RECENSIONI
Ian McEwan
Chesil Beach
Einaudi, Pag.136 Euro 15,50
Non lo dovrei dire, ma io con McEwan ho qualche difficoltà. Eppure l'uomo ha un suo fascino e dice cose interessanti. Prendete ad esempio la sua partecipazione alla trasmissione televisiva di Fazio. Non ha ceduto alle lusinghe cretine del conduttore, ha espresso perplessità per una società divisa tra perbenismo e arrivismo, ha detto a chiare lettere che l'esistenza non è che sia sta gran cosa ed ha più che decentemente mostrato un volto disciplinato e cauto, ma per nulla remissivo. Prima di lui Battiato, aveva sproloquiato, e mi aveva infastidito, di meditazione e della bellezza della natura.
Dunque un uomo, e uno scrittore, a mia misura: invece non è così. Fermo restando la sua straordinaria capacità narrativa (se fosse possibile lodarlo mentre lo si legge – oddio uno potrebbe anche farlo, ma rischierebbe di essere preso per matto – strapperebbe l'applauso ad ogni pagina) ritengo i suoi libri profondamente inutili. E questo Chesil beach ancora di più. E mi sovviene un verso di Fortini: la lingua combatte dove il vuoto duole.
Lo dico col cuore in mano, davvero: ma a me che mi cale (cicale cicale) di una coppia di sposi agli inizi degli anni sessanta che è divorata dai dubbi e dalle incertezze perché sa che nell'albergo dove pernotteranno, non avendo ancora avuto rapporti sessuali, dovrà comunque consumare?
L'uomo tutto sommato è "umano", nel senso che qualche fremito erotico e qualche accenno di erezione ce l'ha, ma lei, fino alla fine, dimostra una frigidità alienante che la porterà a rinunciare al confronto diretto, e subito dopo alla relazione stessa.
McEwan vuole forse dirci che negli anni del boom beatlesiano e delle mini gonne lanciate da Mary Quant esistevano ancora situazioni "irrisolte" ed ostacoli alla "piena" compresione del pianeta sesso? E se anche fosse vero?
Tra l'altro il suo stile apparentemente formale e classico conferisce alla vicenda un surplus d'incomprensione: ma davvero quello che sta raccontando appartiene ai sessanta? Ma davvero Florence Mayhew, la protagonista, insieme a a Edward Ponting, di Chesil Beach, è figlia dei nostri tempi e non un'eroina "negativa" di un discepolo di Emily Bronte?
Non mi capacito. Poi quando credi che la vicenda possa avere un sussulto d'orgoglio, s'affloscia all'improvviso come un sufflé andato a male.
Si mette spesso in rilievo la capacità di McEwan di rappresentare la realtà senza sovrastrutture, senza nessuna trasfigurazione. Vero, ma dai contenuti del libro si sospetta che oltre alle sovrastrutture manchi anche qualcosa in più. Voglio però salvarlo: tra le righe dei suoi romanzi si scorge spesso un'urgenza, diremmo così, psicanalitica: cos'erano le gesta dei bambini de Il giardino di cemento, opera prima, se non una successione di atteggiamenti nevrotici, cosa c'era alla base del protagonista de L'amore fatale se non la rappresentazione di una rara malattia come la sindrome de Cleranbault? Vogliamo dire che alla base della frigidità di Florence Mayhew ci sia qualcosa di più grosso?
Ok, ma perché per descrivere tutto ciò si utilizza la forma romanzata e non quella saggistica? Si sa, le recidive stancano e sono tanto noiose.
di Alfredo Ronci
Dunque un uomo, e uno scrittore, a mia misura: invece non è così. Fermo restando la sua straordinaria capacità narrativa (se fosse possibile lodarlo mentre lo si legge – oddio uno potrebbe anche farlo, ma rischierebbe di essere preso per matto – strapperebbe l'applauso ad ogni pagina) ritengo i suoi libri profondamente inutili. E questo Chesil beach ancora di più. E mi sovviene un verso di Fortini: la lingua combatte dove il vuoto duole.
Lo dico col cuore in mano, davvero: ma a me che mi cale (cicale cicale) di una coppia di sposi agli inizi degli anni sessanta che è divorata dai dubbi e dalle incertezze perché sa che nell'albergo dove pernotteranno, non avendo ancora avuto rapporti sessuali, dovrà comunque consumare?
L'uomo tutto sommato è "umano", nel senso che qualche fremito erotico e qualche accenno di erezione ce l'ha, ma lei, fino alla fine, dimostra una frigidità alienante che la porterà a rinunciare al confronto diretto, e subito dopo alla relazione stessa.
McEwan vuole forse dirci che negli anni del boom beatlesiano e delle mini gonne lanciate da Mary Quant esistevano ancora situazioni "irrisolte" ed ostacoli alla "piena" compresione del pianeta sesso? E se anche fosse vero?
Tra l'altro il suo stile apparentemente formale e classico conferisce alla vicenda un surplus d'incomprensione: ma davvero quello che sta raccontando appartiene ai sessanta? Ma davvero Florence Mayhew, la protagonista, insieme a a Edward Ponting, di Chesil Beach, è figlia dei nostri tempi e non un'eroina "negativa" di un discepolo di Emily Bronte?
Non mi capacito. Poi quando credi che la vicenda possa avere un sussulto d'orgoglio, s'affloscia all'improvviso come un sufflé andato a male.
Si mette spesso in rilievo la capacità di McEwan di rappresentare la realtà senza sovrastrutture, senza nessuna trasfigurazione. Vero, ma dai contenuti del libro si sospetta che oltre alle sovrastrutture manchi anche qualcosa in più. Voglio però salvarlo: tra le righe dei suoi romanzi si scorge spesso un'urgenza, diremmo così, psicanalitica: cos'erano le gesta dei bambini de Il giardino di cemento, opera prima, se non una successione di atteggiamenti nevrotici, cosa c'era alla base del protagonista de L'amore fatale se non la rappresentazione di una rara malattia come la sindrome de Cleranbault? Vogliamo dire che alla base della frigidità di Florence Mayhew ci sia qualcosa di più grosso?
Ok, ma perché per descrivere tutto ciò si utilizza la forma romanzata e non quella saggistica? Si sa, le recidive stancano e sono tanto noiose.
di Alfredo Ronci
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