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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stfano Torossi

Streghe

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Yoko, la strega giapponese.
Quanto ci stava antipatica mezzo secolo fa questa giapponese perfida che aveva provocato la catastrofe dei Beatles!
Tutti noi, sessantottini liberati, ma sotto sotto ancora maschietti da branco, a dare addosso a questa donna non bella, e quindi incompatibile con il ruolo di distruttrice di famiglie (chiaro che per noi il quartetto dei Beatles era una famiglia), che non conoscevamo e alla quale credevamo di essere autorizzati ad attribuire il ruolo destabilizzante sull’angelo John, che fino a quel momento ci aveva rappresentati.
Poi è successo quello che sappiamo, è passato del tempo, e martedì 23 siamo andati a trovarla, Yoko Ono, allo studio Miscetti a Trastevere.
O meglio, a vedere qualche suo video, perché lei, ovvio, non c’era. Davvero niente di speciale. Immagini certo ricercate, suoni raffinati, lei spesso canta (e forse non dovrebbe); soprattutto tempi dilatati, pause interminabili, ripetizioni stranianti autorizzate dall’intellettualismo di quei tempi che a quanto pare si trascina fino a oggi. Si sa, lei è un’artista concettuale che ha sempre seguito il suo pensiero con un certo successo, ma niente in confronto alla popolarità cosmica raggiunta attraverso l’intimità con Lennon.
E, come dicevamo prima, la presunta influenza negativa sull’equilibrio di quest’ultimo.
Noi siamo per l’idea che della propria vita privata ognuno è padrone, che nessuno può entrare nella testa di un altro, e se John a suo tempo aveva deciso di mollare i Beatles, vuol dire che era maturo per farlo e la colpa non è certo della strega giapponese.

Yuja, la strega cinese.
E’ bellissima, sexissima; suona meravigliosamente, praticamente seminuda, taccododici. Meravigliosamente non solo come tecnica, ma come anima, pancia, cuore. E mani naturalmente.
Le abbiamo sentito eseguire il secondo movimento del concerto in sol di Ravel, quello dove, per due minuti e mezzo dall’inizio, il pianoforte da solo fa un temino in tre quarti che potrebbe essere banalissimo, ma naturalmente è meraviglioso (Ravel banale, scherziamo?), però solo se lo si suona in un certo modo: leggerissimo ma intensissimo, ma leggiadrissimo, ma spiritualissimo. In sogno, insomma. E lei ci riesce.
E poi vai su You Tube e la trovi, Yuja Wang, che smanetta su uno stupido arrangiamento pseudo jazz della marcia turca di Mozart, con inserti ragtime: molta tecnica e naturalmente neanche una briciola di swing. E ancora peggio, ultimamente abbiamo subito una sua versione da autovelox del volo del calabrone: una follia di ridicola velocità, di inutile funambolica bravura e naturalmente bruttissima all’ascolto.
Ci ricorda un po’ quei cretini del Texas o dell’Ohio che fanno le gare a chi mangia più hot dog in meno tempo e probabilmente alla fine si ritrovano tutti insieme a vomitare nei cessi.
Chissà cos’è che spinge questa fata dell’interpretazione a diventare una strega del virtuosismo.
E c’è un suo degno compare: l’abbiamo tutti visto quel bel bagnino, pardon, quel bel violinista, tale David Garrett, che si presenta in TV come campione di velocità perché, sotto gli occhi imbambolati della Clerici, il volo del calabrone lo suona in 26” netti.
A pensarci bene (orrore!) anche Paganini probabilmente faceva cose del genere.

La terza strega è l’incertezza che, non diciamo che ci paralizza, ma certo ci mette in difficoltà quando un artista non ci piace. A questo punto si tratta di capire se è lui che è una schiappa, o se siamo noi che non ci arriviamo.
Bene, un esempio giusto di questo nostro dilemma è lo scultore Leoncillo (1915-68) che abbiamo rivisto in una ricca mostra alla galleria Apolloni il 26 ottobre.
Ecco una sua ceramica. Com’è, bella? Per noi, no. Colorata? Sì, molto. Significante? Mah. Però è un’opera che non ci lascia indifferenti. E allora vuol dire che qualcosa è.
Un unico suggerimento: studiarla.
E questo naturalmente si può riferire a un’infinità di autori che non ci gratificano l’occhio o l’orecchio, ma che in qualche modo ci mettono in subbuglio l’anima.
Certo ignorarli non possiamo proprio, se non altro per evitare i disagi psichici che ci potrebbe scatenare contro, appunto, la terza strega.



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