RECENSIONI
Stéphane Carlier
Clara legge Proust
Einaudi, Traduzione di Ilaria Gaspari, Pag. 158 Euro 17,50
Questo Stéphane Carlier, autore nuovo per noi italiani, sembra abbia un discreto successo in patria e che abbia vinto, con “Clara legge Proust”, un premio prestigioso. Due buoni motivi, oltre a quello di essere francese, per approcciarsi al testo (del resto anche il titolo è molto affascinante). Così l’ho letto, anche abbastanza velocemente visto che lo stile di scrittura è accattivante. Però… si sentiva che sotto c’era un però?
Le prime 60 di 150 pagine raccontano la vita di Clara assorbita nel suo lavoro in un salone di parrucchiera situato nella provincia francese dove, come in un vortice, si avvicenda tutta un serie di personaggi caratteristici, per non dire strampalati. C’è la proprietaria, la signora Habib, eternamente scontenta per il fatto di non vivere a Parigi. Poi c’è Lorraine, una barista che porta le colazioni, distrutta dal lavoro; e Nolwenn, dall’eterna espressione neutra e indifferente. C’è Patrick, l’unico uomo a lavorare nel salone, un tipo focoso che insulta le clienti ogni volta che si arrabbia. E poi Claudie, che prima era un uomo e che adesso si imbottisce di ormoni per completare la sua trasformazione in donna. Anche Clara del resto ha i suoi problemi, con un fidanzato bellissimo e benvoluto da tutti ma che forse lei non ama più e un gatto impossibile che non sopporta gli esseri umani. E anche le clienti e i clienti che abitano il salone hanno tutti, chi più chi meno, i loro capricci e le loro storie assurde.
Quindi in queste prime pagine, del tutto scorrevoli e comunque scritte benissimo, si dipinge il quadro dell’ambiente di provincia in cui si svolge tutta la storia. Solo che, leggendole, mi è sembrato di essere stato catapultato nel favoloso mondo di Amelie; tutto molto delizioso, molto accattivante, anche gradevole se vogliamo, ma poi mi sono chiesto se possa esistere davvero un posto così. E se esiste davvero, perché io non lo conosco? Perché il mio barbiere mi parla di calcio e i suoi clienti hanno tutti il muso lungo e discutono tra loro in un fastidiosissimo dialetto trentino? Forse dovrei davvero trasferirmi in Francia anch’io. Chissà.
La svolta vera del libro avviene quando un cliente dimentica nel salone (per caso?) uno dei libri della Ricerca di Proust. Clara, senza quasi pensarci, lo nasconde in un cassetto, non con l’idea di restituirlo ma di tenerlo per sé e di leggerlo. E naturalmente la lettura del libro le fa dimenticare tutto il resto che, da quel momento, passa in second’ordine. Il coinvolgimento emotivo, suscitato dalla poetica del Maestro, la porta ben presto a fare scelte radicali la prima delle quali, manco a dirlo, sarà di lasciare il suo bellissimo fidanzato. Col dispiacere di tutti tranne che il suo. A poco a poco leggerà anche gli altri libri della Ricerca, fino a che, proprio Claudie, la convincerà a leggere in pubblico i brani del Maestro per riavvicinarlo così alla massa. Cosa che lei eseguirà non senza difficoltà debuttando a un festival. Inutile adesso dirvi come finisce la storia, del resto non è una tragedia quella che racconta Carlier.
Un libro ruffiano? Non mi spingo ad affermare tanto. Certo che l’autore gioca facile usando Proust, soprattutto in patria sua. Come se un greco leggesse Omero, o un italiano leggesse Dante. O un russo Dostoevskij.
Con i mostri sacri non si scherza. Mai.
di Massimo Grisafi
Le prime 60 di 150 pagine raccontano la vita di Clara assorbita nel suo lavoro in un salone di parrucchiera situato nella provincia francese dove, come in un vortice, si avvicenda tutta un serie di personaggi caratteristici, per non dire strampalati. C’è la proprietaria, la signora Habib, eternamente scontenta per il fatto di non vivere a Parigi. Poi c’è Lorraine, una barista che porta le colazioni, distrutta dal lavoro; e Nolwenn, dall’eterna espressione neutra e indifferente. C’è Patrick, l’unico uomo a lavorare nel salone, un tipo focoso che insulta le clienti ogni volta che si arrabbia. E poi Claudie, che prima era un uomo e che adesso si imbottisce di ormoni per completare la sua trasformazione in donna. Anche Clara del resto ha i suoi problemi, con un fidanzato bellissimo e benvoluto da tutti ma che forse lei non ama più e un gatto impossibile che non sopporta gli esseri umani. E anche le clienti e i clienti che abitano il salone hanno tutti, chi più chi meno, i loro capricci e le loro storie assurde.
Quindi in queste prime pagine, del tutto scorrevoli e comunque scritte benissimo, si dipinge il quadro dell’ambiente di provincia in cui si svolge tutta la storia. Solo che, leggendole, mi è sembrato di essere stato catapultato nel favoloso mondo di Amelie; tutto molto delizioso, molto accattivante, anche gradevole se vogliamo, ma poi mi sono chiesto se possa esistere davvero un posto così. E se esiste davvero, perché io non lo conosco? Perché il mio barbiere mi parla di calcio e i suoi clienti hanno tutti il muso lungo e discutono tra loro in un fastidiosissimo dialetto trentino? Forse dovrei davvero trasferirmi in Francia anch’io. Chissà.
La svolta vera del libro avviene quando un cliente dimentica nel salone (per caso?) uno dei libri della Ricerca di Proust. Clara, senza quasi pensarci, lo nasconde in un cassetto, non con l’idea di restituirlo ma di tenerlo per sé e di leggerlo. E naturalmente la lettura del libro le fa dimenticare tutto il resto che, da quel momento, passa in second’ordine. Il coinvolgimento emotivo, suscitato dalla poetica del Maestro, la porta ben presto a fare scelte radicali la prima delle quali, manco a dirlo, sarà di lasciare il suo bellissimo fidanzato. Col dispiacere di tutti tranne che il suo. A poco a poco leggerà anche gli altri libri della Ricerca, fino a che, proprio Claudie, la convincerà a leggere in pubblico i brani del Maestro per riavvicinarlo così alla massa. Cosa che lei eseguirà non senza difficoltà debuttando a un festival. Inutile adesso dirvi come finisce la storia, del resto non è una tragedia quella che racconta Carlier.
Un libro ruffiano? Non mi spingo ad affermare tanto. Certo che l’autore gioca facile usando Proust, soprattutto in patria sua. Come se un greco leggesse Omero, o un italiano leggesse Dante. O un russo Dostoevskij.
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