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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Massimo Lugli

L'istinto del lupo

Newton Compton Editori, Pag. 240 Euro 9,90
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Immaginate un ragazzo di buona famiglia romana che a un certo punto della sua adolescenza sente un impulso sfrenato per una vita diversa. In tanti magari l'abbiamo provato, ma quanti hanno poi avuto il coraggio di seguirlo, quell'impulso. Quanti hanno il coraggio di farsi come amico fraterno un barbone di strada col quale iniziare a condividere persino il pasto? E' questa la base da cui parte il secondo romanzo di Massimo Lugli, L'istinto del lupo.

Ambientato in una Roma mai nominata esplicitamente, in un'epoca a cavallo fra la fine degli anni '60 e gli anni '70, la storia ha come protagonista Lapo (che presto diverrà Lupo di nome e di fatto), timido ragazzetto figlio di un professore universitario (ingegnere delle costruzioni) e di una delle tante mamme borghesi e scontente della nostra era. Un'autista all'uscita di scuola, una ragazza madrelingua au pair che gli insegna inglese; pochi, quasi nessun amico. Anzi, botte e insulti come regola dai bulli spavaldi e più grandi della scuola.

Un giorno, c'è sempre un bel giorno da cui tutto parte, anche se non lo ricordiamo, c'è l'incontro con Tamoa. Il barbone, appunto. Da lì, parte la grande avventura di quello che è già stato definito l'Huck Finn romano. Tanta fascinazione per questo, forse cinquantenne?, col fisico da atleta, conoscitore di arti marziali, dedito alle discipline filosofiche orientali. Alla meditazione. Soprattutto un forte attaccamento. Gli fa da mentore e padre, fratello e amico. Gli insegna a combattere (sul serio, cioè spaccandogli la faccia in allenamento) e a tirar fuori quello che di più represso (e borghese) rimane impastoiato nelle buone maniere di casa. E poi la città. I vagabondaggi. Le notti all'addiaccio. Gli incontri più strambi. Pericolosi. La violenza di strada. Che non è come le altre. Lugli ce lo spiega: è una violenza che ferisce, che taglia, che spacca, è dolore di bottiglie rotte in faccia, di sassi, di cemento duro, di cazzotti sui nasi. E' la sensorialità al massimo grado. E' puzzo di urina, di cibo rimediato, di vomito. Viene, sfogliando le pagine di questo libro, il desiderio di veder tornare a casa questo lupetto smarrito; accoccolarsi sotto le coperte del suo letto soffice, col gatto acciambellato sul petto, le premure genitoriali. Viene voglia di dirglielo. Torna, chi te lo fa fare. Invece il dado è tratto. E la storia assumerà, a mano a mano, i toni di un dramma urbano sempre più terribile, fastidioso. Insopportabile. Lugli, da ottimo cronista qual è, dentro questa tortura fisica riesce a infilare preziose carezze di poesia, facendo passare i due personaggi e le loro (dis)avventure su un sentiero temporale il cui contorno è scandito dagli avvenimenti chiave (o alcuni) del nostro passato 'italico' (dal sessantotto in avanti).

Un romanzo diverso, per fortuna, dai classici romanzi nostrani che fino adesso ci hanno raccontato (o ammorbato con) gli anni di piombo, le lotte studentesche, rossi, neri, bianchi, le parole d'ordine e le divise adeguate per riconoscersi. Un romanzo dove c'è l'essenziale. Vestiti rimediati, un tetto di lamiera. Cibo povero. Puttane. Un ragazzo che non sa di politica, un saggio adulto dal passato misterioso (che poi scoprirete). Un vero guru che, come tutti i guru, dovrà a un tratto scomparire per lasciare al discepolo l'abilità di sviluppare la sua personale forza; anche se questa tracimerà in odio puro.



di Adriano Angelini


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Gustoso


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Newton Compton Editori, Pag. 280 Euro 9,90

Scrive Pacchiano sul 'Sole 24 ore': Lugli ha fiato narrativo, ha tenuta, appassiona.
Scrive Laura Laurenzi su 'La Repubblica': La scrittura è secca, asciutta, piena di ritmo, i dialoghi sono fulminanti.
Scrive Paolo Petroni sull'Ansa': La lettura riesce a legarci sino alla fine.
Scrive Gloria Satta su 'Il Messaggero': Sfonda i pur nobili recinti del noir per far entrare definitivamente l'autore nel club dei grandi narratori italiani.

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