RECENSIONI
Flavio Santi
Aspetta primavera, Lucky
Socrates edizioni, Pag. 143 Euro 9,00
Caro Bianciardi, tu non puoi saperlo, ma noi siamo la prima generazione di intellettuali-operai. Che buffo, una volta Flaiano ha scritto: "Non ci restano che gli artisti a voler sembrare operai". Adesso lo siamo diventati per davvero, e non per posa snobistica. C'è stata una sottile evoluzione della specie umana: dal proletariato delle fabbriche siderurgiche e metalmeccaniche a quello dei plurilaureati. Oggi le classi meno agiate sono spesso quelle che hanno il più alto grado di istruzione. Senza soldi, senza futuro e senza nulla da perdere e da rimpiangere. Vero. Almeno: sin qua.
Aspetta primavera, Lucky, quarto libro di narrativa di Flavio Santi, è un magnifico dramma esistenziale e generazionale. È il canto del cigno d'una generazione che sembra aver perso la battaglia senza nemmeno aver potuto cominciare a combattere. Il romanzo di Santi è una sintesi appassionata e trascinante di tanta onesta, buona e ispirata narrativa sul precariato intellettuale, dal paradigma bianciardiano in avanti: e ha una personalità così forte che può pretendere di surclassarla. Può essere un punto a capo. Potrebbe esserlo. Flavio Santi ha un grande stile, e sembra scrivere grondando sentimento, senza mentire. Sentimento e coraggio e umanità grondano con la stessa, ciclopica intensità. È un libro che somiglia molto alle cose più belle che potevano capitarci in questi anni. Meglio: il protagonista di questo libro somiglia molto alle poche persone belle, sfortunate, talentuose e inquiete che abbiamo incontrato. Alle poche persone vere che abbiamo incontrato, quelle che abbiamo amato e che stanno ancora qui, nella vita quotidiana di tutti noi. Sono poche. Ma sono qui. Il narratore è molto famigliare, in questo senso, e ti viene da raccontargli anche tu qualcosa, perché si senta meno disperato, meno arrabbiato forse. Ti viene da raccontargli qualcosa perché senta ancora e sempre voglia di combattere per la repubblica dei letterati e della letteratura, fino alla morte.
Ma consolazione diversa da suggerire fantasia e utopia e speranza io non sento di darla. So che dobbiamo ritrovare fantasia, utopia e speranza. Profondamente. Il vecchio mondo sta finendo e sta finendo male. Forse, Santi, è già finito tutto quanto da un pezzo. Era tutto abbastanza finto già quando lo denunciava Bianciardi, e adesso l'unica cosa vera rimasta sono le persone. Poche persone. Il sistema s'è disintegrato, e non ci crede più nessuno. Forse i soldi servono a farci credere che esista ancora, e che abbia senso. Servono a quello e basta. Il resto è ideale e non dipende dal denaro né dal nostro ruolo. È, appunto, ideale e basta.
Il narratore di questo libro è uno che ha scoperto che a dispetto del mazzo straordinario che si fa mese dopo mese (anno dopo anno: da anni) guadagna quanto un portinaio. E il dramma è che appartiene a quella generazione (l'ultima) che credeva che studiando e perfezionando la propria istruzione avrebbe potuto – come si suol dire – arrivare in alto. La vita lo sta dissanguando, scrive. Sogna un paio di giorni di pace. per ora non è possibile. Chissà quando sarà possibile. Se mai sarà possibile. Vivo appeso a un periodo ipotetico. Appeso a un cappio invece ci è finito un mio amico, per cui al momento mi ritengo fortunato.
Fulvio Santi è uno che sta facendo strame della sua vita. Si sta sfasciando di traduzioni, pur di campare. Testa sotto terra, come uno struzzo, e lavorare. È uno stuntman delle Lettere: imprese difficili o rocambolesche, stipendio da fame, e se il lavoro finisce per andar bene tutti i meriti vanno a un altro. Triste. Santi ha il chiodo fisso che la vita dipenda dal caso, da dove si nasce, con quanti e quali contatti, quante e quali opportunità di crescita. Naturalmente è un chiodo fisso pieno di senso, e decisamente credibile. Perché è proprio così. Se Pasolini fosse rimasto in Friuli, come congettura l'artista nelle prime pagine, non sarebbe mai diventato Pier Paolo Pasolini. Niente Roma, niente contatti, niente cinema, niente grande editoria. Piuttosto: tanta dedizione al mestiere di insegnante, tanta discrezione per le proprie scelte erotiche, qualche poesia, tante lettere spedite di qua e di là. Sì. Senza un padrino non sarebbe diventato l'artista che abbiamo conosciuto, restando a Casarsa. È abbastanza pacifico. Ma aggiungo una cosa: Roma o non Roma, senza un certo partito, in quegli anni – duole dirlo – Pasolini non diventava Pasolini in nessun caso.
