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CINEMA E MUSICA

Alfredo Ronci

Si spazia, chissà se è la cosa migliore: 'Impossible spaces' di Sandro Perri.

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Ho sempre avuto grande rispetto per Sandro Perri, il musicista italo-canadese (di Toronto per la precisione), non tanto per l'opera che lo fece conoscere Plays Polmo Polmo, quanto per il successivo Tiny mirrors, un'operina di gusto dove oltre ad una non scontata uniformità musicale risaltava in pieno l'impronta vocale dell'autore, una sorta di John Martyn improvvisamente risuscitato.

Dopo quasi quattro anni ecco il nuovo disco: Impossible spaces che apparentemente sembra seguire la stessa strada, ma qua e là s'avverte una tensione diversa e soprattutto un'intenzione diversa.

Io direi: attento.

La bellezza di Tiny mirrors risiedeva in una continuità che non lasciava spazio a dubbi: la musica di Perri era un perfetto esempio di pacata elettronica, con minimi inserti e sostenuta da una vocalità a misura. In Impossible spaces il musicista tenta altre direzioni, ma non sempre i risultati sembrano soddisfacenti.

Se 'Changes' il pezzo di apertura, proprio nelle note d'esordio sembra evocare qualche spirito più 'rock' per poi subito rientrare nello standard solito dell'uomo, 'How will I' e soprattutto il dittico 'Futureactive Kid (part1) e 'Futureactive Kid (part2) tentano la sbandata progressive, anche se con indubbia fascinazione, posizionandosi dalle parti di Robert Wyatt. Può essere un terreno irto e con le sabbie mobili, soprattutto per il confronto.

Perri sembra 'raddoppiare' in quelle canzoni l'impegno di musicista: una bella contraddizione per uno che ha fatto della sintesi e della discrezione l'arma migliore. La voce però è sempre la stessa, un mix di menestrello addolorato e allucinato crooner.

Mi pare evidente che il disco in questione sia l'inizio di un percorso diverso, difficile però da inquadrare: che la musica minimale di Perri lasci il posto ad una più consistente struttura compositiva che presuppone, di conseguenza, anche l'utilizzo di strumentazioni diverse?

Ai posteri l'ardua sentenza: noi dobbiamo accontentarci di un disco di transizione, dove accanto all'usuale e al meraviglioso (la title-track è uno dei punti più alti dell'artista) vi sono tracce di inusuale che stentiamo però, in questa fase, a classificare nel modo giusto e quindi ad immaginarle in un prossimo futuro.



P.S.

Lasciate stare chi dice di vedere in Perri la lezione di Tim Buckley. Mi sembra una forzatura bella e buona.





Sandro Perri

Impossible spaces

Constellation - 2011







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