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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stefano Torossi

Perle ai porci

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Il cimitero acattolico! Un luogo di romantica quiete che si appoggia alla Piramide Cestia. Uno spazio ancora campestre entro le Mura Aureliane. Una gentile concessione del Papa che non voleva avere niente a che fare, nei suoi cimiteri ufficiali, con stranieri senza dio; ma d’altra parte non poteva scontentare i re non cattolici che avevano rappresentanze a Roma e ogni tanto qualcuno dovevano pur seppellirlo.
Un giardino che ospita le tombe di Keats, di Gramsci, di Camilleri. Beh, esci da quel mistico raccoglimento, tenti di seguire la linea severa delle Mura verso il Tevere, e dopo pochi passi ecco che, preavvertito da una bella puzza, ti trovi il cammino sbarrato da un grande centro dell’AMA, la Municipale che svolge l’utile compito dello smaltimento dei rifiuti urbani usando come appoggio l’ultimo tratto di quel muscolare bastione che tanto ci aveva colpito con la sua austera presenza solo qualche metro prima. Certo, l’immondezza va raccolta, però, magari in qualche altro angolo…


Rimaniamo sulle Mura Aureliane. Costruite in fretta alla fine del terzo secolo quando a Roma cominciava la paura dei barbari, girano intorno all’Urbe per una ventina di chilometri, con quasi quattrocento torri.
Nel tratto fra Porta S. Sebastiano e Porta Latina, quello rimasto libero da costruzione moderne e quindi più pittoresco, una di queste torri ha cominciato a barcollare e a minacciare di accasciarsi. Evento più che giustificato data la decrepitezza della struttura.
Ciò che ci stupisce è il tipo di imballaggio con cui è stato avviluppato il nobile bimillennario manufatto: sottili stecche verticali di legno tenute insieme da fettucce di qualche materiale metallico di un bel colore blu brillante.
Magari l’operazione sarà tecnicamente ineccepibile, ma  il look è decisamente da scaffaletto Ikea. Crediamo che si sarebbe potuto fare meglio.
Sul Lungotevere Aventino si affaccia il panoramicissimo Giardino degli Aranci, da cui ogni sera si può ammirare, stagliato contro il cielo al tramonto, er Cuppolone.
Proprio lì sotto, ignoto ai più (ne siamo certi) giace abbandonato alla pioggia e al vento e, se non fosse per il peso dei materiali, anche al capriccio dei passanti, un deposito di marmi antichi, fra cui, accostata a una lapide di Papa Innocenzo XII, si intravede, coperta di muschio, una gigantesca vasca di granito. Simile a quella recuperata dalle Terme di Nerone, restaurata e rimessa a sgocciolare a Via degli Staderari, dietro al Senato, ma più grande. Ecco, anche qui, a parte lo stupore che provoca il pensare a come avranno fatto a trasportare, scavare, levigare e issare, tutto a mano, queste gigantesche e pesantissime pietre, ci si chiede come mai roba simile rimanga abbandonata senza recupero, senza restauro, per anni. E’ che, appunto, c’è troppa roba bella in giro.


A questo punto ci appare la foto di Christo, il grande artista morto da pochi giorni, che ha passato la vita a impacchettare monumenti in giro per il mondo. Cosa c’entra? C’entra perché ci è venuto il dubbio che Roma, senza sospettarlo, sia proprietaria di una sua opera, e precisamente quella che vi mostriamo qui accanto, dopo averla citata tante volte senza sapercene spiegare l’aspetto.
E’ uno di due gruppi scultorei simmetrici, ben bene incappucciati e issati sulla facciata della Galleria Alberto Sordi, che da tempo immemorabile ci appaiono così. Secondo noi si tratta proprio di un Christo originale. Attendiamo conferme.



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