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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Simone Bachechi

Vibrare

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Era la fine del millennio e tutti aspiravano a vibrare su una scala più alta. Non era una cosa avventista  o millenarista, ma semplicemente era accaduta questa cosa per una qualche singolarità in quegli anni fra il 1997 e 1999, benchè fossero tutti questi dei numeri inquietanti. Gli uomini erano tutti diventati come delle piccole antenne vibranti, tutti pronti, dicevano loro, a recepire l’ ”essenza” di un qualcosa che stava lì sopra e pronto per essere afferrato ma finalmente non posseduto. A me sembrava tutta una grande goliardata e me ne tenni autisticamente a distanza, ma non potevo non riconoscere che tutto quel vibrare lo si  poteva sentire nell’aria: se andavi al supermercato sentivi gli scaffali dei fagioli e dei sottolii  tintinnare minacciosi come un terremoto di bassa intensità ma che preparava gli avvertimenti per la catastrofe, andando al cinema non c’era verso di mettere a fuoco le scene, era tutto uno sciacquìo di immagini in doppio movimento che non ci capivi nulla. In certe scene questo vibrare in contrasto con i fotogrammi dava la sensazione dell’immobilità e sembrava di stare ad una mostra fotografica. In autostrada sembrava non ti potessi rendere conto di tutto questo, ma ad uno sguardo più attento, sotto  i 70 km orari, vedevi le automobili di piccola taglia, non certo i suv da 8 tonnellate  e 30.000 cavalli l’uno, sobbalzare come a tastoni sull’asfalto che anch’esso dava dei leggeri riverberi. Per non parlare della fine che fece la chirurgia e la medicina in genere. Per ovvi motivi queste discipline scomparirono del tutto dalla faccia della terra, le morti sotto intervento cardio-chirurgico dovute a bisturi che si infilzano nelle valvole mitraliche sane quando si doveva riparare un flusso nel ventricolo sinistro si sprecavano. Osteopati che chiedevano interventi di assistenza midollare si ritrovavano ben presto tetraplegici  per qualche malaugurata mossa di medici “vibranti”, bambini sotto tonsille per sempre compromessi nella loro capacità comunicativa per insensati danni alle corde vocali fecero prendere la sana decisione senza che nessuno del resto deliberasse qualcosa del genere che era preferibile un sano abbandono alla malattia che poi era una dimensione ad una vibrazione più bassa, avrebbero detto loro, della vita, piuttosto che tentare i soliti metodi occidentali di esorcismi e superstizioni  varie derivatamente invalse da una religione di stato consolidata di lotta causale contro il cosiddetto male.  Se si pensa alla scienza e che questa sia solo quella occidentale, così legata all’accecamento del profitto, si deve essere onesti e dire che questa parvenza di scienza è solo la medicina occidentale, non l’unica e ovviamente questa antepone  alla morale, niente al di fuori del signor profitto. Queste parole, questi discorsi erano di moda verso la fine del millennio, ancora si sentiva dire che questo poteva solo accadere in occidente perché noi abbiamo una morale debole, di stampo Cattolico, inventata a tavolino come strumento di soggiogamento dei popoli. Ma in Oriente è diverso, la loro morale è vitalistica ed olistica, loro preferiscono accettare la morte che accanirsi farmacologicamente, perché è l’unico modo di rispettare le leggi della natura e di essere in armonia con il cosmo. Loro dicono che se sta bene la mente sta bene anche il corpo, c’è come un effervescenza collettiva che si emana come nei grandi raduni religiosi, le famose folle mistiche dove il benessere  collettivo ha un effetto positivo sulla salute individuale. Questo è quello che è accaduto verso la fine nel millennio anche qui da noi, anche se in forme diverse e non è che milioni e milioni di persone fanno le abluzioni all’alba nei fiumi sacri, questo è fuori dal nostro modo di comprendere: Mehla Sangan, il Kumbh Mela, processioni di asceti completamente ricoperti di cenere, persone che rinunciano alla loro identità individuale oltre che alla capacità di ragionare e comportarsi in maniera civile ed al loro posto meno ansia, più energia  e più di tutto queste vibrazioni. Pensare che si stava avvicinando il sogno dove fossimo capaci di pensare tutti quanti più in termini di noi invece che di io, ognuno a suo modo ne avrebbe tratto il suo vantaggio. Si dice anche che le persone che tendono ad avere una fitta rete di relazioni sociali tendono ad avere nel sangue un minor tasso di molecole associate a fenomeni infiammatori. Negli anni successivi  questa necessità è stata svenduta a Facebook, ma in quell’epoca nessuno lo sapeva, nessuno di noi sapeva di essere una folla psicologica, potenzialmente distruttiva, dove anche gli astanti non protagonisti hanno un ruolo decisivo nel determinare l’esito violento  o meno di un confronto, ci sono state grandissime stragi per questi motivi. Era stato riscoperto il potere della cooperazione in quelle folle vibranti, cose sconosciute,  ormai scomparse, ricordi di anni che furono quando quell’accalcarsi di corpi umani, umori e movimenti di massa come musiche all’ unisono. Qualcuno diceva che il timor panico di perdersi poteva solo essere dissipato  riuscendo a ricordarsi che il tizio che ci sta accanto è un nostro fratello e che la compagnia di persone che non credono nella ricerca della verità eterna  è una cattiva compagnia, mentre il miracolo è sentire come ci si sente ad essere circondati da persone che sono tutte alla ricerca della stessa cosa. Tutti in quegli anni sapevano che ogni vissuto si presentava come un magma in forma di angoscia e dicevano che tutta la vita quotidiana non era una ricompensa ma una dilazione, la dilazione più deliziosa e leggiadra che avessero potuto sperare ma nondimeno una dilazione, gente che aveva bisogno di uscire dal luogo dove si trovava solo per scoprire un suono o una corda che potesse competere con questo. La poesia che si respirava di questo mondo olistico di vedere e vibrare le cose aveva percorso tute le menti migliori di quegli anni  e queste vagavano come  in cerchi frastagliati alla ricerca della scala più alta sulla quale vibrare, dicevano. Tutti i pensieri vibravano, in noi, con noi, per noi, onde radio come poesia fino alle cose dette ed alle cose non dette.








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