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ATTUALITA'

Vera Barilla

Quando i bambini fanno "oops!". Sul linguaggio del corpo infantile, ch'è teatro dei sensibili, e su ciò che ha da dirne un mimo. (1)

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Raccontava lo psicologo David Lowen (2) come un ragazzetto con problemi di adattamento venisse affidato ad un istituto. La direttrice lo accolse con un caldo abbraccio, dichiarandosi felice di vederlo. Il piccolo mostrò nei suoi confronti diffidenza e freddezza - cosa imputata al suo carattere "difficile". Dopo qualche mese, la donna venne tratta in arresto perché maltrattava, al limite del sadismo, i suoi pupìlli. Conclusione: il comportamento che aveva ingannato gli adulti comunicava un "qualcosa" di falso e ostile che il giovanissimo protagonista di questa storia aveva percepito e decodificato con mirabile precisione - aiutato magari dal fatto di provenire da una famiglia violenta e borderline, anzi "bordell-line".

Cosa fosse il suddetto "that", lo esplora l'Autore del libro del quale riferisco. Molcho, infatti, è un mimo, dunque un esperto d'ogni modalità attraverso la quale il corpo umano "parla": s'è già dedicato al linguaggio fisico che vige nelle coppie adulte, e ora procede a illustrarci quello dei cuccioli umani. Con saggezza, prima ancora che attraverso la scienza: intendo dire che il sapere del Nostro, pure corroborato da (peraltro discutibili: es. p. 122) apporti empirici, si basa sull'attenta e professionale osservazione dei moti del bambino, giungendo così a stabilire il loro collegamento con l'emozione (e-mozione, appunto) e col pensiero: "the glory of (e)motion". Se ciò che è nell'intelletto prima fu nei sensi, esso lascia un calco nell'agire: attraverso quest'orma il bambino apprende a regolarsi - più volte l'Autore insiste sull'importanza, per un corretto processo comunicativo, delle regole, intese come leggi e come ricorrenza d'un medesimo evento - e dunque ad esprimersi, e l'adulto a interpretarne i moventi tramite i movimenti. (p. 137) Esiste perciò, nel rapporto fra esseri umani diversi all'anagrafe, una continuità espressiva che permette di dare e ricevere significato. E che contestualizza, precisa o - come nell'esempio di Lowen - smentisce la comunicazione verbale. Chi non apprende il ritmo emotivo che fa da basso alle parole, compie atti e dice cose che risultano estranei al significato sociale, dunque incomprensibili, e verrà bollato (pp. 38 e 144) come "outsider" - si sa che il bambino che dice e fa cose "strane" (legge, ascolta la "classica", veste da "soggettone") non ha vita facile in cortile.

La materia non è nuova: colpisce, tuttavia, il nitore e l'appropriatezza con le quali viene esposta la necessità per le parole di venir apprese e gestite mediante il fatto della vita - le riflessioni di Wittgenstein insegnano. Mai come nel gioco infantile si palesa il gioco linguistico e la questione cosiddetta del "linguaggio privato", ad onta dell'etimo che vuole "infans" come "colui che non parla". Molcho invece relaziona quanto il corpo del bambino sia parola, dunque realtà che parla realmente col reale (ogni riferimento a Pasolini è casuale). Certo: queste speculazioni sono lontane dal procedere concreto dell'Autore, e frutto solo del nozionismo di chi scrive queste righe. Però mi sembra che il testo spinga in quella direzione: intendo dire che, nella sua bella e voluta semplicità, sollecita il Lettore verso considerazioni intense e profonde. Il che è sempre un bene, ma nel caso dei contatti fisici tra adulti e bambini ancora di più, siccome questi hanno implicazioni che riguardano l'esercizio del potere, (es. p. 131) l'autorità, (particolarmente nella scuola, p. 167-8) il piacere e il sentire sessuale (spec. pp. 56 e 60-1) - e non ditemi che non sono argomenti attuali e coinvolgenti, talora sino alla partigianeria e alla paranoia.

Difatti: con una tranquillità da cui trapela la fermezza delle convinzioni, l'Autore ci ricorda che l'evoluzione di una successiva e corretta vita amorosa - non lo si specifica, ma s'indovina che sarà eterosessuale -, dipende dall'instaurarsi, tra genitori e figli e tra pari, di un rapporto positivo e prudente, colorito d'erotismo non genitale, fra "corpi estranei". In diverse occasioni, (es. pp. 182 e 184) Molcho specifica che tale apertura affettivo-pedagogica e in genere quel che dice non ha nulla a che vedere con l'"educazione antiautoritaria", e c'è da credergli. Malgrado questo, esiste nelle sue pagine una tensione e un'attenzione verso gli elementi che fondano questo e gli altri modi d'essere nella relazione grande-non grande, che riportano sempre al problema dell'autorità - chi comanda chi?- e affini: chi ascolta, cura, s'interessa, comprende, accetta o rifiuta chi? Fino all'estremo delineato a p. 134: "il debole si getta tra le braccia del forte, un gruppo debole si piega al capo più potente, un popolo debole si affeziona a un dittatore (...). E' così che le pecore si fanno mangiare dal lupo".

Perciò, che le risposte da dare agli interrogativi politico-sociali sollevati a partire da dinamiche affettive e individuali non siano affatto scontate (o risolvibili dalle patacche "antiautoritarie"), che vi sia comunque e necessariamente una dialettica adulto-bambino, che gli atti tramite i quali un dialogo del genere si realizza abbiano un'impronta e una forma conciliante quando non paritaria, è uno sfondo che mette in scena una visione critica dell'educazione come puro addestramento, o peggio come la manifesta ipocrisia di ficcare contenuti vecchi in formule che di nuovo hanno solo una generica vernice. (Ancora pp. 167-8) E rifare tali discorsi, sfondare porte che sembrano già apertissime, identifica proprio quest'ambiguità, questa doppiezza d'un corpo sociale che, come gli adulti distratti o assenti o imbecilli fanno coi loro disgraziati bambini, predica benissimo, e razzola male.

C'è, infine, una questione fondamentale che attraversa il libro, anzi che ne è ragion d'essere: l'ho posta citando Lowen, la esplicito con un brano da Eco: "passa un'enorme differenza tra comprensione e verbalizzazione, e (...) questa confusione è dovuta al mito verbocentrico (...) per cui ha un significato (solo) quello che può essere tradotto in parole". (3) E' notevole che il semiologo tanto affermi parlando di comunicazione fra adulti: ciò pone, a maggior ragione, un interrogativo ben serio riguardo gli scambi tra i cosiddetti maturi e i cosiddetti immaturi. Ovvero: prima di dichiarare che i primi "capiscono" e i secondi no, non sarà il caso di capire meglio gli uni e gli altri? A Molcho va il merito di fornirci l'inquadramento "tecnico" necessario e la sollecitazione affettiva a farlo.





1) Samy Molcho, La mimica dei bambini, Apogeo, Milano 2006;

2)a p. 228 del suo Il linguaggio segreto del bambino, SEI, Torino 1993 - ma il copyright è del '78;

3) In Dalla periferia dell'impero, Bompiani, Milano 1991, p. 268 - il saggio è datato 1973.







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