RECENSIONI
Fabio Zanello
American mullah
Coniglio Editore, Pag. 63 Euro 5,00
American Mullah è l'ultimo lavoro di Fabio Zanello, l'ulteriore snodo del suo serpente di carta.
Per pensare lo Zanello, uno dovrebbe pensare insieme a Joseph Cornell e a Charles Simic. Il primo è quell'anima di finto e terribile candore, quello spirito religiosissimo, che ha vagato anni e anni per tutta Nuova York, alla ricerca incessante di oggetti smarriti e isolati da riunire nelle sue fantastiche scatoline. Il secondo è il poeta che ne ha raccontato la vita in un libro strepitoso (Il cacciatore di immagini, Adelphi).
E, allora, Zanello è il poeta che racconta l'incastro delle sue scatole fatte di paesaggi, storie, pensieri, concetti, dubbi, vita.
Così vorrei considerare anche questo piccolo saggio, che riunisce le voci sparse per l'etere dei profeti e dei predicatori del cristianesimo fondamentalista americano, degli evangelici, di quel movimento ultraconservatore che si richiama al radicalismo morale del giudeo-cristianesimo e che, coerentemente, appoggia la destra americana da venti anni, soprattutto lì dove questa riesce a porre al centro della proprie prospettive quei temi che si contrappongono in termini protestanti alla pietas pagana: l'intolleranza verso l'altro (che non riconosce la verità), l'inclemenza contro il vinto (ha perso perché Dio lo voleva), il razzismo (i cristiani non riconoscono il vincolo gioviale dell'ospitalità), l'individualismo e il liberalismo (la competizione: Dio premia i suoi), l'odio per l'ambiente (che non è fatto a immagine e somiglianza di Dio): un movimento violento, dalla chiara inclinazione inumana; un movimento terroristico parallelo (o si potrebbe ipotizzare: alla base) del terrorismo islamico.
Zanello lega queste voci sparse in un montaggio sensazionale, dove la sua voce sottile e ironica riesce a farsi sentire pur diventando subito assente (assente in virtù di una figura retorica barocca). E sicuramente il modo migliore di accostare il suo libricino, è il metodo stesso del libricino: fare parlare i profeti.
Bene, la scelta è ricca e si potrebbe pescare a caso.
Per esempio se vi state domando perché, anche qui in Italia, avete difficoltà a iscrivere alla scuola pubblica i vostri figli (mancano le classi, mancano gli insegnanti; siete obbligati a scegliere il tempo pieno; la scuola si trova in un altro quartiere, e via dicendo) e vi ritrovate a doverli mandare dalla suore (che non paghe della questua delle tasse, taccheggiano anche grandi rette; è per questo che si dice vivere all'accattolica?) ecco la risposta: "un giorno, spero nei prossimi dieci anni, posso garantire che noi avremo più scuole cristiane che scuole pubbliche. Io spero di vivere per vedere il giorno in cui non avremo più alcuna scuola pubblica". Questo è Jerry Falwell, e Jerry Falwell è anche "l'omosessualità è il sintomo di una società malata di peccato". E ce n'è per tutti, dal creazionismo al maschilismo. Ma, per tutto, e più di tutto, vale questo: "noi siamo in Iraq in missione cristiana." Parla Franklin Graham, e Franklin Graham parla, insieme alla totalità dei suoi colleghi profeti, di Armageddon.
L'Armageddon (la "guerra infinita", come si è provata a rivenderla) è il parto di quella mostruosa capacità di incancrenire le metafore del monoteismo (lo spiegava bene Sant'Antonio che i demoni, che vengono dall'anima, sono metafore e non fanno male, e gli angeli, frutto dello spirito, sterminano): una modesta sconfitta nel modesto paesino di Armagiddo, una caporetto, diventa l'allegoria del bisogno di esaltazione del divino a detrimento dell'umano: e, da allegoria, diventa un concreto e morboso bisogno purificatorio di distruzione.
Un parte di noi parla questa lingua, e ha bisogno di questa purezza e distruzione: potremmo chiamarla con il nome di fantasia ebraica. Ma un'altra parte di noi ha bisogno di contaminazione e vita, di pietà e amore: è la nostra fantasia greca.
Nel rinascimento italiano, ad opera di Ficino, Pico, Gemisto Pletone, queste due fantasie furono riunite. Fu un breve momento di splendore, a cui dovremmo tornare a guardare per scongiurare che la piccola caporetto umana di alcuni individui diventi l'Armageddon dell'umanità.
di Pier Paolo Di Mino
Per pensare lo Zanello, uno dovrebbe pensare insieme a Joseph Cornell e a Charles Simic. Il primo è quell'anima di finto e terribile candore, quello spirito religiosissimo, che ha vagato anni e anni per tutta Nuova York, alla ricerca incessante di oggetti smarriti e isolati da riunire nelle sue fantastiche scatoline. Il secondo è il poeta che ne ha raccontato la vita in un libro strepitoso (Il cacciatore di immagini, Adelphi).
