RECENSIONI
Maxime Chattam
L'anima del male
Superpocket, Pag.478 Euro 4,90
Sì lo riconosco, il libro è del 2002 (la prima edizione italiana è del 2004 e tra l'altro è il primo di una trilogia che ha già visto la luce), ma la riproposta in economica nei superpocket ci induce a spettegolare sull'autore e sulla mai defunta moda dell'acchiappa serial-killer.
Iniziamo con l'autore: francese di nascita, definito il golden boy del noir d'oltr'alpe, lui, tomo tomo cacchio cacchio se ne frega delle Alpi (mica è Grangé, anche se a lui lo paragonano, mica è Pierre Magnan) e ambienta le sue scorribande oltreoceano: Portland nell'Oregon per la precisione.
Vi chiederete perché?: Boh, come quando Faletti se ne sta in giro per l'America un mese e più e poi ci cucina una desert story con annesso concorso per i più plaudenti.
Ma fosse questo il vizio: Chattam si permette pure la presa per i fondelli. Ve lo immaginate un ispettore di polizia americano, senz'altra origine che la propria, citare come se niente fosse De Gaulle ad uno sprovveduto (e lo credo!) interlocutore? No? Beh immaginatelo! Come se, e mi ricarico sulle spalle paragoni fittizi, Faletti troneggiasse su qualche lido ameno ma non italico e citasse Alcide De Gasperi. Da sbellicarsi dalle risate. Soprattutto perché il democristiano fu poco considerato già sessant'anni fa e se ne ritonò a casa con pochi spiccioli in tasca, altro che Piano Marshall. Ma sono quisquiglie che ora non ci tangono.
Pensiamo al noir: ma sì, discreta fattura e regge pure le quasi cinquecento pagine (mi sono già espressa sul perché i giallisti macinano e macinano fogli e ho detto pure che Faletti – ancora lui! – straborda e quindi non ci ritorno). Mi preme sottolineare invece la paternità dell'operazione: del tipo, Maxime Chattam sta al noir contemporaneo come Austin Freeman sta al giallo d'epoca. Se Freeman utilizzava la nascente tecnica delle impronte digitali per smascherare i colpevoli e se ne andava in giro con una simil 24 ore per avere tutto l'occorrente brevi manu, Chattam scomoda i RIS d'oltreoceano e chissà quante altre istituzioni per cavare il pelo dall'uovo e ricavare pure il DNA.
Qualcuno lo ha paragonato a Thomas Harris (probabile per la sciaguratezza, ricordate quando Hannibal Lecter si fece assumere come esperto agli Uffizi, come se il mondo intero aspettasse lui invece che i disoccupati indigeni?). Io, considerando lo spolvero della tecnologia, e la ramazza del pelo e contropelo lo paragonerei a Jeffery Deaver più isterico e patologico.
Si diceva poi del killeraggio seriale: pensavo che prima o poi si arrivasse alla fine. Invece no ed è facile capire perché. Perché offre materia in continuazione, un po' grazie ad una realtà (stando a quanto lo stesso Chattam dice nell'introduzione) mai avara in proposito, poi perché caricare il misfatto d'inimmaginabile violenza ed efferatezza diventa gioco da ragazzi.
In questo L'anima del male non scherza. Anzi offre pagine di anatomopatologia così "pregnanti" che al confronto Lafcadio Hearn (cfr. Tre casi raccapriccianti e un'autopsia – Teoria riflessi, 1993) e la Kay Scarpetta sono scherzetti dolcetti.
Insomma sei e mezzo col beneficio del dubbio.
di Eleonora del Poggio
Iniziamo con l'autore: francese di nascita, definito il golden boy del noir d'oltr'alpe, lui, tomo tomo cacchio cacchio se ne frega delle Alpi (mica è Grangé, anche se a lui lo paragonano, mica è Pierre Magnan) e ambienta le sue scorribande oltreoceano: Portland nell'Oregon per la precisione.
Vi chiederete perché?: Boh, come quando Faletti se ne sta in giro per l'America un mese e più e poi ci cucina una desert story con annesso concorso per i più plaudenti.
Ma fosse questo il vizio: Chattam si permette pure la presa per i fondelli. Ve lo immaginate un ispettore di polizia americano, senz'altra origine che la propria, citare come se niente fosse De Gaulle ad uno sprovveduto (e lo credo!) interlocutore? No? Beh immaginatelo! Come se, e mi ricarico sulle spalle paragoni fittizi, Faletti troneggiasse su qualche lido ameno ma non italico e citasse Alcide De Gasperi. Da sbellicarsi dalle risate. Soprattutto perché il democristiano fu poco considerato già sessant'anni fa e se ne ritonò a casa con pochi spiccioli in tasca, altro che Piano Marshall. Ma sono quisquiglie che ora non ci tangono.
Pensiamo al noir: ma sì, discreta fattura e regge pure le quasi cinquecento pagine (mi sono già espressa sul perché i giallisti macinano e macinano fogli e ho detto pure che Faletti – ancora lui! – straborda e quindi non ci ritorno). Mi preme sottolineare invece la paternità dell'operazione: del tipo, Maxime Chattam sta al noir contemporaneo come Austin Freeman sta al giallo d'epoca. Se Freeman utilizzava la nascente tecnica delle impronte digitali per smascherare i colpevoli e se ne andava in giro con una simil 24 ore per avere tutto l'occorrente brevi manu, Chattam scomoda i RIS d'oltreoceano e chissà quante altre istituzioni per cavare il pelo dall'uovo e ricavare pure il DNA.
Qualcuno lo ha paragonato a Thomas Harris (probabile per la sciaguratezza, ricordate quando Hannibal Lecter si fece assumere come esperto agli Uffizi, come se il mondo intero aspettasse lui invece che i disoccupati indigeni?). Io, considerando lo spolvero della tecnologia, e la ramazza del pelo e contropelo lo paragonerei a Jeffery Deaver più isterico e patologico.
Si diceva poi del killeraggio seriale: pensavo che prima o poi si arrivasse alla fine. Invece no ed è facile capire perché. Perché offre materia in continuazione, un po' grazie ad una realtà (stando a quanto lo stesso Chattam dice nell'introduzione) mai avara in proposito, poi perché caricare il misfatto d'inimmaginabile violenza ed efferatezza diventa gioco da ragazzi.
In questo L'anima del male non scherza. Anzi offre pagine di anatomopatologia così "pregnanti" che al confronto Lafcadio Hearn (cfr. Tre casi raccapriccianti e un'autopsia – Teoria riflessi, 1993) e la Kay Scarpetta sono scherzetti dolcetti.
Insomma sei e mezzo col beneficio del dubbio.
di Eleonora del Poggio
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Maxime Chattam
Il veleno del ragno
Super Pocket, Pag, 516 Euro 5,60Onestamente mi chiedo come si possa ancora oggi scrivere di serial-killer. Ma non era passata l'ubriacatura? Evidentemente no, se il mercato anglosassone, e ora anche i francesi, rimestano nel torbido. Per carità, Maxime Chattam non è nuovo a simili imprese: anzi, con questo Il veleno del ragno l'autore chiude la trilogia dell'investigatore privato Joshua Brolin, ex profiler dell'FBI e cacciatore seriale.
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