RECENSIONI
Francesco Guccini
Dizionario delle cose perdute
Mondadori, Pag. 142 Euro 10,00
Mi aveva incuriosita l'intervista rilasciata a Fabio Fazio in 'Che tempo che fa', su Rai tre. Guccini era stato simpatico e confesso che era riuscito a crearmi aspettativa. Ora, a lettura ultimata, devo ammettere un po' di delusione. Questo libro può acquistare un valore molto differente (nel senso che c'è un abisso!) in base all'età del lettore. Per chi come me ha conosciuto gli anni Cinquanta ha un forte potere evocativo, risveglia ricordi e in un certo senso consola. La sensazione di aver vissuto parte della vita su un altro pianeta, un mondo estinto di cui si è gli unici sopravvissuti, cede davanti alla possibilità di confrontarsi con ricordi simili ai propri, e di rimettere a fuoco immagini sfumate nella memoria, se non addirittura dimenticate.
Costruita in ghisa, acciaio e terra refrattaria, era alta circa ottanta centimetri e aveva una piastra di cottura di centocinquanta centimetri di lunghezza per settanta di profondità. Al centro della piastra di ghisa una serie di cerchi concentrici estraibili permetteva l'inserimento di pentole di diverse dimensioni per farle arrivare a diretto contatto con la fiamma. (...) Due gli accessori: una spranghetta di ferro di una cinquantina di centimetri con la quale si potevano rimuovere i cerchi senza scottarsi, e un mestolo dalla curiosa forma ovoidale per rimestare nella caldaia che era foggiata a parallelepipedo.
Questa era la cucina di una volta, che bruciava legna e carbone. Io ricordo che nello sportello della cenere si potevano cuocere squisite mele, e che bacche di eucaliptus, gettate direttamente fra le braci, venivano poi raccolte con una pala di ferro e portate fin sotto il mio letto quando, da bambina, necessitavo di suffumigi. Ma per coinvolgere lettori più giovani ci vorrebbe altro. Più suggestione nel ricreare atmosfere del passato e renderne il sapore, toni più brillanti nel descrivere le situazioni assurde e divertenti che sarebbero oggi impensabili nelle stesse circostanze. C'è per esempio un capitolo dedicato al ballo.
Chi aveva una conoscenza, una mezza morosa, andava sul sicuro, chi invece era a piedi si sottoponeva a una pratica barbarica che consisteva nel mettersi di fronte alla ragazza desiderata, fare un leggero inchino e sibilare, mondano: "Balla, signorina?" Al che avvenivano due cose, o la ragazza, con un leggiadro cenno del capo, si alzava e i due cominciavano a vorticare, o la stessa, dopo aver squadrato il malcapitato dall'alto in basso, mormorava: "No, grazie" e il poveretto doveva proseguire il suo giro per cercarne una meglio disposta.
E ancora sulle gomme da masticare, arrivate dall'America nel dopoguerra. Una diavoleria tutta da scoprire.
Ma il vero divertimento non era tanto masticare quanto infilarsi pollice e indice in bocca ed estrarne un lungo filo rosato, badando bene che non si spezzasse, rimettere il tutto in bocca e ripetere l'operazione...
Eh, sì, anch'io tiravo fuori la gomma, che allora era un malluccone rosa, come dice Guccini, e ci facevo bolle e schiocchi, le prime soffiandoci dentro e i secondi tramite risucchio. Questo dopo aver capito di che si trattasse. Ma all'inizio, quand'ero piccola, ero convinta che quella cosa rosa in bocca alle bambine più grandi fosse prosciutto cotto. Così ogni volta che a tavola mi si dava del prosciutto provavo a farci le bolle, e concludevo il pranzo in punizione.