E, allora, Zanello è il poeta che racconta l'incastro delle sue scatole fatte di paesaggi, storie, pensieri, concetti, dubbi, vita.
Così vorrei considerare anche questo piccolo saggio, che riunisce le voci sparse per l'etere dei profeti e dei predicatori del cristianesimo fondamentalista americano, degli evangelici, di quel movimento ultraconservatore che si richiama al radicalismo morale del giudeo-cristianesimo e che, coerentemente, appoggia la destra americana da venti anni, soprattutto lì dove questa riesce a porre al centro della proprie prospettive quei temi che si contrappongono in termini protestanti alla pietas pagana: l'intolleranza verso l'altro (che non riconosce la verità), l'inclemenza contro il vinto (ha perso perché Dio lo voleva), il razzismo (i cristiani non riconoscono il vincolo gioviale dell'ospitalità), l'individualismo e il liberalismo (la competizione: Dio premia i suoi), l'odio per l'ambiente (che non è fatto a immagine e somiglianza di Dio): un movimento violento, dalla chiara inclinazione inumana; un movimento terroristico parallelo (o si potrebbe ipotizzare: alla base) del terrorismo islamico.
Zanello lega queste voci sparse in un montaggio sensazionale, dove la sua voce sottile e ironica riesce a farsi sentire pur diventando subito assente (assente in virtù di una figura retorica barocca). E sicuramente il modo migliore di accostare il suo libricino, è il metodo stesso del libricino: fare parlare i profeti.
Bene, la scelta è ricca e si potrebbe pescare a caso.
Per esempio se vi state domando perché, anche qui in Italia, avete difficoltà a iscrivere alla scuola pubblica i vostri figli (mancano le classi, mancano gli insegnanti; siete obbligati a scegliere il tempo pieno; la scuola si trova in un altro quartiere, e via dicendo) e vi ritrovate a doverli mandare dalla suore (che non paghe della questua delle tasse, taccheggiano anche grandi rette; è per questo che si dice vivere all'accattolica?) ecco la risposta: "un giorno, spero nei prossimi dieci anni, posso garantire che noi avremo più scuole cristiane che scuole pubbliche. Io spero di vivere per vedere il giorno in cui non avremo più alcuna scuola pubblica". Questo è Jerry Falwell, e Jerry Falwell è anche "l'omosessualità è il sintomo di una società malata di peccato". E ce n'è per tutti, dal creazionismo al maschilismo. Ma, per tutto, e più di tutto, vale questo: "noi siamo in Iraq in missione cristiana." Parla Franklin Graham, e Franklin Graham parla, insieme alla totalità dei suoi colleghi profeti, di Armageddon.
L'Armageddon (la "guerra infinita", come si è provata a rivenderla) è il parto di quella mostruosa capacità di incancrenire le metafore del monoteismo (lo spiegava bene Sant'Antonio che i demoni, che vengono dall'anima, sono metafore e non fanno male, e gli angeli, frutto dello spirito, sterminano): una modesta sconfitta nel modesto paesino di Armagiddo, una caporetto, diventa l'allegoria del bisogno di esaltazione del divino a detrimento dell'umano: e, da allegoria, diventa un concreto e morboso bisogno purificatorio di distruzione.
Un parte di noi parla questa lingua, e ha bisogno di questa purezza e distruzione: potremmo chiamarla con il nome di fantasia ebraica. Ma un'altra parte di noi ha bisogno di contaminazione e vita, di pietà e amore: è la nostra fantasia greca.
Nel rinascimento italiano, ad opera di Ficino, Pico, Gemisto Pletone, queste due fantasie furono riunite. Fu un breve momento di splendore, a cui dovremmo tornare a guardare per scongiurare che la piccola caporetto umana di alcuni individui diventi l'Armageddon dell'umanità.
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Fabio Zanello
Caffeina mon amour (letteratura e poesia araba classica sul caffè e altri stimolanti)
Coniglio Editore, Pag. 63 Euro 5,00In questo trascuratissimo anniversario del Futurismo riaprire una querelle mistique sull'uso del caffè non sarebbe stato inopportuno, se il mito allucinato del corroborante quale lo vollero frequentare Marinetti e i suoi cardiopalmici sodali, in questa barca che affonda chiamata Itaglia, non fosse decaduto a tazzuriella 'e caffè, dico quella di cui si abbuffa, dopo tanta spremitura di intelligenze e sensi civici, il linguapendulo elettorale chiamato ad espletare in cabina al richiamo del padrone; e se, dunque, il suddetto futurismo, nel suddetto anniversario, non fosse stato tanto trascurato.
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