Fulvio Santi odia il potere. Odia il potere perché, scrive, ha capito che è il vero anello di congiunzione tra l'uomo e la bestia. em>Il potere non è utile, non nobilita, non migliora, semplicemente credo che avvicini l'uomo al più basso livello di bestialità. Non esistono poteri buoni, cantava De Andrè. De Andrè aveva ragione. Fulvio Santi odia il potere e sogna la 'respublica literatorum', come i nostri grandi e indimenticati umanisti. La repubblica degli scrittori, un paradiso dove tutti si vogliono bene, non ci sono invidie, doppi fini, ci si aiuta a vicenda, si riconosce con gioia il talento degli altri, ci si sostiene con sincero slancio. Santi ha sempre avuto l'idea che lo scrittore possa e debba essere un uomo eccezionale, diverso dagli altri, più bello, più buono, più giusto. Santi ha sempre creduto che lo scrittore dovesse essere gentile. Perché gentilezza significa mettersi a disposizione della vita e degli altri, ripete, per poi saperla accogliere e raccontare con umanità. Sacrosanto. E invece, Santi, quante volte è stato terribilmente deludente, noioso o respingente incontrare certi artisti? Io direi tutte le volte in cui non si trattava di veri artisti. Quasi sempre.
Esce una sua nuova traduzione di Sant. A me interessa quante bollette mi scala un volume di quattrocento e passa pagine. Vediamo. Luce, telefono e gas per un po' di mesi. Spesa un po' più decente, non più al discount per un po'. Prende e sfoglia il librone domandandosi quanto respiro gli darà: per quanti mesi. E meditando poi sulle traduzioni prossime venture, Sant s'accorge che le sta pesando, e non pensando. Sta pesando il numero di pagine che potranno derivarne. Le sta traducendo in bollette. Fa bene.
di Gianfranco Franchi
Aspetta primavera, Lucky, quarto libro di narrativa di Flavio Santi, è un magnifico dramma esistenziale e generazionale. È il canto del cigno d'una generazione che sembra aver perso la battaglia senza nemmeno aver potuto cominciare a combattere. Il romanzo di Santi è una sintesi appassionata e trascinante di tanta onesta, buona e ispirata narrativa sul precariato intellettuale, dal paradigma bianciardiano in avanti: e ha una personalità così forte che può pretendere di surclassarla. Può essere un punto a capo. Potrebbe esserlo. Flavio Santi ha un grande stile, e sembra scrivere grondando sentimento, senza mentire. Sentimento e coraggio e umanità grondano con la stessa, ciclopica intensità. È un libro che somiglia molto alle cose più belle che potevano capitarci in questi anni. Meglio: il protagonista di questo libro somiglia molto alle poche persone belle, sfortunate, talentuose e inquiete che abbiamo incontrato. Alle poche persone vere che abbiamo incontrato, quelle che abbiamo amato e che stanno ancora qui, nella vita quotidiana di tutti noi. Sono poche. Ma sono qui. Il narratore è molto famigliare, in questo senso, e ti viene da raccontargli anche tu qualcosa, perché si senta meno disperato, meno arrabbiato forse. Ti viene da raccontargli qualcosa perché senta ancora e sempre voglia di combattere per la repubblica dei letterati e della letteratura, fino alla morte.
Ma consolazione diversa da suggerire fantasia e utopia e speranza io non sento di darla. So che dobbiamo ritrovare fantasia, utopia e speranza. Profondamente. Il vecchio mondo sta finendo e sta finendo male. Forse, Santi, è già finito tutto quanto da un pezzo. Era tutto abbastanza finto già quando lo denunciava Bianciardi, e adesso l'unica cosa vera rimasta sono le persone. Poche persone. Il sistema s'è disintegrato, e non ci crede più nessuno. Forse i soldi servono a farci credere che esista ancora, e che abbia senso. Servono a quello e basta. Il resto è ideale e non dipende dal denaro né dal nostro ruolo. È, appunto, ideale e basta.
