ATTUALITA'
Stefano Torossi
Un ecomostro d'epoca
Ci rendiamo conto del rischio di un titolo come questo, ma è una tentazione a cui non sappiamo resistere.
Certo il mattone invecchia meglio del cemento, i millenni danno dignità a qualunque struttura, vedere queste rovine rosseggiare nel sole del pomeriggio al di là della fossa del Circo Massimo riempie gli occhi di chi passa con la maestà della grande architettura imperiale; eppure quella fila di doppi archi che si stagliano belli impettiti sulla destra, sono ciò che resta di una vera a propria violenza fatta al paesaggio da Alessandro Severo.
Il quale, essendosi fatto venire la voglia di ampliare il complesso dei palazzi di abitazione e rappresentanza degli imperatori, che già coprivano diversi ettari, evidentemente non abbastanza per lui, ed essendo ormai esaurito il settimo colle, il Palatino, pensò bene di prolungarlo, il colle, e sostituire il terreno mancante con questa pesante quinta di mattoni: una piattaforma sulla quale poi edificò effettivamente la sua nuova ala.
Tutto il marmo, i bronzi e gli altri materiali preziosi se ne sono andati, rapinati dagli straccioni del medio evo, ma anche da illuminati papi del Rinascimento, come Sisto Quinto, che non si fece scrupolo di scippare le ultime colonne rimaste in piedi sulla facciata sud, per riutilizzarle, bene, certo, ma senza rispetto per la loro storia.
Oggi di quel gran corpo solenne rimane lo scheletro, in origine destinato a starsene nascosto, che ancora ci affascina con la sua (molto restaurata) imponenza. Ma sempre un ecomostro è.
Comunque meglio di quest’altro, molto più moderno, e soprattutto fatto di cemento, un materiale povero, brutto, deteriorabile e quindi ancora più offensivo.
Però, a pensarci bene, un qualche collegamento, anche minimo, non si può non vedercelo.
Stiamo esagerando? Fateci sapere.
Per rimanere in argomento, non di ecomostri, ma di antichità, dopo averne molto letto e sentito parlare, siamo finalmente andati a visitare la nuova Rinascente di Via del Tritone, soprattutto attratti dalla notizia dei dieci o dodici archi dell’Aqua Virgo scoperti negli scavi delle fondamenta e recuperati per il pubblico.
Effettivamente, fra un Fendi e un Gucci, nel seminterrato ci sono queste tracce di uno dei primi acquedotti di Roma. Non sono particolarmente impressionanti, anche perché quasi del tutto interrati, però alla gente piacciono, bene illuminati e ben raccontati da una serie di proiezioni. Insomma, in mezzo a tutta la raffinata modernità delle griffe, due mattoni e una lastra di travertino corroso ci fanno la loro figura.
Naturalmente siamo anche saliti in terrazza. Il sole scintillante e caldo di Roma fa il possibile per nobilitare le verande, le casette e i casotti visibilmente abusivi che popolano i tetti circostanti. Vicinissimo il campanile di S. Andrea delle Fratte (Borromini) più bizzarro che bello, buono il cappuccino (5 €), fastidiosissimo un elicottero che vola basso sulle nostre teste.
Minima osservazione forse sciocca: ci avete fatto caso che sulle scale mobili (non solo dei grandi magazzini) spesso il mancorrente va più veloce dei gradini, così che, se ci si appoggia, quando si arriva sul pianerottolo si finisce tutti protesi in avanti come al traguardo dei cento metri.
Per tornare a casa, percorso che più turistico non si può: Piazza di Spagna, Fontana di Trevi, Panteon, Piazza Navona. La fiera dell’intrattenimento popolare a basso livello. Indiani sospesi in aria, chitarristi che strimpellano, pizzaioli che invitano a entrare, cantanti d’opera che si sgolano: tutti con il loro pubblico, ma, cosa che continua a sorprenderci, quelli che hanno più successo in assoluto, sono i pittori con le bombolette, accovacciati sul marciapiede che dipingono a spruzzo brutti paesaggi.
Chissà come mai intorno a loro c’è sempre il gruppo più compatto di ammiratori.
