Non è esattamente così che stanno le cose. Hai presente Platoon, il film di Oliver Stone? Ecco uno dei riferimenti fissi che avevo mentre stavo scrivendo questo romanzo. Padri buoni e padri cattivi, i padri che uno si sceglie o si ritrova nella vita. Prima ancora di essere un film sul Vietnam, Platoon guarda al nemico che ti ritrovi accanto, che magari veste la tua stessa divisa. Mentre facevo le ricerche mi è capitato di parlare con alcuni poliziotti, di ascoltare le loro confidenze, i loro sfoghi. Nego che nel mio libro ci siano solo sbirri marci. I buoni, questo sì, hanno più che altro un ruolo da testimoni. Sono dei crociati che prendono uno stipendio da fame, fanno turni massacranti, cercano di salvaguardare un po' della propria salute mentale e dei propri ideali per non diventare come certi loro colleghi che arrivano alla pensione dipendenti dagli psicofarmaci e con qualche scheletro di troppo nell'armadio.
Nel libro ad un certo punto tenti di abbozzare una sorta di sociologia politica: quello che è accaduto nel passato, per quanto inquietante, non ha valore di fronte al pericolo del terrorismo internazionale. Ma le cose stanno davvero così?
Au contraire! Il passato è importante. Sempre. È qualcosa che in un modo o nell'altro incide sul nostro futuro perché ti mette al tappeto soprattutto quando lascia affiorare un iceberg di brutti ricordi. È un assalto crudele, eppure noi non siamo quasi mai disposti ad imparare qualcosa dagli errori commessi in precedenza. È il nostro fallimento come singoli e come parte della collettività. Ecco cosa alimenta le paranoie pubbliche o private. Ecco cosa inietta carburante fresco tra le fila di chi il terrorismo senza frontiere lo pratica o lo propaganda come arma di coercizione di massa anche attraverso il sistema dell'informazione.
Vlad il russo, pedina importante della storia e di traffici illeciti, ad un certo punto afferma: sarebbe un errore da dilettanti ridurre solo alla politica ciò che facciamo. Ci spieghi meglio il concetto?
Il diavolo dice un sacco di bugie, non è vero? È il suo mestiere. Però c'è qualcosa di attendibile anche in un'affermazione del genere, suppongo. Tutto è politica, ma anche no: il piacere che si prova attraverso l'inganno, la sopraffazione dell'altro, il terrore cieco che riesci a instillare nel prossimo tuo ha a che fare sia con il concetto di potere che con l'assioma uccido, ergo esisto. Vlad è una rockstar del crimine su larga scala: non riconosce alcun tabù, se non quello del declino, di un drastico calo di popolarità. ''La Vanità è decisamente il mio peccato preferito'', diceva Al Pacino in una scena de L'avvocato del diavolo.
Si racconta che Verga, ad un certo punto della sua 'carriera' letteraria, abbia cambiato stile di scrittura dopo aver letto gli stringati resoconti dei diari di bordo delle navi. A cosa dobbiamo il tuo stile secco, senza fronzoli e diretto?
Buona parte del romanzo è nata per strada, assimilando suoni, odori e anche parole, modi di dire che mi arrivavano da Roma. Ogni città è un'entità capace di rivelarti qualcosa di giorno e di notte, basta avere la giusta predisposizione a muoversi e registrare. Lo scrittore è un'antenna che capta il modo di parlare, di vivere del tempo che sta raccontando. C'è stato come un clic nella mia testa, ho capito che questa storia, questi personaggi mi avrebbero parlato in maniera più onesta e diretta se avessi camminato di notte per la Caput piuttosto che se fossi rimasto comodamente seduto nella mia stanza. Durante le ultime due stesure poi ho lavorato molto per sottrazione togliendo il più possibile tutto ciò che per me era superfluo o ridondante. Ho perseverato fino ad ottenere il mood giusto per la storia che avevo in testa.
Si diceva prima che fai anche il recensore di libri. Indicacene un paio, recenti, che ritieni imprescindibili.
Il Castello nella Foresta di Norman Mailer e La Ricerca della Felicità di Michel Houellebecq.
CERCA
NEWS
-
6.12.2024
Giovanni Mariotti
La Biblioteca della Sfinge. -
12.11.2024
La nave di Teseo.
Settembre nero. -
12.11.2024
Tommaso Pincio
Panorama.
RECENSIONI
-
Giovanni Mariotti
I manoscritti dei morti viventi
-
Roberto Saporito
Figlio, fratello, marito, amico
-
Ivo Scanner
Monga - L'isola del dottor Viskorski
ATTUALITA'
-
La Redazione
Buon Natale e buon Anno.
-
Ettore Maggi
La grammatica della Geopolitica.
-
marco minicangeli
CAOS COSMICO
CLASSICI
CINEMA E MUSICA
-
Marco Minicangeli
La gita scolastica
-
Marco Minicangeli
Juniper - Un bicchiere di gin
-
Lorenzo Lombardi
IL NERD, IL CINEFILO E IL MEGADIRETTORE GENERALE
RACCONTI
-
Luigi Rocca
La passeggiata del professor Eugenio
-
Fiorella Malchiodi Albedi
Ad essere infelici sono buoni tutti.
-
Roberto Saporito
30 Ottobre