CINEMA E MUSICA
Stefano Torossi
Volemose bbene. Festival della canzone romana.
Siamo entrati preparati a due ore di supplizio parrocchiale, e ne siamo usciti soddisfatti perché invece abbiamo visto uno spettacolo forse anche bello, professionale di sicuro.
Siamo snob? Magari no, però se c'è una cosa che detestiamo è quella pappa di volemose bbene, di Roma mia, di cuppolone, Tevere, e ciumachelle, di Belli e di Trilussa che sempre accompagna qualsiasi manifestazione dialettale romanesca, poesia, musica, teatro (intendiamoci, la Madunina, la gondoleta, 'o Vesuvio ci fanno lo stesso effetto ammorbante).
Si tratta della ventunesima edizione del Festival della Canzone Romana. Teatro Olimpico pieno di un pubblico di mezza età, decisamente romano, e decisamente ben disposto verso tutte le ov-vie banalità che accompagnano sempre queste manifestazioni. Eccole, puntuali come ce le aspettavamo.
Innanzitutto si è fatto un gran salutare, con il classico sguardo verso il soffitto e le braccia protese a evocare, i morti famosi. Ciao Aldo (Fabrizi, naturalmente). Questo è per te Gabriella (Ferri), Mia Martini ti pensiamo, eccetera. Grandi applausi e qualche grado in più nel riscaldamento del pubblico. Poi l'inevitabile riferimento alle bellezze della città, che sono sempre banalmente le stesse: il ponentino, le fontane, er cuppolone, appunto. Mai nessuno che riesca a tirare fuori qualcosa di nuovo (la teca dell'Ara Pacis, il Maxxi). E poi, quasi obbligatorio, lo sbertucciamento di quelli del nord, il cispadano Berlusca, il Bossi che non deve rompe' li cojoni (su questo siamo d'accordo anche noi), e così via. In pratica tutto il repertorio dello spettacolo familiare, comprese continue richieste di applausi, allisciamenti del pubblico che è sempre splendido e generoso, invitato spesso a cantare i ritornelli dei pezzi più famosi, o a battere le mani a tempo (e come sappiamo bene, lo fa in battere e non in levare come dovrebbe, in questo istigato furbescamente dal cantante di turno che non vuole rogne).
Poi però, ecco i personaggi. I vecchissimi: Luciano Rossi e Giorgio Onorati, malvestiti, ma col core in mano, autori di belle canzoni, e anche dotati di ottime voci, malgrado l'età.
E quel genio di Lando Fiorini. Un ruffiano di prima categoria nel tenere in mano il pubblico. Ma non in senso negativo. Perché canta bene, dice esattamente le battute che la gente si aspetta, ha i tempi perfetti, è piacente e ben vestito. Se non fosse romanesco potrebbe benissimo essere un crooner americano. Ma è romanesco, non ci sono dubbi. E c'è il grande bidone, sfiatato, stonato, fintamente (o veramente) burino, Califano. Del quale, a guardarlo, a sentirlo parlare, non si direbbe mai che è un vero poeta, ma lo è. E finalmente il fenomeno vocale, Edoardo Vianello. Ai settanta e pas-sa, la sua voce è una spada, precisa, affilata, con un'intonazione fenomenale.
Davvero di ottimo livello il balletto Crazy Gang. Sciolta la presentazione di Vergovich. Qualche debuttante discreto e poi finalmente un'apparizione proprio becera di Floriana, ex sguaiatona di un qualche grande fratello del passato, la quale, pur fornita di un genuino accentaccio romanesco, è riuscita a recitare un pezzo del Belli sbagliando tutti gli a capo e le intonazioni.
PS. Non si finisce mai con questi PS, ma non siamo riusciti a resistere quando su 'Repubblica' del 31 ottobre, a pag 28 ci è apparso in un'intervista Fabri Fibra, nientedimeno, il massimo del contemporaneo, che invece parla come un nonno bacucco. Testuale: "Se un ragazzino di oggi viene in studio a registrare una canzone...appena mi vede domanda: ma tu come fai ad avere successo? Io rispondo: coglione, io guardavo "Happy Days". Capito? Uno che dovrebbe essere più moderno dei moderni va indietro di trent'anni. C'è mancato che dicesse "ai miei tempi".
