RECENSIONI
Amelia Rosselli
Diario ottuso
Empirìa, Pag. 60 Euro 12,00
Castel Porziano, estate dei poeti: chi c'è stato, o chi ricorda quella tre giorni di letture liriche sulla costa romanesco-burìno-bucaiola per via del film di Andrea Andermann, rammenterà il completo imbordellarsi d'ogni sua cosa. E, pure, l'improvviso silenzio per Amelia Rosselli, la sua voce da operato alle corde vocali, e - a tratti - di vecchio eunuco. Alla fine, una ragazzetta prolet salita sul palco, con un accento grigio e disperato, di supplica arrogante, le domanda ma come fai a sentire così? Non sappiamo. Ma forse, leggendo con profondità questo episodio, si capisce perché non sono molti i libri della Rosselli in circolazione. Ragione di più per acquistare il presente, i diversi che Empirìa mette a disposizione, e i vari che si rimediano cammin facendo (ristampe, remainders, modernariato). Più gli eventuali che parlano di lei, che conservano le rivelazioni di chi la conobbe. Ci sono anche immagini che parlano di lei, in cui lei parla: in un vecchio tentativo di fare una rivista su videotape (Videor), in un breve documentario per la serie Vuoti di memoria, (*) interessantissimo (come gli altri, più degli altri) e più volte trasmesso dalla Rai, ma sempre all'ora delle mignotte o, viceversa, del primo turno alle scòcche. E forse è meglio così: in questo modo, ce la si gode in pochi.
Perché sia chiaro: chi scrive queste righe non ha la benché minima possibilità né intenzione di dare un giudizio - tale è (anche) il mestiere del recensore-trice -, se non quello da role-game orchesco, ma dar conto di una fascinazione. Credo fosse Hanslick, nell'Ottocento noto e temuto critico d'espressione tedesca, a sostenere che la settima sinfonia di Bruckner fosse un meteorite precipitato dal settimo cielo - e intendeva dire che era un corpo estraneo alla tradizione, senza padri né progenie. Spesso il poeta è/ha un corpo estraneo: Penna, Leopardi, Frida Kahlo. Quando ciò si riflette nella sua opera, accade quel meraviglioso e terribile cortocircuito per cui vita e forma mostrano omologie, omotetìe, sovrapposizioni, e si supera la condizione kantiana per la quale l'esperienza senza la ragione è cieca, la ragione senza l'esperienza è vuota. E si ha il senso: come dalla legna e dalla stufa si ha il calore.
Fino a che punto ciò sia vero per Amelia Rosselli, lo ripeto, non so dire: so che mi comporto, leggendola, o più ascoltandola nelle registrazioni o ascoltandone parlare, come se lo fosse. Ed ecco la seduzione: Vittorio Sermonti, sfruttando senza volere una frase di Pound, con bella ipotiposi rende alla platea televisiva di Che tempo che fa l'immagine dell'uomo di fronte alla poesia mettendo in scena un bambino che, seduto sul tappeto del salotto, ascolta magnetizzato i discorsi dei grandi (il Poeta dei Cantos sosteneva appunto che la poesia altro non fossero che discorsi fra persone intelligenti(**)), senza intenderli ma non senza capirli, sedotto da quella mancanza - e da cos'altro, se no.
Incontrando la Rosselli si è preda del medesimo incantamento - e della stessa distanza. Bianca Maria Frabotta testimonia per la tv che "aveva un grandissimo carisma (...) faceva parte per sé stessa". Si capisce di avere a che fare con un essere di completo sviluppo, e perciò alieno: tanto da scrivere una frase-verso "scandalosamente il Cristo attraente alle bambine" (p. 15) come puro dato oggettivo - aiutata forse in questo dalla pratica d'un'arte asemantica quale la musica (quella cerebrale, dodecafonica), dalla musica dell'inglese (ta-tà, ta-ta-ta-tà, solfeggia nel documentario Rai) che voleva travasare nella frase italiana, ancora di melodramma (tàaa-taàaa, tàaa-taàaa, tàaa-tatàta). E qui come sopra torneremmo a discutere di forma e vita, di forma di vita: lasciamo perdere. Se non per ricordare quanto, secondo Livia Livi - sempre ne la rissa, vedi nota - lei aveva bisogno di "accensioni", di avvenimenti esterni, per scrivere: esauritesi le "possibilità di mettersi in contatto con la vita", smise assieme di poetare e di vivere.
Tornando all' "adultità" non è la ripeness maschile, che è il termine d'un processo di paideia, e dunque un'aspettativa sociale dinamica. Bensì viene data, fa parte della statica "seppure impetuosa energia" (p. 59) - è componente, io credo, di quella solidità, di quell'appiglio (di cui parla Daniela Attanasio a p. 57) che ancorava la Poeta (non "poetessa", siccome voleva la Morante) al reale, con legami di complicatissima evidenza: così "arrivare in tempo per essere distrutta" è conseguenza del "volendo cocente saper vivere e cogliere dalla vita solo quello che gli era dovuto!", cioè "nulla". (pp. 34-5) E' la condizione del "nulla dinanzi a me, il vuoto dietro", del tacciàto di follia, del reduce dall'elettroshock. E, declinata al femminile, che matura coscienza della donna (l'"arrivare in tempo") lo è del proprio annullamento - pur venendo da una famiglia eccezionale, ove le donne avevano ruoli dominanti. Da cui, forse, "meglio il male". (p. 49)
Creatura aliena (anche per questa sua condizione "adult(er)a") caduta sulla Terra, l'Autrice tenta di stabilire un contatto, mediante i suoi testi e la sua storia, con i fragili, crudeli umani: talvolta riuscendoci, altre volte meno. Forse, l'incontro sarebbe stato più facile, se non ci fossimo alzati dal tappeto. E se ci si fosse stesa lei.
