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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Simone Ghelli

Il Pigneto liberato

0111 Edizioni , Pag. 104 Euro 11,40
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Le strade del Pigneto portano tutte nomi di avventurieri, geografi o guerrieri. Differenza vaga in fondo, perché sono le guerre a fare la geografia: questa vecchia Europa è stata al principio misurata da quel soldato romano d'avanguardia il cui passo è stato parodiato nel ridicolo passo dell'oca; e la guerra, purtroppo, ancora oggi rimane una sublimazione di quella voglia di sapere, di quel bisogno di esplorazione geografica dell'anima, altrimenti preclusa. E, allora, il dio del Pigneto, il suo genius loci, si deve essere premurosamente preoccupato di dire la sua, ispirare, il lavoro del Ghelli, che è un lavoro di geografia, e il Ghelli certamente uno di quei generali duri e delusi, che hanno visto molto, acri, di grande severità: io direi un Tacito.

Ma, ora, il Ghelli non è veramente un Tacito: voglio dire non farebbe mai l'elogio dei germani (popolo per il quale Tacito stesso doveva provare un suo personale e intimo disprezzo, in barba alle illusioni contrarie che si dovettero fare gli intellettuali nazisti mentre facevano il passo dell'oca) per invogliare i romani ad una maggiore morigeratezza di costumi. Le finalità del Ghelli devono essere altre, tipo quelle che avrebbe potuto avere, un secolo dopo Tacito, un Apuleio, il quale dall'alto del suo paradiso isiaco deve avere anche guidato l'autore toscano.

E certo, perché il Ghelli, come avrebbe fatto Apuleio, prende un pezzo di Roma, appunto il quartiere del Pigneto, e lo reinventa come un'isola lontana, con un popolo di indigeni tutto da esplorazione antropologica: una materia straniata, magica, favolistica per le sue parole, non meno di quelle di Apuleio, ricche, gonfie, plastiche, preziose, strane; per la sua prosa di pura bravura e intrattenimento.

Ed è da lì che viene questo barocco irresistibile racconto su qualcosa che non c'è esattamente e che si lascia leggere, fanciullescamente, paganamente, per la bellezze delle sue parole, per il gusto forte di lasciarsi trascinare da brevi racconti, pensieri liberati incatenati l'uno all'altro e che fuggono verso il nulla: come tutti noi.

E allora bisogna pensare al narratore di questa liberazione del Pigneto, come a un contastorie che in mezzo ad una piazza ormai fatalmente globale, fa lavorare le sue parole, tutte mischiate con cura in una nuova lingua tutta di popolo, tutta aristocratica, per liberare queste immagini di solita umanità, scontri di razza e classe mentre tutti si abbuffano, e ciucciano vino nelle festicciole, e gli affitti rincarano e le taverne diventano locali di lusso; scene d'amore vero fra puzzo di piscio e odori di incenso in una Roma che assedia l'isola del Pigneto con la sua ombra santa, idolatrica; e tutto questo chiacchierio di persone che vengono ancora qui, nell'Eterna, a cercare successo: rivoluzionari e giovani poeti un tanto al chilo come quello che assillava Orazio, e che cercano successo appendendo ai muri le loro composizioni, e tutte quelle parole ripetute identiche generazione dopo generazione sulla libertà, la felicità, il successo e la rivoluzione, e sesso e musica e droga (e questo libro, anzi, poterebbe essere letto come l'antecedente latino al beat, pure perché non sbagliava Armando Gnisci che l'America per l'Europa, e soprattutto per l'Italia, rappresenta pur sempre il passato, quello che noi siamo stati duemila anni fa).

Racconto potenzialmente infinito, quello di Ghelli si iscrive nella tradizione dell'intrattenimento popolare, dove il gusto di sentire una storia per trarne un sugo, un'esperienza, del divertimento, un insegnamento fa da padrone. E forse qui torniamo pure al moralismo di Tacito; e potrebbe solo essere ingannevole la constatazione che una morale, come un bandolo della matassa, come un centro a questa storia non la si può veramente trovare, perché la morale di questa storia è lo stesso farsi di questa storia; la liberazione del Pigneto è la liberazione di una figura dell'immaginazione attraverso l'immaginazione letteraria. E questa liberazione, allora, è l'integrale liberazione, nelle nostre vite, di dare forma, creare la libertà attraverso parole liberate.

Ed è giusto quindi che Ghelli, sotto le mentite spoglie del suo personaggio letteraria, Rinaldo Tasso (e si legga con goduria l'esegesi di questo nome in apertura del libro: sarebbe piaciuta a un Ficino), possa dire di se stesso che è "il primo scrittore che passò alla storia per aver anticipato la storia".







di Pier Paolo Di Mino


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Gustoso


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Edizioni Il Foglio, Pag. 84 Euro 10,00

Strani racconti, non facili da valutare, forse perché discontinui nella qualità, ma questo è inevitabile trattandosi di una raccolta. Racconti diversi, ma anche uniti da un filo conduttore, o meglio da un intreccio di fili che affiorano qua e là lasciando intuire una sorta di tessuto omogeneo. L'Autore dà delle chiavi. Il tema dell'acqua, un archetipo che per lui ha una valenza in più, legata misteriosamente alla storia individuale (nella premessa incuriosisce, ma non spiega). E il tema della malattia mentale, presente in almeno tre racconti.

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