Siamo snob? Magari no, però se c'è una cosa che detestiamo è quella pappa di volemose bbene, di Roma mia, di cuppolone, Tevere, e ciumachelle, di Belli e di Trilussa che sempre accompagna qualsiasi manifestazione dialettale romanesca, poesia, musica, teatro (intendiamoci, la Madunina, la gondoleta, 'o Vesuvio ci fanno lo stesso effetto ammorbante).
Si tratta della ventunesima edizione del Festival della Canzone Romana. Teatro Olimpico pieno di un pubblico di mezza età, decisamente romano, e decisamente ben disposto verso tutte le ov-vie banalità che accompagnano sempre queste manifestazioni. Eccole, puntuali come ce le aspettavamo.
Innanzitutto si è fatto un gran salutare, con il classico sguardo verso il soffitto e le braccia protese a evocare, i morti famosi. Ciao Aldo (Fabrizi, naturalmente). Questo è per te Gabriella (Ferri), Mia Martini ti pensiamo, eccetera. Grandi applausi e qualche grado in più nel riscaldamento del pubblico. Poi l'inevitabile riferimento alle bellezze della città, che sono sempre banalmente le stesse: il ponentino, le fontane, er cuppolone, appunto. Mai nessuno che riesca a tirare fuori qualcosa di nuovo (la teca dell'Ara Pacis, il Maxxi). E poi, quasi obbligatorio, lo sbertucciamento di quelli del nord, il cispadano Berlusca, il Bossi che non deve rompe' li cojoni (su questo siamo d'accordo anche noi), e così via. In pratica tutto il repertorio dello spettacolo familiare, comprese continue richieste di applausi, allisciamenti del pubblico che è sempre splendido e generoso, invitato spesso a cantare i ritornelli dei pezzi più famosi, o a battere le mani a tempo (e come sappiamo bene, lo fa in battere e non in levare come dovrebbe, in questo istigato furbescamente dal cantante di turno che non vuole rogne).
Poi però, ecco i personaggi. I vecchissimi: Luciano Rossi e Giorgio Onorati, malvestiti, ma col core in mano, autori di belle canzoni, e anche dotati di ottime voci, malgrado l'età.
E quel genio di Lando Fiorini. Un ruffiano di prima categoria nel tenere in mano il pubblico. Ma non in senso negativo. Perché canta bene, dice esattamente le battute che la gente si aspetta, ha i tempi perfetti, è piacente e ben vestito. Se non fosse romanesco potrebbe benissimo essere un crooner americano. Ma è romanesco, non ci sono dubbi. E c'è il grande bidone, sfiatato, stonato, fintamente (o veramente) burino, Califano. Del quale, a guardarlo, a sentirlo parlare, non si direbbe mai che è un vero poeta, ma lo è. E finalmente il fenomeno vocale, Edoardo Vianello. Ai settanta e pas-sa, la sua voce è una spada, precisa, affilata, con un'intonazione fenomenale.
Davvero di ottimo livello il balletto Crazy Gang. Sciolta la presentazione di Vergovich. Qualche debuttante discreto e poi finalmente un'apparizione proprio becera di Floriana, ex sguaiatona di un qualche grande fratello del passato, la quale, pur fornita di un genuino accentaccio romanesco, è riuscita a recitare un pezzo del Belli sbagliando tutti gli a capo e le intonazioni.
PS. Non si finisce mai con questi PS, ma non siamo riusciti a resistere quando su 'Repubblica' del 31 ottobre, a pag 28 ci è apparso in un'intervista Fabri Fibra, nientedimeno, il massimo del contemporaneo, che invece parla come un nonno bacucco. Testuale: "Se un ragazzino di oggi viene in studio a registrare una canzone...appena mi vede domanda: ma tu come fai ad avere successo? Io rispondo: coglione, io guardavo "Happy Days". Capito? Uno che dovrebbe essere più moderno dei moderni va indietro di trent'anni. C'è mancato che dicesse "ai miei tempi".
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