RECENSIONI
Mark Sullivan
Con chi parli, Jonah?
Quarup, Traduzione di Federica Merani, Pag. 179 Euro 14,90
Ma allora è vero che gran parte degli idoli del rock sotto sotto, ma anche sopra sopra, siano a loro volta precursori del terror più intimista e romantico?
Perché pestarci i piedi: è vero. E Mark Sullivan, l’autore del testo, ma anche giovane rokkettaro negli anni ottanta (è del ’61 l’amico, mica scherza) ne è la conferma.
Sullivan è stato per almeno quattro anni leader di una band , i Kingface, destinata a brillare nella scena underground della capitale. E anche i testi facevano pensare ad un coinvolgimento carico di istanze politiche e volontà di cambiamento.
Poi le cose cambiano.
Nel senso che o diventi Peter Gabriel (ma anche qualcun altro di buona fama) o cambi mestiere.
Mark Sullivan l’ha cambiato e dopo una rentrée col gruppo nel 1996 ha preso la decisione di voltar pagine e dedicarsi alla scrittura.
Questo suo esordio (2003, ma dobbiamo dargli credito) ha avuto parecchi crediti (vi ricordate pure Henry Rollins?) e notevoli lettori. E qualcuno, con la puzza sotto il naso per la verità, ha avuto il coraggio anche di citare Stephen King e la migliore fantasia terror in letteratura.
Andiamoci piano.
Jonah, un adolescente complicato, da quando ha perso suo padre in un incidente, ha cominciato a vedere fantasmi. Ma poi è lo stesso padre che lo consiglierà sulla vita dei morti e sul futuro dei vivi, dando al ragazzo poteri ma anche deliquii.
Jonah sembra pronto al rapporto con l’aldilà, ma nello stesso tempo si chiede se mai questa visione (in alcuni momenti il suo spazio vitale è occupato da un sacco di morti-fantasmi) potrà mai cessare e portarlo ad una condizione più normale.
Il finale del libro in qualche modo suggerisce il percorso di Jonah, perché prima di morire, in una risultanza tra passato e presente e viceversa, il padre dirà: “Jonah!” gridò, ma non si udì alcun suono. Assalito dalla vergogna e dal dispiacere, incorporeo, proruppe in singhiozzi. Non ho mai vissuto veramente. Jonah… Susan! Mi dispiace…
Avvolto in un caldo abbraccio di luce, Da, sentì i propri contorni offuscarsi. Addio, pensò, buonanotte.
Un happy ending folgorante ma che toglie qualcosa alla vitalità formativa e fantastica di Jonah. Avremmo preferito qualcosa di meno concreto.
Sarà per la prossima volta.
di Alfredo Ronci
Perché pestarci i piedi: è vero. E Mark Sullivan, l’autore del testo, ma anche giovane rokkettaro negli anni ottanta (è del ’61 l’amico, mica scherza) ne è la conferma.
Sullivan è stato per almeno quattro anni leader di una band , i Kingface, destinata a brillare nella scena underground della capitale. E anche i testi facevano pensare ad un coinvolgimento carico di istanze politiche e volontà di cambiamento.
Poi le cose cambiano.
Nel senso che o diventi Peter Gabriel (ma anche qualcun altro di buona fama) o cambi mestiere.
Mark Sullivan l’ha cambiato e dopo una rentrée col gruppo nel 1996 ha preso la decisione di voltar pagine e dedicarsi alla scrittura.
Questo suo esordio (2003, ma dobbiamo dargli credito) ha avuto parecchi crediti (vi ricordate pure Henry Rollins?) e notevoli lettori. E qualcuno, con la puzza sotto il naso per la verità, ha avuto il coraggio anche di citare Stephen King e la migliore fantasia terror in letteratura.
Andiamoci piano.
Jonah, un adolescente complicato, da quando ha perso suo padre in un incidente, ha cominciato a vedere fantasmi. Ma poi è lo stesso padre che lo consiglierà sulla vita dei morti e sul futuro dei vivi, dando al ragazzo poteri ma anche deliquii.
Jonah sembra pronto al rapporto con l’aldilà, ma nello stesso tempo si chiede se mai questa visione (in alcuni momenti il suo spazio vitale è occupato da un sacco di morti-fantasmi) potrà mai cessare e portarlo ad una condizione più normale.
Il finale del libro in qualche modo suggerisce il percorso di Jonah, perché prima di morire, in una risultanza tra passato e presente e viceversa, il padre dirà: “Jonah!” gridò, ma non si udì alcun suono. Assalito dalla vergogna e dal dispiacere, incorporeo, proruppe in singhiozzi. Non ho mai vissuto veramente. Jonah… Susan! Mi dispiace…
Avvolto in un caldo abbraccio di luce, Da, sentì i propri contorni offuscarsi. Addio, pensò, buonanotte.
Un happy ending folgorante ma che toglie qualcosa alla vitalità formativa e fantastica di Jonah. Avremmo preferito qualcosa di meno concreto.
Sarà per la prossima volta.
di Alfredo Ronci
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