RECENSIONI
Gregor Ziemer
Educazione alla morte
Città aperta, Pag.181 Euro 15,00
Daß du unter den Volkern sitzest
Ein Gespött oder eine Furcht.
Bertoldt BRECHT
Un (bel) po' di anni fa, in area Ghezzi, vidi un cartone animato omonimo di questo libro. Il cortometraggio era di propaganda, ma godibile. Così come il libro non è un capolavoro, ma offre una dettagliata - nei limiti dell'oggettività possibile in tempo di guerra - rassegna del sistema d'imbonimento infantile (non lo chiamerei "educativo") in vigore nella Germania di Hitler. Prima di addentrarmi nella dissezione del testo, vorrei ricordare al Seguace di quanto rimarco (rimarco Lanzòl, ovvio) una mia lettura giovanile, ripetuta negli anni: l'arcinoto (e a buon diritto) 1984, di George Orwell. Ragazzo, lo lessi come un libro di fantascienza - era la mia passione d'allora -, e tuttavia mi colpì dal punto di vista concettuale il perfetto meccanismo di annientamento del linguaggio che è il fulcro del romanzo e la sua invenzione più durevole, e, dal lato emotivo, l'idea che si potesse fisiologicamente cambiare l'atto del piacere in atto di dolore mal protendendo i nervi, intervenendo cioè sulla fisiologia umana sì da rendere l'orgasmo doloroso invece che sommamente gradevole (in Ziemer ci si chiede: Cos'è (questo nazismo), capace di pervertire persino gli istinti?, p. 89). La diagnosi di qualsiasi distruzione dell'uomo parte, credo ora, proprio da queste due circostanze: il "dressage" del corpo, la creazione d'una lingua la quale "tutto ciò che dice, è bugia" (Racine). Una lingua ove ogni ambiguità e diversità è annullata, così da creare un circolo vizioso fra grossolana, tarocca semplicità degli enunciati, e cervelli semplici perché mai esposti e fatti crescere nella complessità. Cervelli in cui la disabitudine alla non linearità linguistica è prodromo e schema del rifiuto della molteplice genìa umana - dalla neolingua al lager o al manicomio per i dissidenti il passo è breve.
Ziemer, nella sua indagine - pubblicata negli USA nel 1941, ispiratrice di un film di successo e del cartoon sunnominato, tradotta in italiano per venir distribuita ai "coreas" ex-fascisti perché sapessero - illustra con chiarezza e dovizia di esempi come le menti e i corpi dei bimbi e ragazzi tedeschi venissero plasmate in vista d'un unico obiettivo: trasformare ogni maschietto in soldato, ogni femminuccia in pallida madre di soldati. I tedeschi partivano dal presupposto che "la gioventù, appunto in virtù della sua ignoranza, rappresenta quasi sempre il soggetto che meno oppone resistenza": (p. 8) ipotesi che persino loro dovevano ritenere discutibile, visto quel "quasi", e vista la ben poca resistenza che avevano avuto dagli adulti - forse d'identica ma non attenuabile pochezza. Comunque: su tale base avevano programmato un percorso di diseducazione le cui tappe dovevano essere rigorosamente rispettate: i maschi (delle ragazzine ci si preoccupava molto meno) dai sei ai dieci anni erano pimpf, dai dieci ai quattordici jungvolk, dai quattordici ai diciotto entravano nella Hitler Jugend. Si insegnava loro poco più che a venerare Hitler, a credersi superiori a tutti i popoli del mondo, e a impratichirsi nell'arte della guerra. Stessa musica anche per l'insegnamento universitario: i corsi vennero nazificati , dimostrando, se ce ne fosse bisogno, che ogni scienza può accogliere, in misura più o meno vasta, l'ideologia, corrompendosi ad essa. (pp. 156-166)
Tutto ciò è di grande rilievo, perché ci fa penetrare, meglio forse di qualsiasi altro mezzo, nella materia stessa di cui era fatta la follìa nazista. Come una TAC - e dato per scontato che il lavoro di Ziemer "spesso cade nella retorica oppure tende in alcuni passaggi a romanzare il carattere dei suoi incontri e dei suoi viaggi" (p. 12) - il testo si propone come una foto del cervello dei giovanissimi tedeschi, e la negativa di come si voleva che fosse. Ma, leggendo tra le righe, si offre pure come sonda per individuare quei germi di nazifascismo (ovvero di totalitarismo di derivazione capitalistica) che la nostra società mantiene ben vivi e vegeti, come i "bifidus" degli yoghurt: "il veleno che le scuole di Hitler stanno iniettando" finisce nelle vene d'un mondo che è "stanco al punto da ammirare il successo sopra ogni altra cosa, o quasi", (p. 175) e che è il nostro mondo (il mostro-mondo? Cfr. il Michel Tournier de Il re degli ontani). E l'essere le fanciulle e le donne destinate al binomio mogli-madri, (pp. 121, 126) siamo sicuri di averlo inteso solo nei discorsi di Hitler (Lettore assiduo, ti rimando a Politica e amore, di Paola Tonelli, censìto in questo periodico telematico)? Per non dire dell'antisemitismo, che vanta (se son cose da vantarsi tra esseri umani) millenni di tradizione e del quale il nazismo ha colto il frutto avvelenato - come dell'omofobia, della paura del diverso, dell'odio politico, della distorta eugenetica (esempi fra diversi la sterilizzazione coatta, (p. 13) e il deviato darwinismo (p. 77) (*)), del razzismo - la cui virulenza è pronta a manifestarsi non appena popoli diversi vengono a contatto.
