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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Pablo Echaurren

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Ho sempre conosciuto Echaurren per un artista che si getta con passione, con curiosità, con impeto in tantissime, diversissime avventure: oltre la pittura, romanzi, saggi, fumetti, illustrazione, designer, cinema. Nella sua casa, suoni vibranti di uccelli alle finestre, mi sembra, non so perché, giusto domandargli quale progetto ci sia dietro, quale filo (che a me sembra evidente) unisce tutto questo lavoro, fin dal suo esordio, sotto la protezione del grande, cabalistico gallerista Schwarz che ravvisava nel lavoro del giovane artista una vena iniziata e salvifica.



Ho iniziato al liceo. Un signore che ammiravo molto... un papà in qualche modo, un succedaneo di mio padre, che faceva e fa il pittore, Baruchello, (io all'epoca avrei voluto suonare il basso, ma senza saperlo fare) mi incuriosì molto, mi invogliò all'arte, prima e, poi, mi insegnò cosa fosse. Mi colpì il suo mondo di piccole cose: io da bambino volevo fare l'entomologo, non ero un bambino che uscisse per strada a giocare a calcio... non ero neanche un "secchione", anzi, ma ho sempre avuto una certa difficoltà nei rapporti con il prossimo... e, insomma, mi sono appassionato alle "figurine" di Baruchello, e ho cominciato a copiarle. All'inizio solo a copiarle, poi, ho trovato il modo di modificarle, lavorarci sopra tutte le sere, dopo scuola. A un certo punto Baruchello ha preso queste robe che facevo e le ha portate a Schwarz che le ha comprate tutte. Mi diede duecentomila lire e mi fece dire che, quando ne avessi avuto, avrei potuto portargli altri lavori. Finii il liceo pensando di avere trovato il lavoro della mia vita. Dopo il liceo andai a Milano per lavorare con lui.



Arturo Schwarz è una figura abnorme di intellettuale, dai contorni ermetici. Il gallerista di Duchamp; l'autore di alcune bizzarre pagine fra alchimia ed arte. Echaurren dovrà diversamente declinare questa mia fantasia.



Arturo Schwarz? Un nevrotico allucinante (non che io non lo sia, ovvio). A un certo punto non ci siamo più visti, perché lui si offese mortalmente con me. Gestiva il mio lavoro in toto. Un mio amico fraterno, veramente un fratello, aprì una galleria e fu quindi naturale che io volessi fare qualcosa con lui. Portai, dunque, questo mio amico a Milano per presentarlo a Schwarz che disse, va bene, faccia quello che vuole con Pablo, e autorizzò una mostra. Un bel giorno il mio amico preparava una fiera e voleva esporre dei miei quadrucci ma senza passare da Schwarz. Chiamai Arturo per chiedergli il permesso e Schwarz, plic, mi riattacca il telefono. Dopo tre giorni mi arriva una raccomandata con ricevuta di ritorno con una lettera che recitava più o meno, visto che ha trovato nel signor tal dei tali persona così bene addentra da questo momento inderogabilmente si sospende il nostro rapporto. Insomma mai più visto.



Altro?



In verità, ci siamo incontrati quando lui fece la donazione di una parte della sua collezione alla GNAM, baci e abbracci. Dopo undici giorni, la Galleria mi chiama perché Arturo mi aveva designato come testimone della donazione. Sono andato lì a firmare le carte, e lui mi ha regalato il catalogo di questo lascito con una dedica altisonante, che non era da lui... schiacciava tutti. Io non sono uno scacchista e da ragazzino, quando giocavo con lui, io facevo le prime due mosse, poi le restanti le faceva lui al mio posto, no, non fare così, ta ta tà, scacco matto!... uguale al ristorante. Si arrivava alle sette e un quarto con i camerieri che stavano ancora mangiando. Ma non c'è niente da fare, sono Arturo Schwarz, ma dottore è chiuso!, io ho riservato, voglio mangiare, insiste e, allora, i camerieri si sbrigano a servirlo. Ordina, e poi il cameriere si rivolge a me, il signore prende?. Ma io non faccio in tempo a rispondere. Schwarz fa, permetti?, e ha già ordinato per me. Dopo mangerà pure al posto mio. Lo amavo e lo temevo. Un padre bis anche lui.



