RECENSIONI
Stanislaw Lem
Il castello alto
Bollati Boringhieri, Pag. 139 Euro15,00
Checché se ne dica, stimo Lem non per Solaris e L'invincibile (non perché siano brutti, anzi), ma per due 'operine' minori che invece hanno la statura dei classici e che andrebbero consigliati a chi ha un'idea stantia della letteratura: Il congresso di futurologia (che Marcos y Marcos con una di quelle operazioni che andrebbero benedette, ripubblicò, dopo molti anni, nel 2003. Personalmente conservo del romanzo addirittura un'edizione del Club del libro!) e Vuoto assoluto, capolavoro inarrivabile, che potete scovarlo nelle edizioni Editori Riuniti solo se avete una gran fortuna e che è la prima fonte di ispirazione della nostra rubrica 'De falsu creditu'. Poi si può tranquillamente discettare sull'uomo: qualcuno lo considera una sorta di icona della fantascienza, qualcuno un grande scrittore tout-court (ci sono io), altri lo ignorano completamente.
Qui si raschia un po' il barile, come a volte si suol dire. Per carità, Lem è penna sempre arguta e lirica e di vasta cultura e preparazione, ma ne Il castello alto (...era il nome di una costruzione che un tempo era stata splendida e che si chiamava così perché era esistito anche un Castello basso all'interno della città – Pag.63) lo si scorge autoreferenziale ed un pochino appannato. Dà proprio l'idea del come e perché il libro fu 'congegnato', a metà degli anni sessanta: a rimorchio dell'epoca dei suoi maggiori successi come autore di letteratura fantastica.
E' la storia della sua infanzia trascorsa a Leopoli in Polonia e dei suoi enormi problemi: sì perché, se si leggono con attenzione le vicenda di quella 'verde età', ci si accorge che Freud avrebbe avuto il suo da fare a dipanare il bandolo della matessa dell'esistenza di Lem.
Bambino assai solitario e chiuso: Non so se è già completamente chiaro che ero un tiranno. Norbert Wiener ha iniziato la sua autobiografia con le parole I was a child prodigy, ero un bambino prodigio; io potrei scrivere solo I was a monster, ero un mostro (Pag.34). Che preferisce il mondo immobile e circostante delle cose, al contatto fisico: E' inquietante il mio oblio dei compagni di giochi, dei coetanei, a cui si accompagnava la sensibilità nei confronti dei vari oggetti. Non ricordo letteralmente nessun bambino, mentre ricordo perfettamente la forma del mio cerchio e persino le piccole viti che univano la giuntura del legno e il modo in cui avevo imparato a lanciare il cerchio in modo che rotolasse indietro da solo (Pag.39).
Che sentendosi pingue ed esteticamente poco piacevole ...non sapevo cosa si potesse fare con le bambine a parte correre insieme di sera nel giuardino da un cespuglio all'altro e spaventarle con una torcia elettrica. (Pag. 47).
Manca in questa ricostruzione anche il dramma della follia nazista: è vero, quando Hitler occupò la Polonia lo scrittore aveva diciotto anni, mentre il libro tratta per lo più il periodo dell'adolescenza e della post-adolescenza, ed è vero anche che pochi accenni ci sono e anche vividi: tre anni prima della guerra, mi imbattei per la prima volta, all'improvviso e molto da vicino, nella Germania di Hitler. In uno dei padiglioni era apparsa la bandiera rossa con la svastica... cingoli e le torrette corazzate su cui faceva bella mostra di sé i simboli in miniatura della Werhmacht (pag.94-95), ma tutto ci sembra sfumato e poco sentito.
Un'operazione questa che ci è sembrata un po' svogliata, nonostante la felicità narrativa di Lem che solo pochi sprovveduti e riottosi 'intellettuali' considerano ancora autore minore se non addirittura da ignorare. Quindi comunque da leggere.
di Alfredo Ronci
Qui si raschia un po' il barile, come a volte si suol dire. Per carità, Lem è penna sempre arguta e lirica e di vasta cultura e preparazione, ma ne Il castello alto (...era il nome di una costruzione che un tempo era stata splendida e che si chiamava così perché era esistito anche un Castello basso all'interno della città – Pag.63) lo si scorge autoreferenziale ed un pochino appannato. Dà proprio l'idea del come e perché il libro fu 'congegnato', a metà degli anni sessanta: a rimorchio dell'epoca dei suoi maggiori successi come autore di letteratura fantastica.
E' la storia della sua infanzia trascorsa a Leopoli in Polonia e dei suoi enormi problemi: sì perché, se si leggono con attenzione le vicenda di quella 'verde età', ci si accorge che Freud avrebbe avuto il suo da fare a dipanare il bandolo della matessa dell'esistenza di Lem.
Bambino assai solitario e chiuso: Non so se è già completamente chiaro che ero un tiranno. Norbert Wiener ha iniziato la sua autobiografia con le parole I was a child prodigy, ero un bambino prodigio; io potrei scrivere solo I was a monster, ero un mostro (Pag.34). Che preferisce il mondo immobile e circostante delle cose, al contatto fisico: E' inquietante il mio oblio dei compagni di giochi, dei coetanei, a cui si accompagnava la sensibilità nei confronti dei vari oggetti. Non ricordo letteralmente nessun bambino, mentre ricordo perfettamente la forma del mio cerchio e persino le piccole viti che univano la giuntura del legno e il modo in cui avevo imparato a lanciare il cerchio in modo che rotolasse indietro da solo (Pag.39).
Che sentendosi pingue ed esteticamente poco piacevole ...non sapevo cosa si potesse fare con le bambine a parte correre insieme di sera nel giuardino da un cespuglio all'altro e spaventarle con una torcia elettrica. (Pag. 47).
Manca in questa ricostruzione anche il dramma della follia nazista: è vero, quando Hitler occupò la Polonia lo scrittore aveva diciotto anni, mentre il libro tratta per lo più il periodo dell'adolescenza e della post-adolescenza, ed è vero anche che pochi accenni ci sono e anche vividi: tre anni prima della guerra, mi imbattei per la prima volta, all'improvviso e molto da vicino, nella Germania di Hitler. In uno dei padiglioni era apparsa la bandiera rossa con la svastica... cingoli e le torrette corazzate su cui faceva bella mostra di sé i simboli in miniatura della Werhmacht (pag.94-95), ma tutto ci sembra sfumato e poco sentito.
Un'operazione questa che ci è sembrata un po' svogliata, nonostante la felicità narrativa di Lem che solo pochi sprovveduti e riottosi 'intellettuali' considerano ancora autore minore se non addirittura da ignorare. Quindi comunque da leggere.
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