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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Valerio Gentili

La Legione Romana degli Arditi del Popolo

Purple Press , Pag. 236 Euro 14,90
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L'ultimo grande sussulto dell'arte retorica prima di sfumare definitivamente in pubblicitaria ha avuto luogo in una delle sue patrie d'elezione, l'Italia, nel secondo dopo guerra, quando, come notavano con crudele e divertito realismo i cahiers, scrittori e cineastici italici inventano, con un linguaggio maturato sotto il fascismo, il mito dell'antifascismo: il neorealismo.

Si sa che l'immaginazione vive soprattutto in assenza di immagini, e che non si inventa mai così bene che su una base insussistente.

È certamente per questo motivo che altre epoche, naturaliter immaginifiche, violentemente vive, devono procurare una specie di ingolfamento dei sentimenti, o, meglio e più esattamente, produrre il collasso di quel minimo consentito, di quella dose giornaliera di (non immaginazione) immaginario pubblico.

Per altre epoche intendo, nell'occasione, il primo dopo guerra.

Perché a uno, solo a pensarci a quegli anni, gli si deve confondere la lingua e l'intelletto: la riscoperta del grande eversivo, Vico; Pirandello e D'Annunzio (ed era, noterà Sciascia, dai tempi di Marino che nella penisuluzza non nasceva un autore internazionale); il dadaismo nella vulgata ultraspirituale italiana; il giovane Ungaretti intossicato di etere e poesia; e, soprattutto, un fermento vivo e generale in cui il fatto di vita e il fatto letterario sono imprescindibili.

E lo sono talmente tanto, si dirà, che un giorno un poeta, non causalmente immaginifico, il Gabriele d'Annunzio, non necessariamente sapendo ciò che faceva, conquista la città di Fiume: il regno di un poeta. Ma questo, magari in tre righe, è scritto su tutti i manuali; lo sanno tutti. Quello che invece tutti non sanno è che quel regno divenne in poche settimane, e rimase per più di un anno, la prima e unica repubblica anarchica e aristocratica che abbia brillato per bellezza al mondo; una repubblica fondata, appunto, sulla bellezza, sulla poesia e sulla musica. Una repubblica che adesso non viene facile definire in poche righe: anche perché quello che fu Fiume tende ad esuberare da qualsiasi definizione politica canonica.

Per quello che ora ci preme, l'importante è sapere che Fiume, se eccitò tanti poeti e qualche mente acuta, tipo il Gramsci, fu il fumo agli occhi di ogni borghese e prete, e di tutti i commercianti in genere di beni materiali e spirituali, e alla fine fu fatta cadere dallo sdegnato governo italiano di Nitti e Giolitti. Nei fatti ebbero la loro parte le premurose attenzioni contro il Comandante Gabriele del già voglioso di governo 'i che sia sia Benito Mussolini.

Fiume cade, ma il fiumanesimo resiste, e darà vita (e arriviamo all'imperdibile libro di Valerio Gentili) ad un episodio della nostra storia ancora più rimosso: la formazione della "Legione romana degli arditi del popolo", che saranno l'unico vero caso di resistenza anti-fascista nel momento della presa del potere da parte di Mussolini.

Invisi dal giovane P.C.I., gli arditi del popolo, non avranno mai un loro posto nel mito resistenziale. Forse per via del loro eccesso immaginifico, per il loro carattere di irriducibilità ad un chiaro quadro ideologico; per la loro eversiva radicalità: anarchici che escono fuori dalla mistica proto-cristiana alla Cafiero; anarchici arditi, che non rifiutano la gerarchia militare, il valore individuale, la volontà collettiva, e la Patria; che non rifiutano la mistica e l'esaltazione vitale della parola.

E anzi è da notare (lo fa notare Gentili) che la prima rivolta di Argo Secondari e degli altri arditi contro Mussolini, in un momento ancora incerto e confuso sulla collocazione del fascismo, è avvenuto proprio sul luogo del linguaggio: la colpa di Mussolini era tutta nell'avere svuotato il linguaggio degli arditi, coi suoi richiami alla giovinezza, alla guerra come archetipo, alla libertà e uguaglianza fra gli esseri tale come la può riconoscere l'uomo spogliato dalla società (come il militare in guerra) per trasformarlo nella pubblicitaria del suo stato burocratico.

Con Mussolini nasce e si definisce la nostra modernità. I futuristi, aderendo al fascismo, compiono la loro azione più coerente: hanno sempre amato la guerra non come archetipo ma come prudente igiene; hanno sempre vigliaccamente temuto la luna e il femminile e il molle, in nome della mascolinizzazione, della razionalizzazione, della burocratizzazione, della spiritualizzazione del mondo; hanno trasformato l'arte in designer, la letteratura in marketing, la retorica in reclame.

Gli arditi hanno combattuto contro tutto questo; ed è commovente scoprire la loro storia nella documentata, emotiva, epica ricostruzione storiografica di Gentili; una ricostruzione che è prima di tutto un richiamo ad un sentimento di ribellione profonda, e umana.

Che dire ancora?

Arditi, a noi!



di Pier Paolo Di Mino


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Castelvecchi, Pag. 283 Euro 15,00

Non troppo tempo fa Claudio Magris, sulle pagine del Corriere della Sera, si ritrovava a ragionare sul nostro immiserimento culturale e, quindi, umano (ci sono in giro molte persone a cui è toccato di leggere alcuni classici, e di imparare, magari sui testi di Persio, che c'è un solo bene, il sapere; e un solo male, l'ignoranza, che, come dicono dalle mie parti, è una brutta bestia). Eppure, secondo Magris, l'antidoto naturale alla nostra letteratura, e alla nostra vita, fatta di miserrime narrazioni, di piccoli fatti senza senso, si può agilmente trovare nelle grandi storie, per esempio, dell'epopea patriottica,

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