ATTUALITA'
Stefano Torossi
Una giornata particolare
Si tratta di domenica 02/02/2020 (tutti a sottolineare il palindromo come se al calendario glie ne importasse qualcosa di avere una data leggibile da sinistra a destra e viceversa). Evidentemente siamo fatti così: senza un qualche significato particolare ci scade tutto.
Ore 11, nel delizioso teatrino di Palazzo Altemps, di cui vediamo qui il soffitto, conferenza di Giacomo Rizzolatti, neurologo. Lo scopritore dei neuroni a specchio ci intrattiene con quella divertente e divertita leggerezza che sempre ci aspetteremmo da qualcuno che ci racconta qualcosa che non sappiamo, e che pur-troppo non ci arriva quasi mai. Tutto fila deliziosamente. Recepiamo spunti di riflessione, per esempio sul fatto che durante il sonno le nostre idee si mescolano in modo bizzarro, talvolta sotto l’influenza del cibo che transita nel nostro intestino il quale manda segnali al cervello, di cui è in qualche modo una succursale. Puntuale ci torna in mente la cena di compleanno che abbiamo consumato ieri sera, squisita, abbondante e parmigiana (parmigiano il festeggiato, parmigiano il ristorante, parmigiana la soddisfazione e forse parmigiani i turbamenti notturni dovuti non certo alla qualità, ma alla quantità ingurgitata). Bene, a un certo punto che succede? Succede che la tecnologia, a cui delle volte bisogna riconoscere un sicuramente involontario sincronismo umoristico, si ribella al pensiero, e l’illustre scienziato che ci sta stregando con il suo sapere non riesce a far partire dal computer che ha davanti un filmato che dovrebbe illustrarci i punti oscuri di una certa teoria. Eppure, anche da profani, siamo sicuri che basterebbe premere il pulsantino giusto, magari due volte invece di una. Ah, sapere quale! Beh, niente; malgrado la sua intelligenza il professore non riesce a piegare alla propria volontà la stupida macchina e dobbiamo fare a meno del filmato. Naturalmente l’uomo, che è, appunto, animale intelligente e a volte anche umoristico, con due battute dà comunque una sterzata alla situazione, mettendo in minoranza l’ostile attrezzo e restituendo a noi spettatori il grande diletto di stare ad ascoltarlo. Via come fulmini (non c’è un filo di traffico) fino all’EUR al Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari. Mancandone da un po’ ci aspettavamo uno di quei lasciti smisurati della megalomania architettonica del regime, spesso abbandonati per anni alla loro calcificazione fossile. Invece, colpo di scena! Il museo è bellissimo, l’illuminazione sapiente, i marmi scintillanti e il gigantismo delle costruzioni d’epoca in queste condizioni di manutenzione diventa affascinante e i saloni, di cui ecco un esempio, talmente armoniosi da essere al di là dalle critiche, solo belli.
Siamo lì per visitare una mostra davvero interessante, organizzata per commemorare, nel centenario della nascita, Cesare Andrea Bixio, autore ed editore di musiche strafamose e per universale riconoscimento padre nobile della canzone italiana. Un titolo per rappresentarle tutte: “Parlami d’amore, Mariù”.
Lo conoscevamo e ci fa piacere vederlo così onorato.
Quello che invece ci fa saettare un brivido per la schiena è la constatazione, piombataci addosso mentre giriamo per le sale gremite di vecchi attrezzi relativi alla vita contadina di prima della sua industrializzazione, che molti di quei forconi, pentole, macinini, carretti noi ce li ricordiamo benissimo per averli visti (in funzione, non in un museo) quando eravamo bambini.
Ci sembravano ricordi neanche tanto lontani, invece è roba da museo. E anche noi, evidentemente, lo siamo. Che paura!
Per concludere in bellezza, cosa di meglio che schizzare fino a S. Francesco a Ripa per riempirci, dopo le orecchie, anche gli occhi con la meravigliosa Beata Lodovica Albertoni (una delle poche sante con nome e cognome) di Bernini, appena restaurata?
Qui, altro colpo di scena. La chiesa è gremita di visitatori e la statua, piazzata come spesso capita ai capolavori difficili (vedi i Caravaggio in varie chiese), in fondo a una cappella piuttosto stretta, profonda e buia, è non solo irraggiungibile, ma, anche allungando il collo, appena visibile se non sullo schermo del telefonino di quel signore davanti a noi che la sta fotografando, mentre noi fotografiamo lui, e probabilmente qualcun altro, dietro, sta fotografando noi che fotografiamo quel signore, che fotografa la statua….
