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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Michele Pescina

No easy way out

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Una canzone di un film, Rocky 3 o 4, non ricordo bene, diceva che non esiste una via d’uscita semplice. Non so a cosa si riferisse la canzone, io ho sempre pensato che fosse una sentenza applicabile quasi a qualunque cosa. Non c’è una via d’uscita semplice. Come si fa a confutare una frase così? Non la si confuta infatti, la si assorbe lentamente, la si digerisce e poi la si mette in atto all’occorrenza. Un po’ come un eroe che non sapeva di avere un potere speciale ma, al momento del bisogno, riesce a risvegliare quella forza che aveva sempre tenuto celata.
Me ne stavo a riflettere su No easy way out in camera mia, il film l’avevo visto almeno tre volte prima di quella sera. Chissà perché, proprio quella sera, mi era rimasta impressa quella canzone.
- Tal, mi aiuti a preparare la cena?
Jess inviava un segnale di soccorso dalla cucina. Jess sapeva sempre scegliere il momento giusto per interromperti sul più bello. Era un’abilità, e per quanto fosse fastidiosa le andava riconosciuto il merito.
- Dannazione Jess, stavo per cavarne fuori qualcosa di profondo.
Le dissi in tono ironico.
- Di nuovo con questa storia. Quando e se riuscirai a pensare a qualcosa di davvero profondo, con tutta probabilità i morti si risveglieranno e preparerai la cena da solo.
Il tono ironico non era arrivato a destinazione.
- Piccola così mi demoralizzi, cosa mangiamo stasera? Pensare tanto mi mette appetito, sai com’è…
- Non chiamarmi così, mi sembri uno zotico, tieni d’occhio la padella sul fornello. Io apparecchio la tavola.
There’s no easy way out. Agli ordini signora.
Mi lanciò uno sguardo di quelli cattivi davvero. Decisi di accantonare l’ironia, almeno per quella sera. Io e Jess vivevamo insieme in un bilocale ricavato da due locali commerciali, era il meglio che si potesse trovare all’epoca sulla quinta Ruijen. I prezzi degli affitti in tutta la zona del Majesil erano crollati e, quando qualcuno decideva di affittare, era perché aveva chiuso il proprio negozio e preparato le valigie. Ci trasferimmo in Olanda per via del lavoro di Jess, le avevano offerto un posto da ricercatrice alla Vrije Univesiteit di Amsterdam e avevo deciso di incoraggiarla e di seguirla. Non me ne pentii in futuro, anche se poi finì come è finita. D’altronde avevamo il portafogli leggero entrambi. Io faticavo a trovare un’occupazione che mi appagasse. Di tanto in tanto occupavo il mio tempo con degli impieghi di merda. Ho fatto il fattorino, l’addetto alle pulizie, il postino e ogni tanto l’operaio nella fabbrica di suole di gomma vicino casa. Ma tant’è, amavo Jess. Lei era entusiasta del suo nuovo impiego e parlarle della mia situazione non l’avrebbe aiutata. Jess è un tipo fragile, basta poco così per farle cambiare umore. Ero sempre su una corda da equilibrista con lei, una mossa sbagliata ed ero giù, senza rete di protezione però.
Quando non ero impegnato con nessun lavoretto, girovagavo per i bar di Amsterdam, mi spostavo tra le vie strette con una bicicletta viola senza freni e con il manubrio un po’ piegato verso destra. Per cui mentre pedalavo ero costretto a tenerlo sempre verso sinistra. Uno sforzo di concentrazione mica da ridere mentre si è su una bici senza freni.
Ma, come dice la canzone, there’s no easy way out. La situazione era quella e non sarebbe cambiata da lì a poco, come speravo. Mi misi a preparare la cena una sera. Quando Jess rientrò, stupita di vedermi indaffarato in cucina, disse:
- Che è successo? Che stai combinando?
- Pensiero profondo, cena pronta, mancano solo i morti viventi all’appello.
Esibii una delle mie espressioni migliori, per far vedere che avevo tutto sotto controllo. Mi baciò. Dio da quanto tempo non lo faceva in un modo così spontaneo! La baciai. Ci passò la fame, spensi i fornelli e la gettai in modo brusco sul materasso in camera da letto, a lei piaceva così.



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