RECENSIONI
Francesca Ferrando
Belle anime porche
Press utopia, Pag. 236 Euro 13,00
Non è libro di facile reperibilità, ma dovunque voi siate cercatelo, perché probabilmente è la storia più commovente che ci sia in circolazione e, sfido a singolar tenzone tutte le babbione-brutte bertucce dell'intellighenzia nostrana, il miglior romanzo del 2006 scritto da una donna.
Libro di per sé paraculissimo, che sfrutta al meglio, come direbbe il nostro Giovanni Sebastiano Del Rio, l'emergenza ggiùvani, capito?... tutte 'ste panzanate sull'anoressia, sull'abbandono, sulla provincia, sul rosa hard col versante sàiber e il razzo a tre stadi dietro... come la racchetta della Simona Vinci.
Tutto sta a vedere come lo si fa: la Ferrando usa tutti i mezzi a sua disposizione (compresa la resurrezione del Vasco nazionale... beata ed innocente gioventù) per raccontarci la truce via crucis (avrei potuto scrivere "odissea" ma mi piace usare quel termine liturgico per fratellanza con l'assoluto nichilismo della protagonista) di Terry Grisedu, sfigatissima ragazzina alle prese con una famiglia disgraziata e violenta.
Poca cosa, peraltro, rispetto al dopo: violenze, stupri, omicidi, materia fecale a volontà, rigurgiti e piscio. Bel quadro no?
Ma potremmo dire a difesa della nostra, parafrasando Balzac, che la letteratura che economizza non è mai vera letteratura.
Ma il discorso pur se in tema di addizione (o di esagerazione) richiama la sottrazione: lo stile della scrittura è affilato, scarno, questo sì anoressico, dove non c'è posto per la sospensione, sarebbe già una perdita di tempo, ma solo per la velocità di pensiero e azione.
Immaginate di assistere alla proiezione di mille diapositive senza l'assillo degli amici o dei parenti che ne celebrano i fasti: una rapida sequenza di immagini e di colori. Ma pur nella velocità la fine dell'operazione consegna un quadro compiuto e avvincente dell'accaduto.
Perché qui Kundera morirebbe d'infarto, lui così devoto alla lentezza e all'ossequio del tempo.
Diciamocelo con franchezza: la ventisettenne Ferrando (che per nulla autobiograficamente ci consegna su un piatto d'argento la ventenne Terry, sfaccendata adolescente di periferia) gioca sporco. Vuole apparire sprovveduta, lanciata nel mondo della scrittura come si lancia un ortaggio: invero cita, con leggerezza, Ken Loach, Scola, Luigi Tenco et similia e ridisegna, e crediamo col senno di poi, una Gelsomina felliniana dei nostri giorni, accorata e sentimentale, seppur porca, lercia, zozza e sessualmente promiscua.
Clap clap. Applausi. Perché li merita. Perché se è furbina nel rimestar materia giovanilista, ci mette cervello di suo e assai. E la sua fiction è, fatte le debite differenze, l'erede de l'Incompreso, di Pinocchio e delle derive nazionaltelevisive.
Il tocco prezioso sta in una sorta di tragedia anarcoide (che manca totalmente alle Maraini, Mazzantini, Fusini e ini ini di seguito ad nauseam!) che funziona perché costruita a tavolino.
Direbbe qualcuno: sòrbole ma è un paradosso.
Certo, lo è. La Ferrando che scrittrice forse non vuol essere, ribalta le istanze del professionismo trespoluto delle nostre penne intinte e lascia ai posteri uno scherzo che è anche una scommessa. E rischiara la scena con lampade a basso consumo! Ma gesummio che luce che fanno!
di Alfredo Ronci
Libro di per sé paraculissimo, che sfrutta al meglio, come direbbe il nostro Giovanni Sebastiano Del Rio, l'emergenza ggiùvani, capito?... tutte 'ste panzanate sull'anoressia, sull'abbandono, sulla provincia, sul rosa hard col versante sàiber e il razzo a tre stadi dietro... come la racchetta della Simona Vinci.
Tutto sta a vedere come lo si fa: la Ferrando usa tutti i mezzi a sua disposizione (compresa la resurrezione del Vasco nazionale... beata ed innocente gioventù) per raccontarci la truce via crucis (avrei potuto scrivere "odissea" ma mi piace usare quel termine liturgico per fratellanza con l'assoluto nichilismo della protagonista) di Terry Grisedu, sfigatissima ragazzina alle prese con una famiglia disgraziata e violenta.
Poca cosa, peraltro, rispetto al dopo: violenze, stupri, omicidi, materia fecale a volontà, rigurgiti e piscio. Bel quadro no?
Ma potremmo dire a difesa della nostra, parafrasando Balzac, che la letteratura che economizza non è mai vera letteratura.
Ma il discorso pur se in tema di addizione (o di esagerazione) richiama la sottrazione: lo stile della scrittura è affilato, scarno, questo sì anoressico, dove non c'è posto per la sospensione, sarebbe già una perdita di tempo, ma solo per la velocità di pensiero e azione.
Immaginate di assistere alla proiezione di mille diapositive senza l'assillo degli amici o dei parenti che ne celebrano i fasti: una rapida sequenza di immagini e di colori. Ma pur nella velocità la fine dell'operazione consegna un quadro compiuto e avvincente dell'accaduto.
Perché qui Kundera morirebbe d'infarto, lui così devoto alla lentezza e all'ossequio del tempo.
Diciamocelo con franchezza: la ventisettenne Ferrando (che per nulla autobiograficamente ci consegna su un piatto d'argento la ventenne Terry, sfaccendata adolescente di periferia) gioca sporco. Vuole apparire sprovveduta, lanciata nel mondo della scrittura come si lancia un ortaggio: invero cita, con leggerezza, Ken Loach, Scola, Luigi Tenco et similia e ridisegna, e crediamo col senno di poi, una Gelsomina felliniana dei nostri giorni, accorata e sentimentale, seppur porca, lercia, zozza e sessualmente promiscua.
Clap clap. Applausi. Perché li merita. Perché se è furbina nel rimestar materia giovanilista, ci mette cervello di suo e assai. E la sua fiction è, fatte le debite differenze, l'erede de l'Incompreso, di Pinocchio e delle derive nazionaltelevisive.
Il tocco prezioso sta in una sorta di tragedia anarcoide (che manca totalmente alle Maraini, Mazzantini, Fusini e ini ini di seguito ad nauseam!) che funziona perché costruita a tavolino.
Direbbe qualcuno: sòrbole ma è un paradosso.
Certo, lo è. La Ferrando che scrittrice forse non vuol essere, ribalta le istanze del professionismo trespoluto delle nostre penne intinte e lascia ai posteri uno scherzo che è anche una scommessa. E rischiara la scena con lampade a basso consumo! Ma gesummio che luce che fanno!
di Alfredo Ronci
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