RECENSIONI
Carlos Ruiz Zafon
Il gioco dell'angelo
Mondadori, Pag. 676 Euro 22,00
Ebbene sì, hanno ragione i critici à la page. Ruiz Zafon forse non è un bluff ma di sicuro puzza come il pesce dopo un certo numero di giorni. E sta alla grande letteratura spagnola come Elisa sta alla grande musica internazionale d'autore (o come Ligabue sta al rock, infatti duettano). Però, c'è un però. Leggere i suoi romanzi è come concedersi un diversivo, uno svago da ragazzini capricciosi. Entrare nel retro di una pasticceria e avere il permesso del cuoco di usare tutti gli ingredienti che si vuole per farsi un bel dolce. Qui, gli ingredienti li mette il cuoco autore: con sapienza e furbizia. Gotico, grandgruignol, horror, thriller, soprannaturale. Spruzzateci sopra una pepatina di storia d'amore. Mettete a cuocere nelle fauci del solito maligno. E avrete un racconto (romanzone torta direi) coi fiocchi. Quelli dei regali di natale, però. C'è da dire: lui ha sprazzi da grande narratore. Però, c'è un però. E' venuto alla ribalta letteraria internazionale con L'ombra del vento, un bel romanzo dove al centro della storia c'erano i libri e una Barcellona gotica e soprannaturale. Qui, ha voluto accentuare i toni. E il risultato finale è decisamente controverso. Se la storia parte fulminea e trascinante (A David Martìn, il protagonista scrittore che si guadagna da vivere scrivendo horror trash sotto pseudonimo, viene commissionata, da questo misterioso personaggio chiamato Andreas Corelli, la scrittura di un libro che dovrà cambiare la storia dell'umanità. Pagato molto profumatamente ma sempre sotto pseudonimo). Se l'ambientazione rimane quella accattivante dell'altro romanzo. (Una Barcellona noir di inizio secolo scorso, impegnata a fronteggiare l'Esposizione Universale e relative grandi opere). Se i personaggi ricalcano gli altri (lo scrittore, un aristocratico mecenate, una donna contesa, un'assistente alle prime armi). Se i toni fumettistici, a tratti, rendono divertente e perfino incantevoli certe scene. Il finale, il momento in cui la storia ha già preso una piega quasi originale rispetto al resto e tu sei lì che vuoi sapere... e brami perché ormai hai letto 600 pagine e ne mancano appena 70... beh il finale è patetico. E dire hollywoodiano potrebbe essere un complimento.
Non lo sveleremo per pudore di chi acquista il libro per 22 euro o per chi se lo fa prestare (date retta a me, è meglio!). Però si rimane davvero con l'amaro in bocca. Ma come? Tutta la tiritera sugli scrittori sfigati che vendono l'anima al diavolo pur di arrivare al successo; tutta la grande preparazione per disegnarci un David Martìn anti-eroe, ombroso, macchiettistico e insopportabile; tutti i bei momenti linguistici in cui la descrizione degli ambienti si fa maniacale, e la traduzione di Bruno Arpaia rende davvero onore a una lingua brillante e, come si diceva sopra, a tratti formidabile. E poi... e poi si rovina tutto. Non sappiamo se per le scelte promozionali dei soliti editor per cui una storia letteraria ormai è come un due etti di prosciutto crudo. Sta di fatto che il libro è assassinato dal finale. E quando ci ripensi ti viene tanta di quella rabbia che vorresti andare nel Cimitero dei Libri dimenticati, il luogo in cui nel romanzo (e anche in quello precedente) giacciono tutti i libri dimenticati nei secoli e che occupano una porzione segreta di Barcellona, e lasciarcelo marcire per sempre. E poi uno dice che le grandi case editrici ormai pubblicano solo mondezza (che però viene riciclata e trasformata in 'film di successo', che magari sbarcano in America - e ogni riferimento con il "grande capolavoro" italiano del momento è puramente casuale).
di Adriano Angelini
Non lo sveleremo per pudore di chi acquista il libro per 22 euro o per chi se lo fa prestare (date retta a me, è meglio!). Però si rimane davvero con l'amaro in bocca. Ma come? Tutta la tiritera sugli scrittori sfigati che vendono l'anima al diavolo pur di arrivare al successo; tutta la grande preparazione per disegnarci un David Martìn anti-eroe, ombroso, macchiettistico e insopportabile; tutti i bei momenti linguistici in cui la descrizione degli ambienti si fa maniacale, e la traduzione di Bruno Arpaia rende davvero onore a una lingua brillante e, come si diceva sopra, a tratti formidabile. E poi... e poi si rovina tutto. Non sappiamo se per le scelte promozionali dei soliti editor per cui una storia letteraria ormai è come un due etti di prosciutto crudo. Sta di fatto che il libro è assassinato dal finale. E quando ci ripensi ti viene tanta di quella rabbia che vorresti andare nel Cimitero dei Libri dimenticati, il luogo in cui nel romanzo (e anche in quello precedente) giacciono tutti i libri dimenticati nei secoli e che occupano una porzione segreta di Barcellona, e lasciarcelo marcire per sempre. E poi uno dice che le grandi case editrici ormai pubblicano solo mondezza (che però viene riciclata e trasformata in 'film di successo', che magari sbarcano in America - e ogni riferimento con il "grande capolavoro" italiano del momento è puramente casuale).
di Adriano Angelini
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Carlos Ruiz Zafon
Il Prigioniero del cielo
Mondadori, Pag. 340 Euro 21,00Ed eccoci alla terza parte della saga di Daniel Sempere, Fermin Romero de Torres e del Cimitero dei Libri Dimenticati. Eccoci di nuovo in quella meravigliosa Barcellona del passato che tanto mi ha fatto amare queste storie. Che dire. Il romanzo per gli zafonisti incalliti risulterà, al solito, splendido. Qui si ripercorre la storia della prigionia, durante la seconda guerra mondiale, di Fermin, nel carcere del Mont Juic. Soprattutto, il romanzo sarà un colpo al cuore per Daniel Sempere che verrà a sapere la verità sul destino infausto di sua madre, Isabella, aprendo squarci funesti ma fornendo ulteriore materiale (come poteva essere diversamente?) per un seguito.
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