RECENSIONI
Hakan Lindquist
Mio fratello e suo fratello
Edizioni del Cardo, Pag.203 Euro 15,80
Se fosse dipeso da me non avrei scelto una copertina del genere. Per due motivi: perché la nudità dei due soggetti è fuori luogo (per carità, lungi da me qualsiasi prurigine moralistica, insisterei invece sul "manierismo" fashion dei due elementi ) e perché l'immagine speculare alla Escher, seppur lontanamente assimilabile alla storia, non ne è il motivo centrale.
Comunque dettagli: quel che interessa è altro. Mio fratello e suo fratello, del 1993, prima opera di Lindquist tradotta in italiano, ha molti aspetti che ricordano la poetica di un grande scrittore contemporaneo dell'infanzia: Philip Ridley. Stessa "corposa" centralità del sentimento, stessa avvincente e convincente struttura dell'incedere, stessa delicatezza dei dialoghi e degli scambi, stessa sostanza pedagogica.
Jonas è figlio unico, ma solo perché è nato qualche anno dopo la morte del fratello avvenuta in circostanze non del tutto chiare. E questa poca chiarezza induce il ragazzo ormai quindicenne a scandagliare la vita del fratello attraverso la frequentazione di amicizie in comune, un diario ritrovato per caso e grazie anche ad una sensibilità fuori del comune.
Scoprirà che il fratello aveva una relazione omosessuale con un coetaneo di origine ceca e che la sua morte è dovuta essenzialmente ad un equivoco.
Si diceva poche righe fa della sostanza pedagogica: nel libro non viene mai meno la "celebrazione" della diversità (termine però inteso in questo senso: non ostentazione dello sbalzo, ma pervicace assunto), anche se spesso affiora un'omogeneità dei sentimenti e del trasporto erotico da far pensare che manchi, quasi paradossalmente un contr'altare "diversamente" omo.
Ma credo sia, anche la mia proposizione, un cercare a tutti i costi l'ago nel pagliaio: Mio fratello e suo fratello è un libricino (per il formato, ovvio) che tocca le corde giuste e lo fa anche con un'abile ricorso alla strumentazione del noir. Un venir a galla, lentamente, di indizi per accumulo che raddoppiano l'interesse. Va di nuovo il pensiero a Philip Ridley: astuto (nel senso positivo del termine) artigiano dello scrivere, abile conoscitore delle tecniche narrative e sopraffino indagatore delle sensibilità altrui.
Solo un appunto: nella sociologia della "diversità" (leggi pure, nel trattare il tema dell'omosessualità) anche Lindquist non fa un passo avanti nel rappresentare il rapporto tra figli e genitori. Anche qui questi ultimi ipocritamente lasciano che le cose vadano per il verso giusto, cioè sbagliato, e abbandonano il figlio vivo nella ricerca di una propria identità sessuale e di quella del povero fratello morto. Brutta bestia la diversità sottaciuta. Che equivale ovviamente a non "legittimarla".
(...) La gente si comporta così di continuo; ci si ferisce, ci si tortura a vicenda. Solo perché si è insicuri o non si riesce a capire. O non si vuole capire. Succede continuamente. Ti avevo avvertito no? Ti avevo detto che forse ti avrei raccontato qualcosa di spiacevole. (pag.65).
di Alfredo Ronci
Comunque dettagli: quel che interessa è altro. Mio fratello e suo fratello, del 1993, prima opera di Lindquist tradotta in italiano, ha molti aspetti che ricordano la poetica di un grande scrittore contemporaneo dell'infanzia: Philip Ridley. Stessa "corposa" centralità del sentimento, stessa avvincente e convincente struttura dell'incedere, stessa delicatezza dei dialoghi e degli scambi, stessa sostanza pedagogica.
Jonas è figlio unico, ma solo perché è nato qualche anno dopo la morte del fratello avvenuta in circostanze non del tutto chiare. E questa poca chiarezza induce il ragazzo ormai quindicenne a scandagliare la vita del fratello attraverso la frequentazione di amicizie in comune, un diario ritrovato per caso e grazie anche ad una sensibilità fuori del comune.
Scoprirà che il fratello aveva una relazione omosessuale con un coetaneo di origine ceca e che la sua morte è dovuta essenzialmente ad un equivoco.
Si diceva poche righe fa della sostanza pedagogica: nel libro non viene mai meno la "celebrazione" della diversità (termine però inteso in questo senso: non ostentazione dello sbalzo, ma pervicace assunto), anche se spesso affiora un'omogeneità dei sentimenti e del trasporto erotico da far pensare che manchi, quasi paradossalmente un contr'altare "diversamente" omo.
Ma credo sia, anche la mia proposizione, un cercare a tutti i costi l'ago nel pagliaio: Mio fratello e suo fratello è un libricino (per il formato, ovvio) che tocca le corde giuste e lo fa anche con un'abile ricorso alla strumentazione del noir. Un venir a galla, lentamente, di indizi per accumulo che raddoppiano l'interesse. Va di nuovo il pensiero a Philip Ridley: astuto (nel senso positivo del termine) artigiano dello scrivere, abile conoscitore delle tecniche narrative e sopraffino indagatore delle sensibilità altrui.
Solo un appunto: nella sociologia della "diversità" (leggi pure, nel trattare il tema dell'omosessualità) anche Lindquist non fa un passo avanti nel rappresentare il rapporto tra figli e genitori. Anche qui questi ultimi ipocritamente lasciano che le cose vadano per il verso giusto, cioè sbagliato, e abbandonano il figlio vivo nella ricerca di una propria identità sessuale e di quella del povero fratello morto. Brutta bestia la diversità sottaciuta. Che equivale ovviamente a non "legittimarla".
(...) La gente si comporta così di continuo; ci si ferisce, ci si tortura a vicenda. Solo perché si è insicuri o non si riesce a capire. O non si vuole capire. Succede continuamente. Ti avevo avvertito no? Ti avevo detto che forse ti avrei raccontato qualcosa di spiacevole. (pag.65).
di Alfredo Ronci
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Hakan Lindquist
Il collezionista di francobolli
Edizioni del Cardo, Pag.199 Euro 15,80C'è poco da fare, se si vuol ridere dei froci bisogna o andarsi a leggere gli esilaranti fumetti di Ralf König (date un'occhiatina anche al suo sito personale) o andarsi a rivedere qualche vecchio episodio della sit Will e Grace. Sere fa su Sky ne ho gustato uno. Luogo: appartamento di una famiglia italiana (quella cioè del compagno di Will). Dialogo tra una ragazza e l'amico di Will.
Lei: a me pare che tutti i maschi italiani siano gay. Lui: ti credo, visto dove abitano? In uno stivale che sembra quello indossato dalle drag queen.
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