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Stefano Torossi

Vuoti e pieni

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Il grande vuoto. Da sempre del Maxxi ci colpiscono non le opere esposte ma gli spazi in cui sono esposte. E gli spazi sono fatti di vuoto e, ovviamente, più sono grandi i primi, più è grande il secondo.
Il massimo dell’effetto (intendiamoci, nessun sarcasmo nella nostra cronaca) lo abbiamo trovato in questa esposizione di un’unica piccola opera di Enzo Cucchi: poche decine di centimetri di altezza di un putto con uno scorpione avvinghiato all’alluce, sperdute nelle molte centinaia di metri cubi di questo enorme salone del Maxxi.
Il merito dell’arte, lo sappiamo, è vivere in qualsiasi ambiente, compreso un vuoto bene architettato come questo (magari non sarà necessario, ma ci sembra meglio ricordare a questo proposito il nome di Zaha Hadid).
Colpiti dall’allestimento e dopo aver consumato il pavimento a forza di girargli intorno, ci viene da chiederci se è la sterminata vacuità dello spazio a rendere preziosa la piccola opera al suo centro o viceversa.
Abbiamo deciso che la risposta non ci interessa.

Il grande pieno.
A vivissimo contrasto con quanto detto sopra, merita uno sguardo, a proposito di vuoto e di pieno, questa bottega. E’ la libreria S. Agostino, di fronte alla chiesa.
Non è che ci hanno appena scaricato una fornitura. E’ sempre così: la clientela dev’essere composta da intellettuali taglia 46 o meno; e, per quanto riguarda il proprietario, ci pare si tratti di un vero caso clinico.
Entrarci è impresa eroica, uscirne, di più.
Il vuoto nello stomaco.
In cui sprofondiamo al solo vedere gli orrori, finti ma ricreati alla perfezione, che brulicano nelle sale del Palazzo delle Esposizioni dove si è appena inaugurata “La meccanica dei mostri” su Carlo Rambaldi e le sue creature.
Rambaldi: qualcuno non lo conosce? Tre premi Oscar, l’inventore di tanti effetti speciali, così difficili e proprio per questo così speciali, di prima che diventassero roba di tutti i giorni per merito, o magari per colpa del computer.
Quando le creature non filmabili, perché non esistevano, dovevano essere inventate e costruite materialmente nel laboratorio del mago; lui, Carlo Rambaldi.
Ci sono tutte, dall’ovvio ET, alla manona di King Kong, ai velociraptor da incubo, a Pinocchio, ai soldati di Barbarella, a teste, mani, piedi e zampe, strappate dai corpi e magari palmate e armate di unghioni.
Quella che abbiamo fotografato con più gusto e scelto di mostrarvi è questa donna gatta.
Non siamo riusciti a scoprire da quale film arrivi, ma sappiamo che ci ricorda tanto certe signore di nostra conoscenza, non gatte e ormai neanche più donne.
Arrivate alle estreme conseguenze della chirurgia estetica, a forza di rialzare gli zigomi, allontanare gli occhi, ridurre il naso e canottificare le labbra, questo rischia di essere il loro look finale.




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