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CINEMA E MUSICA

Alfredo Ronci

'The dark side of the moon': il giocattolone dei bambini psichedelici.

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Probabilmente mi attirerò le ire dei nostalgici e dei bamboccioni, ma il superdisco degli amati Pink Floyd mi è sempre stato un po' sulle palle. Ora che l'hanno nuovamente ristampato utilizzando le sempre più sofisticate tecniche di riproduzione (il nuovo vinile ha ormai una grammatura che resisterebbe anche ad un pestaggio) necessita di un chiarimento.

La storia musicale ce lo ha raccontato in tutte le salse: l'abbandono di Barrett, le sperimentazioni dei 'rimasti' durante le esibizioni live, l'apporto di un ingegnere del suono, Alan Parsons (che poi avrebbe fatto guai a non finire nella carriera solista), la concettualità quasi anatomica dei pezzi, e pure le diatribe legali con la cantante Clare Torry.

Un brodo primordiale per creare l'evento ed il mito.

Ma del mito però ho sempre visto ben poco.

Mi è continuamente parsa un'operina ingegnosa per il gusto di stupire, per la soddisfazione di attirare l'attenzione e per la gioia, cinica, di catturare i più sprovveduti.

Una sorta di manuale della furbizia.

Mi verrebbe da dire che se i nostri bamboccioni perdono la testa per l'X Box e per la Playstation, i ragazzotti di allora si son lasciati stordire dal suadente e acchiapposo sound dell'oscura faccia della luna.

Quel carosello finto-intellettuale di jingle ad hoc non mi ha mai 'segnato': sveglie, elicotteri, aeroplani, registratori di cassa, battiti cardiaci ed altre amenità mi hanno sempre suggerito un approccio mercantile alla produzione e di conseguenza all'ascolto.

Qui non si vuole assolutamente denigrare, tanto meno sminuire l'importanza di un'opera: quasi quasi siamo anche dispositi a riconoscere l'onestà spirituale del gruppo più famoso al mondo, ma nulla mi toglie dalla mente che la progressiva 'ricamatura' del disco, nascondesse in realtà intenti niente affatto puri.

Fu un disco per i piacioni della psichedelia, per gli sbandati morettiani del 'mi muovo, faccio cose, incontro gente' che probabilmente avevano poco a che fare con la vera 'visionarietà' musicale (intendo Grateful Dead, Jefferson Airplane e poi Starship).

Forse sono duro: ma The dark side of the moon costituì per il sottoscritto la prima e grande prova di resistenza contro il conformismo imperante che lo riteneva capolavoro imprescindibile. Tutt'ora sono convinto dell'assoluta ovvietà del disco.

Quando nel 1981 uscì My life in the bush of ghost del duo Eno-Byrne e qualcuno con la puzza sotto il naso mi fece notare che la cantante araba di 'Testament' ricordava Clare Torry che gorgheggiava in 'The great gig in the sky'... beh m'incazzai.

Vedevo molta più onestà intellettuale nell'ex Talking heads e in Eno che, come avrebbe detto Occhetto, nella gioiosa, anche se problematica, macchina da guerra floydiana.



Pink Floyd

The dark side of the moon

Capitol - 2011





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