RECENSIONI
Dan Simmons
Drood
Elliot, Pag. 815 Euro 19.50
Diceva Guido Almansi nell'edizione del 1983 de Il mistero di Edwin Drood di Charles Dickens: come altri romanzi di Dickens 'Il mistero di Edwin Drood' vive delle sue memorabili macchiette.
Ed elenca poi una serie di nomi per suffragare la sua intuizione. Gioca anche lui però sul lato 'misterico' che ha fatto la fortuna di quel libro.
Nel corso degli anni (ricordiamo che il romanzo rimase incompiuto per la morte improvvisa di Dickens nel 1870) varie ipotesi si sono succedute nel tentativo di rendere compiuta un'opera che purtroppo non lo fu (persino i nostri Fruttero e Lucentini hanno partecipato al 'gioco'), addirittura presentando pubblicamente documentazioni che poi si rivelarono delle bufale (a cominciare dallo sporco 'affaire' dell'amico e biografo dello stesso Dickens John Foster che espose un sua teoria basata su confessioni personali dello scrittore che poi si rivelarono false).
Insomma, in un secolo e mezzo quasi Il mistero di Edwin Drood non smette di appassionare gli 'appassionati' e Drood di Dan Simmons è l'ennesimo contributo. Crediamo noi riuscito male.
Ed è un peccato, perché lo scrittore statunitense è una penna gagliarda (basti per tutti il ciclo fantascientifico di Hyperion).
Qui ne combina di cotte e di crude imbastendo un intreccio quasi impossibile da seguire e peraltro noioso trasformando l'amico personale di Charles Dickens, Wilkie Collins (anche lui straordinario scrittore, uno degli inventori del genere giallo con La pietra di luna) in un consumatore ed allucinato 'fruitore' di laudano e oppio, in un tronfio intellettuale che si crede superiore a tutti e in un invidioso individuo peraltro assai vendicativo.
Nessuno mette in dubbio che Drood sia nato dopo la lettura di una mole considerevole di testi riguardanti i protagonisti e soprattutto le diatribe sul 'mistero', ma Simmons ha peccato di presunzione, dimenticando l'insegnamento di uno dei suoi 'attori'. Diceva infatti Wilkie Collins nel tentativo di spiegare lo straordinario successo dei suoi romanzi (alcuni, come appunto il già citato La pietra di luna, riuscì a vendere anche più degli stessi libri di Dickens) e l'attaccamento dei lettori: Falli ridere, falli piangere, falli aspettare. Se si escludono i primi due lapalissiani suggerimenti, l'intenzione del terzo era quello di allungare il brodo dell'attesa della risoluzione delle vicende tenendo anche conto che i romanzi di allora uscivano a puntate sulle riviste.
Simmons ha ignorato i primi due e ha stravolto il terzo: nel senso che il suo noioso e prolisso libro (più di ottocento pagine!) sfinisce il lettore solo nell'attesa (o nell'aspettazione) che la storia finisca.
Peccato anche qui, perché davvero rimasticando la materia de Il mistero di Edwin Drood ci si poteva aspettare un teatro di avvenimenti diversi da Drood che mischia sì con dovizia certosina le vicende legate al caso, ma le alimenta di un surplus non solo narrativo, ma 'materico' che alla fine mette a dura prova anche il lettore più paziente (e io lo sono).
Se il suggerimento (riportato all'inizio) di Almansi su come affrontare l'incompiuto romanzo di Dickens può senz'altro avere una sua ragione d'essere, non può parimenti averla per quanto riguarda Drood: l'arte macchiettistica di Dickens non ha pari, quella di Simmons agita lo spettro di un feuilleton ottocentesco infarcito di tutto (ma lui non è Sue!). E si sa, il tutto, anzi il troppo, stroppia.
di Alfredo Ronci
Ed elenca poi una serie di nomi per suffragare la sua intuizione. Gioca anche lui però sul lato 'misterico' che ha fatto la fortuna di quel libro.
Nel corso degli anni (ricordiamo che il romanzo rimase incompiuto per la morte improvvisa di Dickens nel 1870) varie ipotesi si sono succedute nel tentativo di rendere compiuta un'opera che purtroppo non lo fu (persino i nostri Fruttero e Lucentini hanno partecipato al 'gioco'), addirittura presentando pubblicamente documentazioni che poi si rivelarono delle bufale (a cominciare dallo sporco 'affaire' dell'amico e biografo dello stesso Dickens John Foster che espose un sua teoria basata su confessioni personali dello scrittore che poi si rivelarono false).
Insomma, in un secolo e mezzo quasi Il mistero di Edwin Drood non smette di appassionare gli 'appassionati' e Drood di Dan Simmons è l'ennesimo contributo. Crediamo noi riuscito male.
Ed è un peccato, perché lo scrittore statunitense è una penna gagliarda (basti per tutti il ciclo fantascientifico di Hyperion).
Qui ne combina di cotte e di crude imbastendo un intreccio quasi impossibile da seguire e peraltro noioso trasformando l'amico personale di Charles Dickens, Wilkie Collins (anche lui straordinario scrittore, uno degli inventori del genere giallo con La pietra di luna) in un consumatore ed allucinato 'fruitore' di laudano e oppio, in un tronfio intellettuale che si crede superiore a tutti e in un invidioso individuo peraltro assai vendicativo.
Nessuno mette in dubbio che Drood sia nato dopo la lettura di una mole considerevole di testi riguardanti i protagonisti e soprattutto le diatribe sul 'mistero', ma Simmons ha peccato di presunzione, dimenticando l'insegnamento di uno dei suoi 'attori'. Diceva infatti Wilkie Collins nel tentativo di spiegare lo straordinario successo dei suoi romanzi (alcuni, come appunto il già citato La pietra di luna, riuscì a vendere anche più degli stessi libri di Dickens) e l'attaccamento dei lettori: Falli ridere, falli piangere, falli aspettare. Se si escludono i primi due lapalissiani suggerimenti, l'intenzione del terzo era quello di allungare il brodo dell'attesa della risoluzione delle vicende tenendo anche conto che i romanzi di allora uscivano a puntate sulle riviste.
Simmons ha ignorato i primi due e ha stravolto il terzo: nel senso che il suo noioso e prolisso libro (più di ottocento pagine!) sfinisce il lettore solo nell'attesa (o nell'aspettazione) che la storia finisca.
Peccato anche qui, perché davvero rimasticando la materia de Il mistero di Edwin Drood ci si poteva aspettare un teatro di avvenimenti diversi da Drood che mischia sì con dovizia certosina le vicende legate al caso, ma le alimenta di un surplus non solo narrativo, ma 'materico' che alla fine mette a dura prova anche il lettore più paziente (e io lo sono).
Se il suggerimento (riportato all'inizio) di Almansi su come affrontare l'incompiuto romanzo di Dickens può senz'altro avere una sua ragione d'essere, non può parimenti averla per quanto riguarda Drood: l'arte macchiettistica di Dickens non ha pari, quella di Simmons agita lo spettro di un feuilleton ottocentesco infarcito di tutto (ma lui non è Sue!). E si sa, il tutto, anzi il troppo, stroppia.
di Alfredo Ronci
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