(*) La rissa degli angeli, di Loredana Rotondo, regia di Manuela Vigorita;
(**)nello stesso, la Frabotta rileva nell'Autrice il modulo della "poesia come conversazione".
di Vera Barilla
Perché sia chiaro: chi scrive queste righe non ha la benché minima possibilità né intenzione di dare un giudizio - tale è (anche) il mestiere del recensore-trice -, se non quello da role-game orchesco, ma dar conto di una fascinazione. Credo fosse Hanslick, nell'Ottocento noto e temuto critico d'espressione tedesca, a sostenere che la settima sinfonia di Bruckner fosse un meteorite precipitato dal settimo cielo - e intendeva dire che era un corpo estraneo alla tradizione, senza padri né progenie. Spesso il poeta è/ha un corpo estraneo: Penna, Leopardi, Frida Kahlo. Quando ciò si riflette nella sua opera, accade quel meraviglioso e terribile cortocircuito per cui vita e forma mostrano omologie, omotetìe, sovrapposizioni, e si supera la condizione kantiana per la quale l'esperienza senza la ragione è cieca, la ragione senza l'esperienza è vuota. E si ha il senso: come dalla legna e dalla stufa si ha il calore.
Fino a che punto ciò sia vero per Amelia Rosselli, lo ripeto, non so dire: so che mi comporto, leggendola, o più ascoltandola nelle registrazioni o ascoltandone parlare, come se lo fosse. Ed ecco la seduzione: Vittorio Sermonti, sfruttando senza volere una frase di Pound, con bella ipotiposi rende alla platea televisiva di Che tempo che fa l'immagine dell'uomo di fronte alla poesia mettendo in scena un bambino che, seduto sul tappeto del salotto, ascolta magnetizzato i discorsi dei grandi (il Poeta dei Cantos sosteneva appunto che la poesia altro non fossero che discorsi fra persone intelligenti(**)), senza intenderli ma non senza capirli, sedotto da quella mancanza - e da cos'altro, se no.
Incontrando la Rosselli si è preda del medesimo incantamento - e della stessa distanza. Bianca Maria Frabotta testimonia per la tv che "aveva un grandissimo carisma (...) faceva parte per sé stessa". Si capisce di avere a che fare con un essere di completo sviluppo, e perciò alieno: tanto da scrivere una frase-verso "scandalosamente il Cristo attraente alle bambine" (p. 15) come puro dato oggettivo - aiutata forse in questo dalla pratica d'un'arte asemantica quale la musica (quella cerebrale, dodecafonica), dalla musica dell'inglese (ta-tà, ta-ta-ta-tà, solfeggia nel documentario Rai) che voleva travasare nella frase italiana, ancora di melodramma (tàaa-taàaa, tàaa-taàaa, tàaa-tatàta). E qui come sopra torneremmo a discutere di forma e vita, di forma di vita: lasciamo perdere. Se non per ricordare quanto, secondo Livia Livi - sempre ne la rissa, vedi nota - lei aveva bisogno di "accensioni", di avvenimenti esterni, per scrivere: esauritesi le "possibilità di mettersi in contatto con la vita", smise assieme di poetare e di vivere.
Tornando all' "adultità" non è la ripeness maschile, che è il termine d'un processo di paideia, e dunque un'aspettativa sociale dinamica. Bensì viene data, fa parte della statica "seppure impetuosa energia" (p. 59) - è componente, io credo, di quella solidità, di quell'appiglio (di cui parla Daniela Attanasio a p. 57) che ancorava la Poeta (non "poetessa", siccome voleva la Morante) al reale, con legami di complicatissima evidenza: così "arrivare in tempo per essere distrutta" è conseguenza del "volendo cocente saper vivere e cogliere dalla vita solo quello che gli era dovuto!", cioè "nulla". (pp. 34-5) E' la condizione del "nulla dinanzi a me, il vuoto dietro", del tacciàto di follia, del reduce dall'elettroshock. E, declinata al femminile, che matura coscienza della donna (l'"arrivare in tempo") lo è del proprio annullamento - pur venendo da una famiglia eccezionale, ove le donne avevano ruoli dominanti. Da cui, forse, "meglio il male". (p. 49)
Creatura aliena (anche per questa sua condizione "adult(er)a") caduta sulla Terra, l'Autrice tenta di stabilire un contatto, mediante i suoi testi e la sua storia, con i fragili, crudeli umani: talvolta riuscendoci, altre volte meno. Forse, l'incontro sarebbe stato più facile, se non ci fossimo alzati dal tappeto. E se ci si fosse stesa lei.
(*) La rissa degli angeli, di Loredana Rotondo, regia di Manuela Vigorita;
(**)nello stesso, la Frabotta rileva nell'Autrice il modulo della "poesia come conversazione".
di Vera Barilla
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