RECENSIONI
Charles Bukowski
E così vorresti fare lo scrittore?
Guanda, Pag. 201 Euro 14,50
E' una raccolta poetica inedita che si apre con una chiara dichiarazione d'intenti Il modo per creare arte è bruciare e distruggere concetti comuni e sostituirli con nuove verità che scendono dalla testa ed escono dal cuore. Un incoraggiamento a scrivere, ma anche uno scoraggiamento dal farlo se non si è pronti.
Fare lo scrittore non è un gioco o un passatempo, non è una scelta imposta, a volte può essere un bluff editoriale che nasconde un'operazione commerciale, ma questi giochini hanno vita breve.
Fare lo scrittore è essere predestinati quando sarà veramente il momento e se sei predestinato, si farà da sé e continuerà finchè tu morirai o morirà in te. L'esigenza fa nascere la scrittura. Un'esigenza aliena alla frase "Io faccio lo scrittore", lontana dal "Ora mi metto a scrivere".
La scrittura è una scommessa con il mondo e con le proprie storie e chi ha la forza di impugnare la penna lo deve fare affondando completamente nello schifo che lo circonda e in quello che riempie la propria testa.
Bisogna avere il fisico adatto per impugnarla, signori miei, perché
altrimenti si piange a fare gli scrittori, specie quando ci si trova ad essere vecchi e demodè agli occhi dei lettori e della critica, perché c'è sempre un giovane dagli occhi spiritati solo e sconosciuto in una stanza che vi farà dimenticare e sarà dimenticato forse da quel giovane che verrà dopo di lui.
Chi non ha il fisico non è tagliato, e non permettetevi di fare appunti sul fisico del nostro chè troppo ne ha e troppo ne avrebbe. Una pancia e qualche acciacco non sono affatto un peso o un fardello, anzi il nostro vecchio ne fa una forza inarrestabile.
Le parole corrono poi su macchine, oltre che su fogli, e le macchine
promettono prodigi, come gli editori: e non ci si deve fidare (delle une e degli altri); ed è eclatante l'esempio fatto con il "cambio" in "Un Lazzaro meccanico", quando la fedele IBM Selectric viene sostituita da un computer subito in balia di un virus che fa resuscitare la vecchia amica.
Oltre al fill rouge della scrittura e dello scrittore "Hank" si svela con tratti infantili, segreti, con la pruriginosa capacità di mettere tutte le carte in tavola, di dire pane al pane e vino al vino.
Centellina quello che vuole mostrarci e come un mastro profumiere ci regala ad ogni verso un'aggiunta, un bilanciamento dell'essenza poetica che fa vibrare ogni corda del nostro passato e della nostra intimità velata da mille falsi pudori che ci imponiamo o ci facciamo imporre dagli analisti.
Lo scrittore ha un bambino che ringhia feroce dietro le sbarre dell'essere adulti e che quando si sente libero brucia, distrugge, tocca ogni cosa, ogni particolare e lo sporca con il sangue della sincerità. Bukowski non rinchiude quasi mai il bambino che è stato e per questo ci fa vivere puramente le sue parole, ce la fa vivere nell'incoscienza che vorremmo avere, che abbiamo paura di tirare fuori, tutto quello che diverte e fa soffrire in realtà è la visione di un grosso bambino con la barba e la bottiglia presa saldamente per il collo.
Ci sono i luoghi e tutti i non luoghi: le periferie, il Messico, le stanze d'albergo e soprattutto la Strada, quella delle regole, delle bevute e delle lunghe riflessioni.
C'è l'incanto del disincanto in ogni verso/frase lasciato cadere come un masso sul terreno dei nostri poveri occhi ignari, tutte le poesie sono massime, sono una grande raccolta di saggezza e di filosofia alcolica e proletaria, sono invettive feroci, satire taglienti che feriscono il cuore del sistema, di qualsiasi sistema, da quello americano a quello delle famigliole take away, fino ad arrivare al modus vivendi che ognuno di noi adotta.
