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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stefano Torossi

Vuoto culturale

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 Maxxi. Era il 4 novembre 2020, il giorno prima della demenziale chiusura di tutti i musei della Repubblica, e noi abbiamo voluto fare un omaggio, magari un po’ masochistico a uno di quelli che abbiamo più cari e che spesso chiamiamo capolavoro, nel senso che l’edificio è talmente bello che non conta cosa ci metti dentro perché l’opera d’arte è lui.
Vuoto! Il senso di smarrimento che ci colpiva da ragazzi, quando nei libri di avventure sul mare l’autore descriveva la fuga dei topi dalla nave che sapevano (i roditori) essere sul punto di affondare è lo stesso che ci ha presi al Maxxi; ma non era solo il museo che naufragava, era tutta la cultura, quel bene effimero (e concreto) che proprio quelli che dovrebbero difenderlo, svalutano come fosse immondezza.
Stesso identico impatto più tardi al Panteon, di solito gremito. Nessuno. Con i solerti custodi che ti misurano la temperatura e poi liberi di gironzolare quanto si vuole. E’ un peccato per la cultura, come dicevamo, ma che lusso inusitato avere tutto lo spazio e il tempo per sé. Masochisti ed egoisti insieme: un chiaro caso da clinica psichiatrica.
Because. A proposito di vuoto culturale, vogliamo insistere nel masochismo e aggiungere all’album un altro caso di inglese maccheronico in cui ci siamo imbattuti al parco del Colle Oppio.
Qualche turista, come si intravede, ha tentato di sostituire al nostrano “because” un corretto “why”. Invano: il materiale su cui è stampato questo cartellone non accetta intrusioni. Quindi il “because” è rimasto a testimoniare il grado di incompetenza di chi l’ha scritto, di chi l’ha letto e di chi l’ha appeso: la Sovrintendenza? Il Comune? Il Mibact? Chissà. Comunque, complimenti!
Insieme. “Una passeggiata lungo le mura sotto il segno del contemporaneo a Via di Porta Labicana”, ottobre e novembre 2020. Così il giornale titola uno fra gli ultimi eventi culturali rimasti accessibili.
Ovviamente curiosi, siamo andati sul posto, uno dei tratti più infelici della cinta delle Mura Aureliane, dove le brutte case popolari di inizio ‘900 sono state costruite, come spesso si faceva in quel periodo (e anche dopo, per la verità) senza gusto, senza criterio e soprattutto senza rispetto, addosso a quel monumento unico, lasciandogli in elemosina appena la larghezza della strada.
       L’articolo continua esponendo le promesse del progetto “Insieme”: “La sfida è lasciare le opere in balia delle intemperie e dei passanti che potranno alterarle e anche danneggiarle. E restituire al monumento il suo ruolo funzionale, quello di muro”.
Abbiamo visto tele e pannelli appesi così in alto da essere appena visibili e comunque irraggiungibili (forse alla fine l’idea di farli danneggiare dai passanti, se non dalle intemperie, non è sembrata troppo buona). Sulla strada c’era anche parcheggiato un furgone coperto di scritte in inglese, incomprensibili non perché in inglese, ma proprio perché non se ne capiva il senso: “The message in a brick” – “My wall is going cheap”, eccetera.
Malgrado tutto siamo riusciti a mantenere la calma. Che ci ha aiutati a trovare più stimolante questa iniziativa parallela (foto): una installazione visibile qualche metro più in basso sullo stesso muro. Forse meno nobile, certo più spontanea. E anche (non resistiamo alla tentazione della battuta) più spiritosa.



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