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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Dawn Powell

Cafè Julien

Fazi, Pag.340 Euro 18,50
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Il senso del libro che Dawn Powell dedica al "Lafayette Hotel" di New York (ribattezzato "Cafè Julien") è già nelle prime pagine, ed esce fluente dall'affilata penna del rosso signore di mezza età che risponde al nome di Mr Orphen: Non c'era nulla di strano a New York in quell'inverno del 1948, perché ormai la stranezza era diventata routine. [...] Gli autisti dei camion prendevano paga doppia per poter avviare i figli a una prestigiosa carriera da morti di fame. [...] Ragazze terrorizzate gridavano aiuto in piena notte mentre i poliziotti, sempre in coppia per maggior sicurezza, mettevano le multe alle automobili in sosta. [...] Era un decennio di vecchi.

Lo sguardo è vivido e attento, la lingua veloce e tagliente, la mente tutta tesa nel cogliere contraddizioni e anomalie di un'epoca che sbanda senza riferimenti. Per fare ciò l'acuta Dawn Powell mette in scena una carrellata di personaggi sconclusionati. La mecenate che ricorda Peggy Guggenheim, affamata di sesso e soldi che gli artisti le procurano; coppie di giovani che si amano per smettere subito dopo, investiti dall'ondata piena di calcolo e pragmatismo e ammantati di un orgoglio stupido e reietto che impedisce all'amore di sbocciare. Amici legati ormai solo dalla solitudine e dalla paura della vecchiaia che si inventano un business strampalato per guadagnare sulla morte dell'amico morto. Amiche che cercano conforto reciproco alle proprie vite zitelle. E gli artisti, di solito ultima spiaggia della coscienza morale, sono dei briganti in cerca di sovvenzioni e amori facili da cui scappare presto. Cattiveria, calcolo e pochezza ovunque.

Questo coglie l'autrice. E il suo giudizio sul mondo è irrevocabile. Il cinismo che la guida è il riflesso di una civiltà che va a ritroso, dove il solo deterrente che ferma dal compiere delitti è la paura. Quella di Dawn Powell è un'analisi che calzerebbe bene anche a quella odierna di società, un'analisi in cui il sentimento c'entra poco e l'efferatezza è all'ordine del giorno. Pochi scrupoli, molto edonismo, l'egoismo che la fa da padrone. Sono pochi quelli che si salvano. Forse i beoni dallo sguardo porcino pronto a cogliere il primo pollo che possa pagare il loro conto al Julien. Forse le nipoti bruttine e sciocche che fanno domande a cui nessuno vuole rispondere, o la zia che alla fine mette una pezza per rimediare agli errori e comprarsi un po' di benevolenza. Su tutto un sapore acre di cupidigia e un alone opaco di arrivismo.

È gustoso scoprire a poco a poco piani insensati di guadagno, perché è sempre un guadagno quello che le figure di carta del libro ricercano, e lasciarsi trasportare osservando con aria distaccata queste misere farfalle sbadate. È divertente assaporare la scrittura vivace dell'autrice perspicace e sagace che non si lascia sfuggire un'occasione per annotare con sarcasmo ogni piccola debolezza umana. Si sorride delle disgraziate vite altrui e si riflette sulla propria. Ma sarà il cinismo che non risparmia niente, sarà che resto di fondo un'inguaribile romantica rivoluzionaria che pensa sempre che le cose che non vanno, più che criticate vadano cambiate, ma in fondo Cafè Julien delude chi cerca qualcosa di più. Non approfondisce, non incide sulla pelle. E constatare che l'unica persona sensata in fondo resta Mr Orphen, il lucido proprietario del Julien, che capisce che l'unico modo di uscire da un'impasse storica è chiudere quel periodo storico, sembra non lasciare prospettive di redenzione per nessuno. Alla fine la morale del libro resta un po' nell'aria, poi scivola via come un divertissement che lascia l'amaro in bocca.



di Enrica Murru


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