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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Roland Barthes

Dove lei non è

Einaudi, Pag. 257 Euro 18,00
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Scriveva Pasolini concludendo la sua poesia 'Supplica a mia madre': Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile...

Roland Barthes, alla morte della madre, il 25 ottobre 1977, fece di più: tenne un diario dove annotava, quasi quotidianamente, i pensieri, le angosce, il dolore per quella perdita così inconsolabile. E questo diario vede finalmente la luce in Italia tradotto con un titolo che se vogliamo accentua ancora di più il senso della dipartita, Dove lei non c'è, ma che in qualche modo tradisce l'originale: Journal de deuil (diario del lutto).

Proprio perché confrontandosi (lo preferiamo alla psicanalitica 'elaborazione') col lutto e con le sue contraddizione Barthes arriva finanche ad una sorta di identificazione col ricordo e il corpo della madre.

I segmenti, i pensieri dolenti, le immagini che compongono Journal de deuil (perdonatemi, ma lo preferisco alla traduzione), che ricordano i frammenti della poesia greca, girano attorno, essenzialmente, a tre concetti: il lutto appunto, la presunta libertà dalla 'prigione di un rapporto (con sfumature contraddittorie) e il valore terapeutico della scrittura.

E' vero, il libro racconta anche altro, lo stupore assoluto di ritrovarsi solo e disperato, la presenza degli amici che non hanno un effetto curativo, i viaggi, soprattutto in Marocco, con la voglia assoluta del ritorno, ma quel che 'segna' di netto l'incedere dei giorni e quindi della sovrapposizione allo strazio, è giocato attorno al senso del lutto, della libertà e della letteratura come parziale salvezza.

Su quest'ultima dice: Non ne voglio parlare, per paura di fare della letteratura – o senza essere certo di non farne – benché in effetti la letteratura abbia origine da queste verità. (Pag. 25). E successivamente ammette che: Sgomento, stato di abbandono, apatia: sola, a folate, l'immagine della scrittura come 'cosa che invoglia', porto, 'salvezza', progetto, in una parola 'amore' gioia. Suppongo che ogni sincera devota abbia gli stessi moti verso il suo Dio (Pag. 61). Completando poi: La Depressione arriverà quando, dal fondo della tristezza, non mi potrò neanche aggrappare alla scrittura (pag. 64).

Il lutto è vissuto con l'unica speranza di esorcizzarlo: Non dire lutto. E' troppo psicalitico. Non sono in lutto. Provo tristezza (Pag. 75), se non addirittura di abitarlo senza eccitazioni: L'indescrivibile del mio lutto proviene dal fatto che io non lo isterizzo: malessere continuo, particolarissimo (pag. 86). Ma è una battaglia persa, perché la diversa concettualità non l'allontana, lo diversifica soltanto: il Tempo calma il lutto – No, il Tempo non fa passare niente; fa passare soltanto l'emotività del lutto (pag. 103).

Lutto imparentato con la libertà, o con quel che crede tale, perché lo scrittore è ingannato dal distacco dalla madre che per un momento ha reputato costruttivo: 1° lutto/ falsa libertà/ 2° lutto/ libertà desolata/ mortale, senza/ un impiego degno. (Pag. 151).

S'assomiglia la supplica pasoliniana alla disperazione barthesiana, perché se l'uno auspica una immortalità di fondo, l'altro, avendola già persa la vuole ritrovare: Se fossi sicuro, io, di ritrovare Mamma, morirei immediatamente (pag. 159).

Non sappiamo in Pasolini, ma in Barthes l'essere intellettuale certifica alla fine non una superiorità di fondo, ma la legittimità di una capitolazione: Oh che paradosso! A me, così 'intellettuale', o almeno accusato di esserlo, a me, così fittamente intessuto di un incessante meta-linguaggio (che peraltro difendo), lei indica sovranamente il non-linguaggio.

Sembra una resa definitiva alla morte, la rinuncia al suo 'status': chissà come avrebbe riso di fronte all'inguaribile cinismo di un destino che lo portò alla tomba appena tre anni dopo per un incidente automobilistico.





di Alfredo Ronci


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