Io adesso dovrei dire la verità, che sono partito da Schwarz perché quell'idea di Echaurren iniziatico e salvifico mi sembrava stare perfettamente alla base di tutto il lavoro con cui l'artista ha inglobato nel suo percorso i punti di maggiore rottura di tutte le avanguardie storiche e dei movimenti artistici e politici del secondo Novecento; che l'intuizione di Schwarz desse ragione dell'interesse di Echaurren per quei personaggi estremi, provocatori esistenziali, spirituali e del linguaggio (i suoi lavori su Marinetti, Evola, Pound, Majakovskij, Campana, ma anche il breve ritratto di Keller) capaci, attraverso un scarto logico, di iniziare il lettore e lo spettatore a nuovi territori dell'anima. Insomma c'è un percorso voluto e disegnato con cura?



Ma in realtà anche questo è un caso, perché qualcuno me lo suggeriva... per esempio Marinetti me lo suggerì Vincenzo Mollica, perché non fai Marinetti, visto che ti piace tanto?... Pound me lo ha suggerito Accame e fu De Turris a suggerirmi Evola... tutti incontri della vita... si sapeva che io facevo questo cose qui e ognuno diceva perché non fai questo o quello. Mi piacciono i personaggi eccentrici, che vanno fuori degli schemi. Io sono portato a essere un bastian contrario: tu dici una cosa, io tendo a difendere quello che tu accusi anche se un secondo prima anch'io l'ho detestato, perché cerco di trovare le ragioni dell'altro... questo, naturalmente, quando non sono coinvolto...



Insomma non è una dirittura programmatica, tanto meno una questione ideologica.



Ti dirò questo: io ho compiuto un percorso di sinistra, di estrema sinistra. Sono stato redattore fisso di Lotta Continua e di altre pubblicazioni, ma ho sempre detestato l'assemblearismo, la manifestazione, mettersi lì tutti insieme a fare slogans... non mi viene, forse sempre per quel mio tratto caratteriale che mi ha portato piuttosto a guardare coleotteri che a giocare a pallone con gli altri... non socializzo così bene. Però, a un certo punto, avendo cominciato da ragazzino a fare il pittore (parola che io detesto: a fare questo lavoro!), ero in qualche modo estraneo alla mia stessa generazione, perché i miei coetanei, invece, erano quelli che andavano alla manifestazione del sabato pomeriggio, e via dicendo... insomma, a un certo punto, avendo iniziato presto, facevo in tempo a recuperare presto e mi sono detto che non potevo essere isolato da tutto, che mi dovevo calare nella realtà che apparteneva ai miei coetanei. I pittori che io frequentavo quando ho iniziato erano tutti più vecchi. Baruchello tanto per cominciare, per il resto frequentavo Angeli, Kounellis, Scialoja (di lui non mi piaceva tanto la pittura, quanto la persona, che malgrado non fosse divertente, era estremamente stimolante: aveva conosciuto tutti, era uno che passava dal quadro alla filastrocca alla critica, e viceversa). Fu grazie a Sofri, che ogni tanto mi chiedeva un disegno per il giornale, e al fatto che io mi lasci permeare ed assumere a causa della mia curiosità, che ho cominciato il mio percorso "politico", fino a diventare organico a Lotta Continua. È il 1977, smetto addirittura di dipingere, mi dimetto da questa professione che ritengo piccolo borghese, e mi impiego a Lotta Continua divenuto quotidiano. Percepisco uno stipendio e, a quel punto, divento "indiano metropolitano", intuisco che è il momento in cui ci si può autodefinire di sinistra e mandare a quel paese tutti i gruppuscoli di sinistra, perché il '77 sostanzialmente fu questo. Il mio percorso è stato in parte auto-costrittivo, darmi un'appartenenza, e, dall'altra, sentirmi stretta questa appartenenza e cercare delle vie di fuga. Nasce qui l'amore per i personaggi sgraditi...? Io, all'interno di quelle realtà, per esempio, sono sempre stato sgradito. Quando stavo a Lotta Continua, il direttore convocava delle riunioni contro la mia presenza. Trovava sgradevoli e inaccettabili certi miei atteggiamenti, ma non mi cacciava, ero un protégé del capo. Inoltre rappresentavo quest'ala creativa, gli "indiani", e in quel momento magmatico, la cosa serviva, era funzionale al progetto del giornale di inglobare tutte le tendenze espresse dal movimento... ma ecco io, nelle organizzazioni e nei gruppi, vi entro, sono amato, e, dopo un po', sono schizzato. Questa è la mia condizione. Per esempio ho fondato con un comitato di redazione di cinque persone un cosiddetto giornale no-global, Carta, ogni settima tre rubriche, per sei anni, un lavoro durissimo e, a sei anni e un giorno siamo arrivati ai ferri corti: sono stato bandito; qualsiasi cosa io possa fare... ho scritto libri sul 77... ma loro manco una riga.