Che sia l’effetto stordente delle vernici spray?
Certo il mattone invecchia meglio del cemento, i millenni danno dignità a qualunque struttura, vedere queste rovine rosseggiare nel sole del pomeriggio al di là della fossa del Circo Massimo riempie gli occhi di chi passa con la maestà della grande architettura imperiale; eppure quella fila di doppi archi che si stagliano belli impettiti sulla destra, sono ciò che resta di una vera a propria violenza fatta al paesaggio da Alessandro Severo.
Il quale, essendosi fatto venire la voglia di ampliare il complesso dei palazzi di abitazione e rappresentanza degli imperatori, che già coprivano diversi ettari, evidentemente non abbastanza per lui, ed essendo ormai esaurito il settimo colle, il Palatino, pensò bene di prolungarlo, il colle, e sostituire il terreno mancante con questa pesante quinta di mattoni: una piattaforma sulla quale poi edificò effettivamente la sua nuova ala.
Tutto il marmo, i bronzi e gli altri materiali preziosi se ne sono andati, rapinati dagli straccioni del medio evo, ma anche da illuminati papi del Rinascimento, come Sisto Quinto, che non si fece scrupolo di scippare le ultime colonne rimaste in piedi sulla facciata sud, per riutilizzarle, bene, certo, ma senza rispetto per la loro storia.
Oggi di quel gran corpo solenne rimane lo scheletro, in origine destinato a starsene nascosto, che ancora ci affascina con la sua (molto restaurata) imponenza. Ma sempre un ecomostro è.
Comunque meglio di quest’altro, molto più moderno, e soprattutto fatto di cemento, un materiale povero, brutto, deteriorabile e quindi ancora più offensivo.
Però, a pensarci bene, un qualche collegamento, anche minimo, non si può non vedercelo.
Stiamo esagerando? Fateci sapere.
Per rimanere in argomento, non di ecomostri, ma di antichità, dopo averne molto letto e sentito parlare, siamo finalmente andati a visitare la nuova Rinascente di Via del Tritone, soprattutto attratti dalla notizia dei dieci o dodici archi dell’Aqua Virgo scoperti negli scavi delle fondamenta e recuperati per il pubblico.
Effettivamente, fra un Fendi e un Gucci, nel seminterrato ci sono queste tracce di uno dei primi acquedotti di Roma. Non sono particolarmente impressionanti, anche perché quasi del tutto interrati, però alla gente piacciono, bene illuminati e ben raccontati da una serie di proiezioni. Insomma, in mezzo a tutta la raffinata modernità delle griffe, due mattoni e una lastra di travertino corroso ci fanno la loro figura.
Naturalmente siamo anche saliti in terrazza. Il sole scintillante e caldo di Roma fa il possibile per nobilitare le verande, le casette e i casotti visibilmente abusivi che popolano i tetti circostanti. Vicinissimo il campanile di S. Andrea delle Fratte (Borromini) più bizzarro che bello, buono il cappuccino (5 €), fastidiosissimo un elicottero che vola basso sulle nostre teste.
Minima osservazione forse sciocca: ci avete fatto caso che sulle scale mobili (non solo dei grandi magazzini) spesso il mancorrente va più veloce dei gradini, così che, se ci si appoggia, quando si arriva sul pianerottolo si finisce tutti protesi in avanti come al traguardo dei cento metri.
Per tornare a casa, percorso che più turistico non si può: Piazza di Spagna, Fontana di Trevi, Panteon, Piazza Navona. La fiera dell’intrattenimento popolare a basso livello. Indiani sospesi in aria, chitarristi che strimpellano, pizzaioli che invitano a entrare, cantanti d’opera che si sgolano: tutti con il loro pubblico, ma, cosa che continua a sorprenderci, quelli che hanno più successo in assoluto, sono i pittori con le bombolette, accovacciati sul marciapiede che dipingono a spruzzo brutti paesaggi.
Chissà come mai intorno a loro c’è sempre il gruppo più compatto di ammiratori.
Che sia l’effetto stordente delle vernici spray?
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