RECENSIONI
Wynton Marsalis
Come il jazz può cambiarti la vita
Feltrinelli, Pag. 155 Euro 14,00
È buffo pensare che il jazz possa cambiarci la vita, anche perché la maggior parte delle volte, e soprattutto dalla maggior parte delle persone, viene visto come un genere elitario, quasi inarrivabile in alcune sue sfumature.
Il jazz a cui ci stanno abituando è quello fatto per bar pieni di belle cravatte e docili scollature che portano trionfalmente tra una risata e un bacio sulla guancia un bicchiere di un qualsiasi bevanda colorata preparata da barman dai denti perfetti e orecchini luccicanti.
In questi luoghi d'aggregazione oramai insegnano che le compilation 'Buddha Bar' o 'Cafè du Mar' siano una miscellanea di jazz, che la lounge music sia jazz e a dire il vero con queste premesse in testa resta un po' difficile credere che la musica, che molti dicono essere quella che suona Dio quando ha voglia di divertirsi, possa essere un'esperienza capace di coinvolgere il nostro essere e migliorarlo, magari migliorando anche dei lati su cui non riusciamo a lavorare affatto.
Invece Wynton Marsalis, un "vecchio" classe '61 della scurissima New Orleans, ci fa ricredere e racconta la sua storia, una storia quasi universale fatta di esempi tecnici, di racconti ascoltati e vissuti (Verso gli otto o nove anni, cominciai a notare qualcosa di molto strano. Anche se la maggior parte della gente del nostro circondario non si sognava di andare a un concerto di jazz- né a qualsiasi altro evento artistico- e non si degnava di considerare quella del musicista una vera professione, c'era comunque un certo rispetto per mio padre. M'immaginavo che forse c'entrava con il jazz, perché di sicuro il suo stile di vita non faceva presupporre il minimo successo materiale) che riescono a battere sulla cassa del cuore e a tracciare melodie che risvegliano una passione innata e inconsapevole per la musica.
Questo genere che ai profani sembra così distaccato è in realtà il più grande strumento d'insegnamento all'ascolto di sé e dell'altro (Frequentare musicisti jazz rappresentava una scuola eccezionale per un bambino di nove-dieci anni, perché raccontavano storie bellissime e perché erano capaci di ascoltare. Quello era il loro mondo: parlare e ascoltare, ascoltare e parlare) e soprattutto di condivisione con altre energie, passioni e volti (Il jazz fa sì che ogni individuo plasmi un linguaggio con i propri sentimenti e usi questo linguaggio, assolutamente personale, per comunicare la propria visione del mondo). Un modo di "stare al mondo" con gli altri.
Una musica capace di passarti attraverso, scuotendo ogni fibra empatica che ci trasciniamo dietro, spesso stancamente, e che si risveglia sotto l'incedere di quei riff essenziali, degli assolo che parlano di posti lontani e di gente. La cosa più incredibile però, è che il jazz non è nostalgico, parla dell'hic et nunc. È una pura conversazione fatta secondo l'esigenza del momento stesso in cui si consuma, un'emozione necessaria in quel dato frangente intima e complice al tempo.
Il jazzista non vuole escludere, anzi, con le sue improvvisazioni, con il suo strumento vuole aprirsi, vuole che la gente possa entrare nel suo mondo, affondare in quelli che sono i reali sentimenti che sta provando.
Ascoltare. È solo una delle cose che può insegnarci questa musica di quattro sillabe cristalline e suadenti: che si trovano a loro agio tra fumo, bicchieri bevuti con voluttà e occhi ipnotizzati, chiusi nei locali più caldi della nostra anima.
di Alex Pietrogiacomi
Il jazz a cui ci stanno abituando è quello fatto per bar pieni di belle cravatte e docili scollature che portano trionfalmente tra una risata e un bacio sulla guancia un bicchiere di un qualsiasi bevanda colorata preparata da barman dai denti perfetti e orecchini luccicanti.
In questi luoghi d'aggregazione oramai insegnano che le compilation 'Buddha Bar' o 'Cafè du Mar' siano una miscellanea di jazz, che la lounge music sia jazz e a dire il vero con queste premesse in testa resta un po' difficile credere che la musica, che molti dicono essere quella che suona Dio quando ha voglia di divertirsi, possa essere un'esperienza capace di coinvolgere il nostro essere e migliorarlo, magari migliorando anche dei lati su cui non riusciamo a lavorare affatto.
Invece Wynton Marsalis, un "vecchio" classe '61 della scurissima New Orleans, ci fa ricredere e racconta la sua storia, una storia quasi universale fatta di esempi tecnici, di racconti ascoltati e vissuti (Verso gli otto o nove anni, cominciai a notare qualcosa di molto strano. Anche se la maggior parte della gente del nostro circondario non si sognava di andare a un concerto di jazz- né a qualsiasi altro evento artistico- e non si degnava di considerare quella del musicista una vera professione, c'era comunque un certo rispetto per mio padre. M'immaginavo che forse c'entrava con il jazz, perché di sicuro il suo stile di vita non faceva presupporre il minimo successo materiale) che riescono a battere sulla cassa del cuore e a tracciare melodie che risvegliano una passione innata e inconsapevole per la musica.
Questo genere che ai profani sembra così distaccato è in realtà il più grande strumento d'insegnamento all'ascolto di sé e dell'altro (Frequentare musicisti jazz rappresentava una scuola eccezionale per un bambino di nove-dieci anni, perché raccontavano storie bellissime e perché erano capaci di ascoltare. Quello era il loro mondo: parlare e ascoltare, ascoltare e parlare) e soprattutto di condivisione con altre energie, passioni e volti (Il jazz fa sì che ogni individuo plasmi un linguaggio con i propri sentimenti e usi questo linguaggio, assolutamente personale, per comunicare la propria visione del mondo). Un modo di "stare al mondo" con gli altri.
Una musica capace di passarti attraverso, scuotendo ogni fibra empatica che ci trasciniamo dietro, spesso stancamente, e che si risveglia sotto l'incedere di quei riff essenziali, degli assolo che parlano di posti lontani e di gente. La cosa più incredibile però, è che il jazz non è nostalgico, parla dell'hic et nunc. È una pura conversazione fatta secondo l'esigenza del momento stesso in cui si consuma, un'emozione necessaria in quel dato frangente intima e complice al tempo.
Il jazzista non vuole escludere, anzi, con le sue improvvisazioni, con il suo strumento vuole aprirsi, vuole che la gente possa entrare nel suo mondo, affondare in quelli che sono i reali sentimenti che sta provando.
Ascoltare. È solo una delle cose che può insegnarci questa musica di quattro sillabe cristalline e suadenti: che si trovano a loro agio tra fumo, bicchieri bevuti con voluttà e occhi ipnotizzati, chiusi nei locali più caldi della nostra anima.
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