Insomma l'artista che porta in giro la cattiva coscienza di tutti. Echaurren cerca l"Altro", perché è lui l'"Altro".



Hai centrato perfettamente il problema... la sindrome. I miei personaggi nascono da qui... se c'è un filo conduttore nel mio lavoro forse è questo mio tratto. Il resto lo fa la vita che, alla fine, nella sua incoerenza, è coerente. Io sono uno che gira pochissimo, che fa fatica a fare una telefonata... non ho un'agenda, perdo i numeri...



In un vignetta del 1977 Vincino schizza un Echaurren artista puro, disancorato dalle più corrive dinamiche del successo e del "tran tran" sociale:"cretino di un Pablo telefona a due galleristi e non rompere!"



... Perdo i numeri... però alcune cose mi incuriosiscono, per caso, e poi, mentre ci lavoro, interviene di nuovo il caso... ho scritto Vita di Pound a questo modo: prendevo il suo canzoniere, lo aprivo, segnavo questa poesia, poi altra pagina, questa è carina, questo mi piace... rabdomanticamente... io penso che così si faccia molto meglio. E' come se l'oggetto della ricerca lavorasse in prima persona. Anche i titolo dei quadri, una volta, li sceglievo così. Aprendo i libri a caso e scegliendo un frase a rampazzo.



I Ching.



Molto Baruchello.



Tutto per caso, seguendo la naturale inclinazione, la forza del carattere, della vita. Devo domandargli se il futurismo, di cui è esperto, dei cui libri è collezionista, del cui segno porta una vivacissima traccia nella sua arte, entra così per caso nella sua vita. Immagino cosa mi risponderà.



Assolutamente per caso. Come Indiano Metropolitano, scrivevo nel giornale, avevo dato fastidio al leader di un gruppo di stampo sessantottino, più paludato, vecchia scuola, marxista-leninista, fece un volantino contro di me "da te spira puzzolente l'alito di Marinetti". Era un insulto molto grave allora, un'accusa mica tanto larvata di fascismo. Mi ricordo che all'Università scrissero su un muro, "Pablo diffida di chi ti chiama venduto, non ha più niente da vendere". Lo volevano punire duramente, l'autore del volantino. Li dissuasi. Da lì, attraverso un mio amico che è morto, grande bibliofilo, e che si chiamava, si chiama, Roberto Palazzi, su cui adesso a sette anni dalla morte si sta creando un piccolo culto, fui iniziato veramente al futurismo. Fu Palazzi a portarmi a cercare questi libri, di cui poi sono diventato collezionista. Inoltre, l'anno dopo, Calvesi ha scritto un libro, Avanguardia di massa, in cui analizzava alcuni giornali di movimento, negando che noi, come dichiaravamo, avessimo come riferimento il Dada: insinuò che fossimo piuttosto epigoni futuristi. A sostegno di questa tesi metteva a paragone alcuni immagini futuriste con dei miei disegni (che peraltro erano anonimi). In effetti la somiglianza era evidente. Era un destino. Una casualità, ma anche un destino.



