RECENSIONI
Peter Cameron
Coral Glynn
Adelphi, Pag. 212 Euro 18,00
Lo confesso: non ho letto Un giorno questo dolore ti sarà utile, libro di Cameron del 2006 e che è tornato in auge ultimamente per una versione cinematografica. Non l'ho letto per tanti motivi, due quelli essenziali: non posso divorare lo scibile umano e poi, onestamente, i successi editoriali o i ripescaggi, come in questo caso, mi stanno sulle palle.
Ma poi vedete... ci casco comunque, perché appena uscito il nuovo romanzo dello scrittore statunitense, di recente anche in Rai nella trasmissione di Fazio, l'ho preso e l'ho letto.
Dalla lettura ne esco inebetito e mi chiedo se ha ancora senso 'chiedersi il senso' della letteratura contemporanea.
Coral Glynn è un libro inutile e noioso ed esagerando anche dannoso: perché contribuisce a confondere le idee e a percepire la narrativa come una sorta di immane deposito da cui trarre qualsiasi scempiaggine.
Qui si tratta di ecologia della mente come quando si parla di esaurimento delle risorse del nostro pianeta: che senso ha raccontare una storia ambientata negli anni cinquanta, appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, dove una donna senza risorse e che fa l'infermiera, dopo la morte della sua assistita, viene chiesta in moglie dal figlio il quale, a sua volta, ha una liaison molto platonica ed omosessuale col suo miglior amico, il quale a sua volta ha sposato la migliore amica dell'amico? Intrecci inutili a cui s'aggiunge, peraltro come se non bastasse, una pista vagamente gialla di una bambina trovata morta in una foresta e che sembrerebbe portare direttamente alla protagonista.
Credo, a questo punto, che valga un principio: non si può raccontare tutto, perché così si rischia di scrivere fregnacce. Non mi pare che sia stato applicato detto principio alla poesia – per quanto, absit iniura verbis, è 'na palla al piede mica di poco – nonostante ci siano carrettate di individui, spesso poetastri della domenica, che vorrebbero assurgere al ruolo di nuovo vate. La poesia, o meglio, l'editoria della poesia sembra tenersi (anche perché non rende dal momento che pochi la leggono): la narrativa no. Si legge di tutto e di più (ci mancava ultimamente anche l'invasione di calciatori, presentatori e comici!) e noi rimaniamo pieni di sgomento.
Coral Glynn appartiene all'area dell'aleatorio, del superficiale, del detto e non detto perché se dici troppo rischi di provocare e se non dici nulla, nulla sei. Il romanzo di Cameron è adatto alla lettura in treno: come quando fuori piove e il finestrino si screzia di filamenti acquosi che ti trascinano in altra dimensione perché sai che quella che ti appartiene è assai meno fantasiosa e sei costretto pure ad andare al lavoro. E Cameron è consequenziale alla tua vita, ma sesquipedale.
Mi rivolgo al lettore medio-basso (perché Coral Glynn, nonostante sia Adelphi, a quella categoria appartiene): librati, solo per un attimo, dalla sfaldatura dello stile piatto e banale, e convinciti che al mondo non esiste solo l'approssimativo. Se no va a finire che do ragione ai latini: De rustica progenie, semper villana fuit. Che se sei rozzo non puoi pretendere di passare per 'saputo' pure se hai un Adelphi in mano.
di Alfredo Ronci
Ma poi vedete... ci casco comunque, perché appena uscito il nuovo romanzo dello scrittore statunitense, di recente anche in Rai nella trasmissione di Fazio, l'ho preso e l'ho letto.
Dalla lettura ne esco inebetito e mi chiedo se ha ancora senso 'chiedersi il senso' della letteratura contemporanea.
Coral Glynn è un libro inutile e noioso ed esagerando anche dannoso: perché contribuisce a confondere le idee e a percepire la narrativa come una sorta di immane deposito da cui trarre qualsiasi scempiaggine.
Qui si tratta di ecologia della mente come quando si parla di esaurimento delle risorse del nostro pianeta: che senso ha raccontare una storia ambientata negli anni cinquanta, appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, dove una donna senza risorse e che fa l'infermiera, dopo la morte della sua assistita, viene chiesta in moglie dal figlio il quale, a sua volta, ha una liaison molto platonica ed omosessuale col suo miglior amico, il quale a sua volta ha sposato la migliore amica dell'amico? Intrecci inutili a cui s'aggiunge, peraltro come se non bastasse, una pista vagamente gialla di una bambina trovata morta in una foresta e che sembrerebbe portare direttamente alla protagonista.
Credo, a questo punto, che valga un principio: non si può raccontare tutto, perché così si rischia di scrivere fregnacce. Non mi pare che sia stato applicato detto principio alla poesia – per quanto, absit iniura verbis, è 'na palla al piede mica di poco – nonostante ci siano carrettate di individui, spesso poetastri della domenica, che vorrebbero assurgere al ruolo di nuovo vate. La poesia, o meglio, l'editoria della poesia sembra tenersi (anche perché non rende dal momento che pochi la leggono): la narrativa no. Si legge di tutto e di più (ci mancava ultimamente anche l'invasione di calciatori, presentatori e comici!) e noi rimaniamo pieni di sgomento.
Coral Glynn appartiene all'area dell'aleatorio, del superficiale, del detto e non detto perché se dici troppo rischi di provocare e se non dici nulla, nulla sei. Il romanzo di Cameron è adatto alla lettura in treno: come quando fuori piove e il finestrino si screzia di filamenti acquosi che ti trascinano in altra dimensione perché sai che quella che ti appartiene è assai meno fantasiosa e sei costretto pure ad andare al lavoro. E Cameron è consequenziale alla tua vita, ma sesquipedale.
Mi rivolgo al lettore medio-basso (perché Coral Glynn, nonostante sia Adelphi, a quella categoria appartiene): librati, solo per un attimo, dalla sfaldatura dello stile piatto e banale, e convinciti che al mondo non esiste solo l'approssimativo. Se no va a finire che do ragione ai latini: De rustica progenie, semper villana fuit. Che se sei rozzo non puoi pretendere di passare per 'saputo' pure se hai un Adelphi in mano.
di Alfredo Ronci
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