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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Adriano Sofri

La notte che Pinelli

Sellerio, Pag.267 Euro 12.00
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Se in una recente indagine nelle scuole il 43 per cento degli studenti attribuiva la strage di Piazza Fontana alle Brigate Rosse, cosa mai potranno sapere, quegli stessi studenti, della tragica fine dell'anarchico Pinelli? E ancora: ha senso, in questo regime informativo, insistere su una vicenda che tutt'ora rappresenta uno dei lati più oscuri della nostra storia recente?

Sofri, crediamo, fa opera meritoria: immagina di raccontare la vicenda ad una ragazza di venti anni che studia diritto e nello stesso tempo, con somma grazia, che gli appartiene da sempre, si toglie molti sassi dalle scarpe e dice le cose come stanno.

Alla fine del libro confessa alla studentessa: Quando hai finito di leggere tutte queste pagine, ragazza – sei stata molto gentile, molto paziente – mi hai fatto le tue osservazioni, e poi avevi qualcosa di più importante da dirmi, si vedeva, ma si vedeva che esitavi. Mi sono messo a ridere, ti ho invitata a dirlo, qualunque obiezione fosse. Non è un'obiezione, hai detto, è una domanda. Che cosa pensi che sia successo, quella notte, al quarto piano della Questura? Ti rispondo. Non lo so.

L'atteggiamento di Sofri in quest'ultima dichiarazione è ultragarantista, ma quel che racconta nelle precedenti pagine spazza via qualsiasi incertezza e ci offre un quadro abbastanza attendibile della tragica vicenda (non fu diretto testimone, ma attraverso le testimonianze di chi visse in prima persona il dramma, fa un resoconto completo dei fatti).

Ma quale fu questa tragica vicenda? In breve, soprattutto per gli studenti di cui sopra, e per chi ha memoria corta: subito dopo la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 che fece 16 morti, fu convocato alla Questura di Milano l'anarchico Giuseppe Pinelli di 41 anni come presunto sospetto. Rimase a disposizione dell'allora commissario Luigi Calabresi per 3 giorni, fino a che a mezzanotte fra il 15 e il 16 dicembre precipita da una finestra posta al quarto piano e muore. Il 17 maggio 1972 Luigi Calabresi viene assassinato a Milano perché da molti indicato come il responsabile del 'suicidio' dell'anarchico.

Ovviamente la vicenda storica del dramma si lega alle personali vicissitudini dello stesso Sofri, che tutt'ora sta scontando la pena perché indicato come mandante del delitto Calabresi. Pur dichiarandosi estraneo alla vicenda il 9 gennaio 2009, in una intervista al Corriere della Sera, nel ribadirsi innocente si è assunto la corresponsabilità morale dell'omicidio.

Si diceva prima dell'opera meritoria di Sofri: oltre a ripresentare un dramma che i giovani farebbero bene a conoscere, offre uno spaccato preciso dell'epoca (ma ribadisce la sua distanza: la differenza fra il nostro modo di pensare di allora e quello di oggi. Una febbre da cui siamo sfebbrati: ci faceva vedere cose che non vediamo più. A un prezzo, anche: di non riuscire più a ricordare e trasmettere la nostra commozione di allora) e i suoi discutibili protagonisti (poliziotti, magistrati e giornalisti): a cominciare dallo stesso commissario Calabresi che non aveva a che fare con quel passato fascista, ma fu 'intransigente' e cocciuto nell'individuare la 'falsa' pista anarchica della strage di Piazza Fontana, dal giudice D'Ambrosio (sì, quello di Mani Pulite) incerto, impreciso (eufemismo!) e fumoso nella sua 'fretta' di chiudere il caso, da un certo giornalismo reazionario (tralasciamo la squallida vicenda Vespa- sì proprio e ancora lui! – ma come non menzionare la posizione assai morbida di Montanelli sui discutibili espedienti polizieschi di interrogare i sospetti, ora che il buon Travaglio – il suo pezzo è di lunedi 20 agosto sul blog di Grillo – ce lo vuol far passare come antifascista dopo la campagna africana (sic!!!!!!!!!)), fino alle posizioni dell'ex questore Serra che nelle sue recenti memorie sembra aver davvero 'dimenticato' come sono andate le cose.

Si diceva prima che Sofri si toglie parecchi sassolini dalle scarpe e lo fa con la dignità e la consapevolezza di chi ha fin troppo pagato per quella vicenda (non soltanto a livello giudiziario, ma soprattutto morale), e se alla fine ammette d'ignorare come andarono effettivamente le cose in quella notte fra il 15 e il 16 dicembre 1969, crediamo lo faccia non solo per una sorta di garantismo 'giusto', ma perché le verità sbandierate in questo paese sono sempre appartenute, nonostante quasi mai vere, al potere costituito. E ci piace pensare che Sofri, nonostante i tempi siano cambiati, non voglia averci a che fare.



di Alfredo Ronci


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