Ecco dunque come si spiega che un regime durato dodici anni - di cui sei di guerra - abbia potuto con tale rapida facilità propagarsi nell'animo di un popolo. Un popolo intero, coi saggi vecchi e le donne di casa che non hanno più grilli per il capo: perché, in fin dei conti, se il nazismo fosse stato solo una "crociata dei fanciulli", (p.119) e di pochi adulti rimbamboccìti, sarebbe facile spiegarlo e annullarlo.
Ma non fu, non è così. E sarà sempre così dove "l'ideologia" non verrà "degradata con spiegazioni dettagliate o discussioni". Dove la si considererà "un'unità sacra che va accettata dagli alunni come tale". (p. 9)
Dove non si discute, è pronto il nazismo. Nessuno se ne senta immune: perché a nessuno piace sentir mettere in discussione i propri principi. Specialmente dai pischèlli. Ai quali si chiede da subito di conformarsi ad essi, qualunque siano.
Meno male che, almeno qualcuno, non lo fa.
(*) Un maestro parla ai suoi piccoli allievi: "Avete visto come la Natura adopera il "Führerprinzip", il principio dell'autorità e del comando. Una cosa di certo non l'avete vista, ed è il principio di democrazia"" così, in Ziemer (ivi). Confrontalo, mio Speciale, con questo passaggio, ahimè ben più recente: "Tra i lupi, (...) i lupacchiotti non si mettono mai in testa alla muta, ma obbediscono docilmente al più forte" - tratto da M. C. Monchaux, La verità sui bambini, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1993, p. 76.
di Marco Lanzòl
Ein Gespött oder eine Furcht.
Bertoldt BRECHT
Un (bel) po' di anni fa, in area Ghezzi, vidi un cartone animato omonimo di questo libro. Il cortometraggio era di propaganda, ma godibile. Così come il libro non è un capolavoro, ma offre una dettagliata - nei limiti dell'oggettività possibile in tempo di guerra - rassegna del sistema d'imbonimento infantile (non lo chiamerei "educativo") in vigore nella Germania di Hitler. Prima di addentrarmi nella dissezione del testo, vorrei ricordare al Seguace di quanto rimarco (rimarco Lanzòl, ovvio) una mia lettura giovanile, ripetuta negli anni: l'arcinoto (e a buon diritto) 1984, di George Orwell. Ragazzo, lo lessi come un libro di fantascienza - era la mia passione d'allora -, e tuttavia mi colpì dal punto di vista concettuale il perfetto meccanismo di annientamento del linguaggio che è il fulcro del romanzo e la sua invenzione più durevole, e, dal lato emotivo, l'idea che si potesse fisiologicamente cambiare l'atto del piacere in atto di dolore mal protendendo i nervi, intervenendo cioè sulla fisiologia umana sì da rendere l'orgasmo doloroso invece che sommamente gradevole (in Ziemer ci si chiede: Cos'è (questo nazismo), capace di pervertire persino gli istinti?, p. 89). La diagnosi di qualsiasi distruzione dell'uomo parte, credo ora, proprio da queste due circostanze: il "dressage" del corpo, la creazione d'una lingua la quale "tutto ciò che dice, è bugia" (Racine). Una lingua ove ogni ambiguità e diversità è annullata, così da creare un circolo vizioso fra grossolana, tarocca semplicità degli enunciati, e cervelli semplici perché mai esposti e fatti crescere nella complessità. Cervelli in cui la disabitudine alla non linearità linguistica è prodromo e schema del rifiuto della molteplice genìa umana - dalla neolingua al lager o al manicomio per i dissidenti il passo è breve.