Come sempre, una grande dichiarazione d'amore verso questa sporca vita che però non risparmia mai di stupirci, come una balena bianca di 70 anni nell'acqua lattescente di una jacuzzi.
di Alex Pietrogiacomi
Fare lo scrittore non è un gioco o un passatempo, non è una scelta imposta, a volte può essere un bluff editoriale che nasconde un'operazione commerciale, ma questi giochini hanno vita breve.
Fare lo scrittore è essere predestinati quando sarà veramente il momento e se sei predestinato, si farà da sé e continuerà finchè tu morirai o morirà in te. L'esigenza fa nascere la scrittura. Un'esigenza aliena alla frase "Io faccio lo scrittore", lontana dal "Ora mi metto a scrivere".
La scrittura è una scommessa con il mondo e con le proprie storie e chi ha la forza di impugnare la penna lo deve fare affondando completamente nello schifo che lo circonda e in quello che riempie la propria testa.
Bisogna avere il fisico adatto per impugnarla, signori miei, perché
altrimenti si piange a fare gli scrittori, specie quando ci si trova ad essere vecchi e demodè agli occhi dei lettori e della critica, perché c'è sempre un giovane dagli occhi spiritati solo e sconosciuto in una stanza che vi farà dimenticare e sarà dimenticato forse da quel giovane che verrà dopo di lui.
Chi non ha il fisico non è tagliato, e non permettetevi di fare appunti sul fisico del nostro chè troppo ne ha e troppo ne avrebbe. Una pancia e qualche acciacco non sono affatto un peso o un fardello, anzi il nostro vecchio ne fa una forza inarrestabile.
Le parole corrono poi su macchine, oltre che su fogli, e le macchine
promettono prodigi, come gli editori: e non ci si deve fidare (delle une e degli altri); ed è eclatante l'esempio fatto con il "cambio" in "Un Lazzaro meccanico", quando la fedele IBM Selectric viene sostituita da un computer subito in balia di un virus che fa resuscitare la vecchia amica.
Oltre al fill rouge della scrittura e dello scrittore "Hank" si svela con tratti infantili, segreti, con la pruriginosa capacità di mettere tutte le carte in tavola, di dire pane al pane e vino al vino.
Centellina quello che vuole mostrarci e come un mastro profumiere ci regala ad ogni verso un'aggiunta, un bilanciamento dell'essenza poetica che fa vibrare ogni corda del nostro passato e della nostra intimità velata da mille falsi pudori che ci imponiamo o ci facciamo imporre dagli analisti.
Lo scrittore ha un bambino che ringhia feroce dietro le sbarre dell'essere adulti e che quando si sente libero brucia, distrugge, tocca ogni cosa, ogni particolare e lo sporca con il sangue della sincerità. Bukowski non rinchiude quasi mai il bambino che è stato e per questo ci fa vivere puramente le sue parole, ce la fa vivere nell'incoscienza che vorremmo avere, che abbiamo paura di tirare fuori, tutto quello che diverte e fa soffrire in realtà è la visione di un grosso bambino con la barba e la bottiglia presa saldamente per il collo.
Ci sono i luoghi e tutti i non luoghi: le periferie, il Messico, le stanze d'albergo e soprattutto la Strada, quella delle regole, delle bevute e delle lunghe riflessioni.
C'è l'incanto del disincanto in ogni verso/frase lasciato cadere come un masso sul terreno dei nostri poveri occhi ignari, tutte le poesie sono massime, sono una grande raccolta di saggezza e di filosofia alcolica e proletaria, sono invettive feroci, satire taglienti che feriscono il cuore del sistema, di qualsiasi sistema, da quello americano a quello delle famigliole take away, fino ad arrivare al modus vivendi che ognuno di noi adotta.
Come sempre, una grande dichiarazione d'amore verso questa sporca vita che però non risparmia mai di stupirci, come una balena bianca di 70 anni nell'acqua lattescente di una jacuzzi.
di Alex Pietrogiacomi
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