Ore 11, nel delizioso teatrino di Palazzo Altemps, di cui vediamo qui il soffitto, conferenza di Giacomo Rizzolatti, neurologo. Lo scopritore dei neuroni a specchio ci intrattiene con quella divertente e divertita leggerezza che sempre ci aspetteremmo da qualcuno che ci racconta qualcosa che non sappiamo, e che pur-troppo non ci arriva quasi mai. Tutto fila deliziosamente. Recepiamo spunti di riflessione, per esempio sul fatto che durante il sonno le nostre idee si mescolano in modo bizzarro, talvolta sotto l’influenza del cibo che transita nel nostro intestino il quale manda segnali al cervello, di cui è in qualche modo una succursale. Puntuale ci torna in mente la cena di compleanno che abbiamo consumato ieri sera, squisita, abbondante e parmigiana (parmigiano il festeggiato, parmigiano il ristorante, parmigiana la soddisfazione e forse parmigiani i turbamenti notturni dovuti non certo alla qualità, ma alla quantità ingurgitata). Bene, a un certo punto che succede? Succede che la tecnologia, a cui delle volte bisogna riconoscere un sicuramente involontario sincronismo umoristico, si ribella al pensiero, e l’illustre scienziato che ci sta stregando con il suo sapere non riesce a far partire dal computer che ha davanti un filmato che dovrebbe illustrarci i punti oscuri di una certa teoria. Eppure, anche da profani, siamo sicuri che basterebbe premere il pulsantino giusto, magari due volte invece di una. Ah, sapere quale! Beh, niente; malgrado la sua intelligenza il professore non riesce a piegare alla propria volontà la stupida macchina e dobbiamo fare a meno del filmato. Naturalmente l’uomo, che è, appunto, animale intelligente e a volte anche umoristico, con due battute dà comunque una sterzata alla situazione, mettendo in minoranza l’ostile attrezzo e restituendo a noi spettatori il grande diletto di stare ad ascoltarlo. Via come fulmini (non c’è un filo di traffico) fino all’EUR al Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari. Mancandone da un po’ ci aspettavamo uno di quei lasciti smisurati della megalomania architettonica del regime, spesso abbandonati per anni alla loro calcificazione fossile. Invece, colpo di scena! Il museo è bellissimo, l’illuminazione sapiente, i marmi scintillanti e il gigantismo delle costruzioni d’epoca in queste condizioni di manutenzione diventa affascinante e i saloni, di cui ecco un esempio, talmente armoniosi da essere al di là dalle critiche, solo belli.
Siamo lì per visitare una mostra davvero interessante, organizzata per commemorare, nel centenario della nascita, Cesare Andrea Bixio, autore ed editore di musiche strafamose e per universale riconoscimento padre nobile della canzone italiana. Un titolo per rappresentarle tutte: “Parlami d’amore, Mariù”.
Lo conoscevamo e ci fa piacere vederlo così onorato.
Quello che invece ci fa saettare un brivido per la schiena è la constatazione, piombataci addosso mentre giriamo per le sale gremite di vecchi attrezzi relativi alla vita contadina di prima della sua industrializzazione, che molti di quei forconi, pentole, macinini, carretti noi ce li ricordiamo benissimo per averli visti (in funzione, non in un museo) quando eravamo bambini.
Ci sembravano ricordi neanche tanto lontani, invece è roba da museo. E anche noi, evidentemente, lo siamo. Che paura!
Per concludere in bellezza, cosa di meglio che schizzare fino a S. Francesco a Ripa per riempirci, dopo le orecchie, anche gli occhi con la meravigliosa Beata Lodovica Albertoni (una delle poche sante con nome e cognome) di Bernini, appena restaurata?
Qui, altro colpo di scena. La chiesa è gremita di visitatori e la statua, piazzata come spesso capita ai capolavori difficili (vedi i Caravaggio in varie chiese), in fondo a una cappella piuttosto stretta, profonda e buia, è non solo irraggiungibile, ma, anche allungando il collo, appena visibile se non sullo schermo del telefonino di quel signore davanti a noi che la sta fotografando, mentre noi fotografiamo lui, e probabilmente qualcun altro, dietro, sta fotografando noi che fotografiamo quel signore, che fotografa la statua….
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