CLASSICI
Massimo Grisafi
Dopo tanto tempo... "La bella estate" di Cesare Pavese.
Ho riletto La bella estate di Pavese dopo tantissimo tempo, incuriosito dal fatto che lo scorso anno ne è stato tratto un film (ammetto di non averlo visto, anche perché non ha avuto una grande distribuzione).
Più che un romanzo è un racconto lungo (faceva parte di una trilogia di
storie insieme a "Tra donne sole" e "Il diavolo sulle colline" ) ambientato soprattutto in città (la collina viene solo citata in alcune occasioni), a differenza di tanti romanzi di Pavese dove le colline delle langhe la fanno da padrone. Il periodo in cui è stato scritto è quello delle massime scelte nefaste del regime fascista ma dal romanzo tutto questo non traspare. Le protagoniste, quattro donne di cui due le principali, sembrano addirittura vivere in una bolla da belle époque tra artisti e locali dove passare il tempo a bere e incontrarsi. Amelia, delle due la più grande, ragazza disinvolta e disinibita, amante di uomini e donne, si muove con apparente disinvoltura in questo ambiente bohemien, posando nuda per diversi pittori. Questo
suo modo di essere affascina Ginia, adolescente in procinto di diventare donna, che vede in Amelia sicuramente un modello, se non da seguire (la prima volta che poserà nuda infatti scapperà via dalla vergogna per essere stata spiata da un uomo da dietro una tenda) quantomeno da ammirare.
Amelia però pagherà a caro prezzo la sua disinvoltura ammalandosi di un male che, a quei tempi, era forse più tremendo dell’aids: la sifilide, mentre Ginia si innamorerà di Guido, un soldato di leva che nei ritagli di tempo si dedica alla pittura, un bellimbusto che si approfitterà di lei per poi lasciarla senza una parola.
Del resto, tutti gli uomini del racconto di Pavese sono descritti come guardoni, approfittatori ed esseri senza scrupoli, incapaci di guardare oltre il loro piccolo interesse, mentre le ragazze, invece, sono dei giganti in un mondo di nani. Un libro sulle donne e per le donne, in un periodo tutt’altro che semplice per loro e scritto da uno che, da più di un critico, è stato definito misogino. Eppure Pavese, come in tanti altri romanzi, tratteggia i suoi personaggi femminili come solo uno che ama e conosce le donne sa fare. Tornando alla storia, il tema principale che emerge, come in altri suoi racconti, è quello del dì di festa: un periodo cioè di grande attesa ma che il più delle volte si trasforma in disincanto se non in tragedia. A questo proposito, nelle pagine finali Ginia ipotizza l’idea del suicidio che poi non farà, idea tanto ricorrente negli scritti di Pavese e, purtroppo, nella sua vita personale.
Concludo proprio con l’incipit del libro che sembra un inno al dì di festa, se solo ci fermassimo a leggere le prime dieci righe...
“A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la
strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline.”
Più che un romanzo è un racconto lungo (faceva parte di una trilogia di
storie insieme a "Tra donne sole" e "Il diavolo sulle colline" ) ambientato soprattutto in città (la collina viene solo citata in alcune occasioni), a differenza di tanti romanzi di Pavese dove le colline delle langhe la fanno da padrone. Il periodo in cui è stato scritto è quello delle massime scelte nefaste del regime fascista ma dal romanzo tutto questo non traspare. Le protagoniste, quattro donne di cui due le principali, sembrano addirittura vivere in una bolla da belle époque tra artisti e locali dove passare il tempo a bere e incontrarsi. Amelia, delle due la più grande, ragazza disinvolta e disinibita, amante di uomini e donne, si muove con apparente disinvoltura in questo ambiente bohemien, posando nuda per diversi pittori. Questo
suo modo di essere affascina Ginia, adolescente in procinto di diventare donna, che vede in Amelia sicuramente un modello, se non da seguire (la prima volta che poserà nuda infatti scapperà via dalla vergogna per essere stata spiata da un uomo da dietro una tenda) quantomeno da ammirare.
Amelia però pagherà a caro prezzo la sua disinvoltura ammalandosi di un male che, a quei tempi, era forse più tremendo dell’aids: la sifilide, mentre Ginia si innamorerà di Guido, un soldato di leva che nei ritagli di tempo si dedica alla pittura, un bellimbusto che si approfitterà di lei per poi lasciarla senza una parola.
Del resto, tutti gli uomini del racconto di Pavese sono descritti come guardoni, approfittatori ed esseri senza scrupoli, incapaci di guardare oltre il loro piccolo interesse, mentre le ragazze, invece, sono dei giganti in un mondo di nani. Un libro sulle donne e per le donne, in un periodo tutt’altro che semplice per loro e scritto da uno che, da più di un critico, è stato definito misogino. Eppure Pavese, come in tanti altri romanzi, tratteggia i suoi personaggi femminili come solo uno che ama e conosce le donne sa fare. Tornando alla storia, il tema principale che emerge, come in altri suoi racconti, è quello del dì di festa: un periodo cioè di grande attesa ma che il più delle volte si trasforma in disincanto se non in tragedia. A questo proposito, nelle pagine finali Ginia ipotizza l’idea del suicidio che poi non farà, idea tanto ricorrente negli scritti di Pavese e, purtroppo, nella sua vita personale.
Concludo proprio con l’incipit del libro che sembra un inno al dì di festa, se solo ci fermassimo a leggere le prime dieci righe...
“A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la
strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline.”
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