Ma il destino è carattere. Ancora qualcosa su questo intreccio in Echaurren di carattere, gusti, curiosità, inclinazioni e incontri casuali.



Io mi sono sentito liberato, da ragazzino, nel '65, quando hanno aperto il Piper. La prima volta che si sentiva la musica dal vivo, si poteva essere quello che uno era, prima, solo di nascosto. All'epoca non era nemmeno facile avere i capelli lunghi, o la camicia a fiori, o gli stivaletti con i tacchi... ma già nel '68 comincia la stagione delle barbe, degli eschimo, delle Clark, delle assemblee con le bestemmie, la puzza di sigarette mista ad arroganza... era la fine del mondo nuovo, non dico del flower power, ma la fine di quel primo vagito di liberazione... i Beatles avevano portano a noi ragazzini, con le giacche di velluto, l'inchino dopo ogni pezzo, un nuovo modello di bellezza maschile, più gentile, elegante e femminile, che il '68 ha negato completamente: col '68 è di nuovo epoca del maschio macho, irsuto, muscolare, prevaricatore... è la fine di della liberazione come la intendevo io...



Echaurren potrebbe raccontare in tante maniere diverse questo intreccio, che lo ha portato a lavorare (per caso, inseguito ad una mostra al Palazzo delle Esposizioni che lo affiancava come pittore al vignettista Vincino e la fumettista Pazienza) ad una delle più esaltanti esperienze "avanguadistiche" degli ultimi decenni, "Frigidaire". Inoltre "Alter Alter". Il lavoro in carcere che lo ha avvicinato a Fioravanti con l'esito di un libro e un film. Il lavoro come ceramista, romanziere, e molto altro. Finisco in maniera classica, mi sa. Cosa fa ora Echaurren? Lavorerà a qualche altro pericoloso personaggio?



No, basta. Non ne faccio più di questi libri a fumetti. Ormai da quindici anni. Anche se ora (grazie all'editore Gallucci) esce di nuovo Caffeina d'Europa, la mia vita di Marinetti. E pare vada anche benino. Diciamo che può essere considerato il mio canto del cigno. Un figlioletto ormai grandicello che si è fatto le ossa e ricomincia a dare la scossa.

Io credevo in questo fatto di smontare l'idea che il fumetto fosse un arte minore e la pittura un'arte maggiore. Cercavo di mescolarle ma in realtà non avevo capito nulla perché è recisamente negata dal mercato la possibilità di portare l'arte "alta" negli angiporti e di elevare l'arte "bassa". C'è un grande bisogno da parte di tutti di recinti. È cieco il mondo dell'arte (specie il nostro), ed è cieco il mondo del fumetto, che non a caso ha ucciso tutti i grandi fumettari degli anni '80, o fisicamente, o negandogli la possibilità di sopravvivere lavorativamente... in fondo nemmeno Scozzari, Pazienza, Tamburini sono stati recepiti. Il mercato non li ha sostenuti... quanto a me, quindi, adesso, l'unico lavoro che sostanzialmente faccio è il pittore... come sono nato... quello che penso, esattamente, però, è che il pittore è un artista, come un sarto, come un artigiano... è un modo espressivo che uno sceglie per raccontarsi quello che ha attorno, quello che percepisce e pensa. Se sviluppa questa attitudine, che poi è simile a quella del cercatore d'oro che setaccia la sabbia, che lascia passare l'acqua per far sedimentare l'oro...



Riferimenti alchemici a gogò, con plauso celeste di Schwarz e Duchamp



... per chi sviluppa questa attitudine, qualunque mezzo utile a fare passare l'acqua e sedimentare l'oro è buono... gli strumenti che capita di usare sono tutti utili, sono tutti buoni... secondo me non ha senso sviluppare una professionalità a senso unico. È più importante sviluppare una sensibilità che possa essere applicata a seconda delle occasioni che gli vengono fornite.



Gli incontri ingannevolmente casuali del destino.









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