Ziemer, nella sua indagine - pubblicata negli USA nel 1941, ispiratrice di un film di successo e del cartoon sunnominato, tradotta in italiano per venir distribuita ai "coreas" ex-fascisti perché sapessero - illustra con chiarezza e dovizia di esempi come le menti e i corpi dei bimbi e ragazzi tedeschi venissero plasmate in vista d'un unico obiettivo: trasformare ogni maschietto in soldato, ogni femminuccia in pallida madre di soldati. I tedeschi partivano dal presupposto che "la gioventù, appunto in virtù della sua ignoranza, rappresenta quasi sempre il soggetto che meno oppone resistenza": (p. 8) ipotesi che persino loro dovevano ritenere discutibile, visto quel "quasi", e vista la ben poca resistenza che avevano avuto dagli adulti - forse d'identica ma non attenuabile pochezza. Comunque: su tale base avevano programmato un percorso di diseducazione le cui tappe dovevano essere rigorosamente rispettate: i maschi (delle ragazzine ci si preoccupava molto meno) dai sei ai dieci anni erano pimpf, dai dieci ai quattordici jungvolk, dai quattordici ai diciotto entravano nella Hitler Jugend. Si insegnava loro poco più che a venerare Hitler, a credersi superiori a tutti i popoli del mondo, e a impratichirsi nell'arte della guerra. Stessa musica anche per l'insegnamento universitario: i corsi vennero nazificati , dimostrando, se ce ne fosse bisogno, che ogni scienza può accogliere, in misura più o meno vasta, l'ideologia, corrompendosi ad essa. (pp. 156-166)
Tutto ciò è di grande rilievo, perché ci fa penetrare, meglio forse di qualsiasi altro mezzo, nella materia stessa di cui era fatta la follìa nazista. Come una TAC - e dato per scontato che il lavoro di Ziemer "spesso cade nella retorica oppure tende in alcuni passaggi a romanzare il carattere dei suoi incontri e dei suoi viaggi" (p. 12) - il testo si propone come una foto del cervello dei giovanissimi tedeschi, e la negativa di come si voleva che fosse. Ma, leggendo tra le righe, si offre pure come sonda per individuare quei germi di nazifascismo (ovvero di totalitarismo di derivazione capitalistica) che la nostra società mantiene ben vivi e vegeti, come i "bifidus" degli yoghurt: "il veleno che le scuole di Hitler stanno iniettando" finisce nelle vene d'un mondo che è "stanco al punto da ammirare il successo sopra ogni altra cosa, o quasi", (p. 175) e che è il nostro mondo (il mostro-mondo? Cfr. il Michel Tournier de Il re degli ontani). E l'essere le fanciulle e le donne destinate al binomio mogli-madri, (pp. 121, 126) siamo sicuri di averlo inteso solo nei discorsi di Hitler (Lettore assiduo, ti rimando a Politica e amore, di Paola Tonelli, censìto in questo periodico telematico)? Per non dire dell'antisemitismo, che vanta (se son cose da vantarsi tra esseri umani) millenni di tradizione e del quale il nazismo ha colto il frutto avvelenato - come dell'omofobia, della paura del diverso, dell'odio politico, della distorta eugenetica (esempi fra diversi la sterilizzazione coatta, (p. 13) e il deviato darwinismo (p. 77) (*)), del razzismo - la cui virulenza è pronta a manifestarsi non appena popoli diversi vengono a contatto.
Ecco dunque come si spiega che un regime durato dodici anni - di cui sei di guerra - abbia potuto con tale rapida facilità propagarsi nell'animo di un popolo. Un popolo intero, coi saggi vecchi e le donne di casa che non hanno più grilli per il capo: perché, in fin dei conti, se il nazismo fosse stato solo una "crociata dei fanciulli", (p.119) e di pochi adulti rimbamboccìti, sarebbe facile spiegarlo e annullarlo.
Ma non fu, non è così. E sarà sempre così dove "l'ideologia" non verrà "degradata con spiegazioni dettagliate o discussioni". Dove la si considererà "un'unità sacra che va accettata dagli alunni come tale". (p. 9)
Dove non si discute, è pronto il nazismo. Nessuno se ne senta immune: perché a nessuno piace sentir mettere in discussione i propri principi. Specialmente dai pischèlli. Ai quali si chiede da subito di conformarsi ad essi, qualunque siano.
Meno male che, almeno qualcuno, non lo fa.
(*) Un maestro parla ai suoi piccoli allievi: "Avete visto come la Natura adopera il "Führerprinzip", il principio dell'autorità e del comando. Una cosa di certo non l'avete vista, ed è il principio di democrazia"" così, in Ziemer (ivi). Confrontalo, mio Speciale, con questo passaggio, ahimè ben più recente: "Tra i lupi, (...) i lupacchiotti non si mettono mai in testa alla muta, ma obbediscono docilmente al più forte" - tratto da M. C. Monchaux, La verità sui bambini, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1993, p. 76.
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