Il narratore di questo libro è uno che ha scoperto che a dispetto del mazzo straordinario che si fa mese dopo mese (anno dopo anno: da anni) guadagna quanto un portinaio. E il dramma è che appartiene a quella generazione (l'ultima) che credeva che studiando e perfezionando la propria istruzione avrebbe potuto – come si suol dire – arrivare in alto. La vita lo sta dissanguando, scrive. Sogna un paio di giorni di pace. per ora non è possibile. Chissà quando sarà possibile. Se mai sarà possibile. Vivo appeso a un periodo ipotetico. Appeso a un cappio invece ci è finito un mio amico, per cui al momento mi ritengo fortunato.
Fulvio Santi è uno che sta facendo strame della sua vita. Si sta sfasciando di traduzioni, pur di campare. Testa sotto terra, come uno struzzo, e lavorare. È uno stuntman delle Lettere: imprese difficili o rocambolesche, stipendio da fame, e se il lavoro finisce per andar bene tutti i meriti vanno a un altro. Triste. Santi ha il chiodo fisso che la vita dipenda dal caso, da dove si nasce, con quanti e quali contatti, quante e quali opportunità di crescita. Naturalmente è un chiodo fisso pieno di senso, e decisamente credibile. Perché è proprio così. Se Pasolini fosse rimasto in Friuli, come congettura l'artista nelle prime pagine, non sarebbe mai diventato Pier Paolo Pasolini. Niente Roma, niente contatti, niente cinema, niente grande editoria. Piuttosto: tanta dedizione al mestiere di insegnante, tanta discrezione per le proprie scelte erotiche, qualche poesia, tante lettere spedite di qua e di là. Sì. Senza un padrino non sarebbe diventato l'artista che abbiamo conosciuto, restando a Casarsa. È abbastanza pacifico. Ma aggiungo una cosa: Roma o non Roma, senza un certo partito, in quegli anni – duole dirlo – Pasolini non diventava Pasolini in nessun caso.
Fulvio Santi odia il potere. Odia il potere perché, scrive, ha capito che è il vero anello di congiunzione tra l'uomo e la bestia. em>Il potere non è utile, non nobilita, non migliora, semplicemente credo che avvicini l'uomo al più basso livello di bestialità. Non esistono poteri buoni, cantava De Andrè. De Andrè aveva ragione. Fulvio Santi odia il potere e sogna la 'respublica literatorum', come i nostri grandi e indimenticati umanisti. La repubblica degli scrittori, un paradiso dove tutti si vogliono bene, non ci sono invidie, doppi fini, ci si aiuta a vicenda, si riconosce con gioia il talento degli altri, ci si sostiene con sincero slancio. Santi ha sempre avuto l'idea che lo scrittore possa e debba essere un uomo eccezionale, diverso dagli altri, più bello, più buono, più giusto. Santi ha sempre creduto che lo scrittore dovesse essere gentile. Perché gentilezza significa mettersi a disposizione della vita e degli altri, ripete, per poi saperla accogliere e raccontare con umanità. Sacrosanto. E invece, Santi, quante volte è stato terribilmente deludente, noioso o respingente incontrare certi artisti? Io direi tutte le volte in cui non si trattava di veri artisti. Quasi sempre.
Esce una sua nuova traduzione di Sant. A me interessa quante bollette mi scala un volume di quattrocento e passa pagine. Vediamo. Luce, telefono e gas per un po' di mesi. Spesa un po' più decente, non più al discount per un po'. Prende e sfoglia il librone domandandosi quanto respiro gli darà: per quanti mesi. E meditando poi sulle traduzioni prossime venture, Sant s'accorge che le sta pesando, e non pensando. Sta pesando il numero di pagine che potranno derivarne. Le sta traducendo in bollette. Fa bene.
di Gianfranco Franchi
CERCA
NEWS
-
12.11.2024
La nave di Teseo.
Settembre nero. -
12.11.2024
Tommaso Pincio
Panorama. -
4.11.2024
Alessandro Barbero
Edizioni Effedi. La voglia dei cazzi.
RECENSIONI
-
Han Kang
La vegetariana
-
Han Kang
Atti umani
-
Giuliano Pavone
Per diventare Eduardo
ATTUALITA'
-
Ettore Maggi
La grammatica della Geopolitica.
-
marco minicangeli
CAOS COSMICO
-
La redazione
Trofeo Rill. I risultati.
CLASSICI
CINEMA E MUSICA
-
Marco Minicangeli
La gita scolastica
-
Marco Minicangeli
Juniper - Un bicchiere di gin
-
Lorenzo Lombardi
IL NERD, IL CINEFILO E IL MEGADIRETTORE GENERALE
RACCONTI
-
Fiorella Malchiodi Albedi
Ad essere infelici sono buoni tutti.
-
Roberto Saporito
30 Ottobre
-
Marco Beretti
Tonino l'ubriacone