Mi ha suscitato ricordi e nostalgia, questo libro, tanto che avrei voglia di riscriverlo, ma in modo più divertente. Invece qui lo stile è appannato e a volte perfino un po' sciatto, e soprattutto Guccini non riesce ancora a scrollarsi di dosso una patina di umorismo goliardico davvero un po' demodé.
di Giovanna Repetto
Costruita in ghisa, acciaio e terra refrattaria, era alta circa ottanta centimetri e aveva una piastra di cottura di centocinquanta centimetri di lunghezza per settanta di profondità. Al centro della piastra di ghisa una serie di cerchi concentrici estraibili permetteva l'inserimento di pentole di diverse dimensioni per farle arrivare a diretto contatto con la fiamma. (...) Due gli accessori: una spranghetta di ferro di una cinquantina di centimetri con la quale si potevano rimuovere i cerchi senza scottarsi, e un mestolo dalla curiosa forma ovoidale per rimestare nella caldaia che era foggiata a parallelepipedo.
Questa era la cucina di una volta, che bruciava legna e carbone. Io ricordo che nello sportello della cenere si potevano cuocere squisite mele, e che bacche di eucaliptus, gettate direttamente fra le braci, venivano poi raccolte con una pala di ferro e portate fin sotto il mio letto quando, da bambina, necessitavo di suffumigi. Ma per coinvolgere lettori più giovani ci vorrebbe altro. Più suggestione nel ricreare atmosfere del passato e renderne il sapore, toni più brillanti nel descrivere le situazioni assurde e divertenti che sarebbero oggi impensabili nelle stesse circostanze. C'è per esempio un capitolo dedicato al ballo.
Chi aveva una conoscenza, una mezza morosa, andava sul sicuro, chi invece era a piedi si sottoponeva a una pratica barbarica che consisteva nel mettersi di fronte alla ragazza desiderata, fare un leggero inchino e sibilare, mondano: "Balla, signorina?" Al che avvenivano due cose, o la ragazza, con un leggiadro cenno del capo, si alzava e i due cominciavano a vorticare, o la stessa, dopo aver squadrato il malcapitato dall'alto in basso, mormorava: "No, grazie" e il poveretto doveva proseguire il suo giro per cercarne una meglio disposta.
E ancora sulle gomme da masticare, arrivate dall'America nel dopoguerra. Una diavoleria tutta da scoprire.
Ma il vero divertimento non era tanto masticare quanto infilarsi pollice e indice in bocca ed estrarne un lungo filo rosato, badando bene che non si spezzasse, rimettere il tutto in bocca e ripetere l'operazione...
Eh, sì, anch'io tiravo fuori la gomma, che allora era un malluccone rosa, come dice Guccini, e ci facevo bolle e schiocchi, le prime soffiandoci dentro e i secondi tramite risucchio. Questo dopo aver capito di che si trattasse. Ma all'inizio, quand'ero piccola, ero convinta che quella cosa rosa in bocca alle bambine più grandi fosse prosciutto cotto. Così ogni volta che a tavola mi si dava del prosciutto provavo a farci le bolle, e concludevo il pranzo in punizione.
Mi ha suscitato ricordi e nostalgia, questo libro, tanto che avrei voglia di riscriverlo, ma in modo più divertente. Invece qui lo stile è appannato e a volte perfino un po' sciatto, e soprattutto Guccini non riesce ancora a scrollarsi di dosso una patina di umorismo goliardico davvero un po' demodé.
di Giovanna Repetto
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Non so che viso avesse
Mondadori, Pag. 225 Euro 18,00Sottotitolo: quasi un'autobiografia. Quel quasi mi insospettiva, ma me ne ero data una spiegazione. Mi ero detta: parlerà di sé, un po' raccontando e un po' divagando, come quando si mescolano ricordi e pensieri. E all'inizio infatti Guccini racconta della sua infanzia, cominciando con l'ambientazione nella suggestiva cornice del mulino dei nonni. Io sono sensibile ai mulini, perché ne ricordo uno anch'io, e mi sono lasciata intenerire, anche se lui la faceva un po' lunga partendo dagli antenati.
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