RECENSIONI
Alessandro Bertante
Al Diavul
Marsilio, Pag. 245 Euro 17,00
Quando Antonio Scurati nel suo saggio La letteratura dell'inesperienza (Bompiani) aveva ipotizzato che solo il tragico restituiva la consapevolezza del vivere e che , riporto testualmente le sue parole, oggi la nostra letteratura, con buona pace di Marx, è generalmente priva di un contenuto... ciò che manca è quella "elementare universalità dei contenuti" che caratterizzava il neorealismo italiano del dopoguerra, quella presenza di elementi extraletterari tanto massiccia ed indiscutibile da sembrare "un dato di natura" avevo storto il naso. Soprattutto dopo che aveva indicato La Storia di Elsa Morante come esempio fulgido da seguire.
Però sotto sotto qualche ragione l'aveva: meglio ancora, gli danno ragione quei romanzi che, lungi dall'essere meri strumenti di una mercificazione di massa, raccontano la nostra Storia (sì con la maiuscola, tanto per essere in tema) attraverso la rivisitazione della nostra memoria.
Alessandro Bertante con Al Diavul si pone sullo stesso livello di Massimo Carlotto che con La terra della mia anima (e/o) raccontava la storia del 'malavitoso' comunista Beniamino Rossini e di Luigi Balocchi che con Il diavolo custode (Meridiano zero) ci narrava del bandito Sante che si fa beffa anche della polizia fascista.
Le vicende di Errico Nebbiascura che scrive queste pagine perché non si perda la memoria di una vita, ha avuto la sfortuna e il privilegio di vivere nel Novecento, il secolo più frenetico e violento che la nostra Storia ricordi (pag.150), che erede di un 'sentire' anarchico che gli viene dal padre, parte dal suo piccolo paese per andare a combattere a fianco dei repubblicani nella guerra civile spagnola, hanno il significato pregnante di un ribaltamento prospettico del 'fare letteratura'. Potrebbe intravedersi in esso un impegno civile, politico, ma mi sento di dire che è nella esigenza di una ri-costruzione culturale che Bertante mostra una diversità di approccio che ce lo fa sentire più vicino e addirittura indispensabile.
Poi è davanti agli occhi di tutti la deriva della nostra narrativa, dei 'nostri' premi letterari che innalzano alla gloria operette scritte bene e foriere di futuri e promettenti sviluppi ma vistosamente zoppicanti dal lato dell'edificio psicologico, quasi inverosimili (leggi: Paolo Giordano, Premio Strega 2008, La solitudine dei numeri primi – Mondadori).
Bertante va giù duro: ci sembra quasi che Errico Nebbiascura, nella sua urgenza di porsi dalla parte migliore del mondo (checché ne dicano revisionisti e lacché della politica della riconciliazione, esiste), possa essere davvero un alter-ego dello scrittore. Tra l'altro considerazioni del personaggio diventano straordinariamente attuali: Sapevano anche che il fascismo, in tutte le sue forme, non è mai una roba da sottovalutare, specie quando c'è una borghesia ricca e rancorosa, terrorizzata dalla nuova volontà delle masse (pag.141).
Dunque Al Diavul diventa un libro necessario, che va letto quasi come una sorta di esperienza diretta (dire autobiografica sarebbe eccessivo, ma mi piace comunque suggerirlo) e va letto anche come 'altro' vitale rispetto alla normale offerta editoriale.
Mi piace chiudere con una frase indicativa del romanzo: La Rivoluzione non si può fare solo con l'odio. Certo, potrebbe sembrare una dichiarazione d'altri tempi, ma considerando come si comporta il Veltroni buonista che indice una manifestazione in autunno quando il paese è in declino e ridicolizzato a giugno, allora assume un rilievo per nulla marginale.
di Alfredo Ronci
Però sotto sotto qualche ragione l'aveva: meglio ancora, gli danno ragione quei romanzi che, lungi dall'essere meri strumenti di una mercificazione di massa, raccontano la nostra Storia (sì con la maiuscola, tanto per essere in tema) attraverso la rivisitazione della nostra memoria.
Alessandro Bertante con Al Diavul si pone sullo stesso livello di Massimo Carlotto che con La terra della mia anima (e/o) raccontava la storia del 'malavitoso' comunista Beniamino Rossini e di Luigi Balocchi che con Il diavolo custode (Meridiano zero) ci narrava del bandito Sante che si fa beffa anche della polizia fascista.
Le vicende di Errico Nebbiascura che scrive queste pagine perché non si perda la memoria di una vita, ha avuto la sfortuna e il privilegio di vivere nel Novecento, il secolo più frenetico e violento che la nostra Storia ricordi (pag.150), che erede di un 'sentire' anarchico che gli viene dal padre, parte dal suo piccolo paese per andare a combattere a fianco dei repubblicani nella guerra civile spagnola, hanno il significato pregnante di un ribaltamento prospettico del 'fare letteratura'. Potrebbe intravedersi in esso un impegno civile, politico, ma mi sento di dire che è nella esigenza di una ri-costruzione culturale che Bertante mostra una diversità di approccio che ce lo fa sentire più vicino e addirittura indispensabile.
Poi è davanti agli occhi di tutti la deriva della nostra narrativa, dei 'nostri' premi letterari che innalzano alla gloria operette scritte bene e foriere di futuri e promettenti sviluppi ma vistosamente zoppicanti dal lato dell'edificio psicologico, quasi inverosimili (leggi: Paolo Giordano, Premio Strega 2008, La solitudine dei numeri primi – Mondadori).
Bertante va giù duro: ci sembra quasi che Errico Nebbiascura, nella sua urgenza di porsi dalla parte migliore del mondo (checché ne dicano revisionisti e lacché della politica della riconciliazione, esiste), possa essere davvero un alter-ego dello scrittore. Tra l'altro considerazioni del personaggio diventano straordinariamente attuali: Sapevano anche che il fascismo, in tutte le sue forme, non è mai una roba da sottovalutare, specie quando c'è una borghesia ricca e rancorosa, terrorizzata dalla nuova volontà delle masse (pag.141).
Dunque Al Diavul diventa un libro necessario, che va letto quasi come una sorta di esperienza diretta (dire autobiografica sarebbe eccessivo, ma mi piace comunque suggerirlo) e va letto anche come 'altro' vitale rispetto alla normale offerta editoriale.
Mi piace chiudere con una frase indicativa del romanzo: La Rivoluzione non si può fare solo con l'odio. Certo, potrebbe sembrare una dichiarazione d'altri tempi, ma considerando come si comporta il Veltroni buonista che indice una manifestazione in autunno quando il paese è in declino e ridicolizzato a giugno, allora assume un rilievo per nulla marginale.
di Alfredo Ronci
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