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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Erika Moak

Eudeamon

Zero/91, Pag. 319 Euro 15,00
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Secoli che non leggevo fantascienza, quando l'infanzia, l'adolescenza e anche parte della maturità me la sono goduta con le letture di Clarke, Bradbury (noi orchi abbiamo l'intenzione di riproporre tra i classici l'indimenticabile Cronache marziane), Dick, Heinlein e molti altri. Credo che l'ultimo afflato la fantascienza l'abbia avuto col cyberpunk, poi il vorticoso, e spesso inutile, stormir tecnologico di questa contemporaneità mi ha personalmente impedito di confrontarmi con l'arte letteraria della previsione, dei sogni e delle mai sopite speranze.

Sorpreso dunque che una piccola e battagliera casa editrice mi abbia proposto la lettura di un romanzo di un'americana dell'Arkansas (pronuncia: Arkanso, con l'accento sulla prima 'a') di cui si sa pochissimo e visto anche la stranezza del cognome vien voglia di pensare che magari manco esista.

Dettagli: quel che conta è la storia, che è fantascientifica, ma che, proprio per evitare che la materia diventi solo oggetto di argomentazioni ed esternazioni alla Sticcon startrekkiana, tenta la strada di un futuro umanizzato ed umanizzabile.

Nell'immaginaria città di Eudemonia, i criminali possono scegliere o di andare in prigione o di scontare la loro pena in una sorta di galera mobile, il banesuit, una specie di costume con tanto di casco che aderisce perfettamente al corpo come se fosse una seconda pelle.

Katrina Nichols, una giornalista con la puzzetta sotto il naso, decide di avviare un'inchiesta per la sua testata per verificare se non si tratti di una punizione disumana ed ingiusta ed anche perché alcuni prigionieri cominciano a comportarsi in modo strano.

Tradotto da Winthorpe Foghorn Zinneman che Alberto Farina, il post-fattore, ci confessa che è innanzitutto una 'lei' e che è soprattutto un avatar conosciuta in un locale virtuale per cinefili su Second life, Eudeamon è un romano sull'amore universale, meglio ancora, sul tentativo di riconoscerlo, al di là dei condizionamenti e delle sovrastrutture a cui siamo ormai abituati.

Un viaggio, senza che nessuno si possa offendere, come sorta di ricerca del tempo perduto. Viaggio a tratti affascinante (intriganti le descrizioni di questi condannati che nelle loro tute si confondono con le persone comuni e apparentemente sembrano vivere in simbiosi con l'ambiente e quindi con la comunità) che in mano ad un buon regista potrebbe anche avere una sua via cinematografica personalissima lontana però (come lo è d'altronde il libro) dagli 'schiamazzi' tecnologici e dall'uso esagerato e onnicomprensivo degli effetti speciali.

Inno all'amore libero (il comportamento strano di alcuni prigionieri è dovuto al fatto che nel loro 'isolamento' scoprono una parte di sé scissa che diventa l'altra parte, compagno ideale di qualsiasi avventura) che sfiora – perché comunque sottosta all'impostazione fantascientifica della storia – le problematiche del 'diverso' e dei loro diritti. Perché nessuno ci toglie dalla mente che Inverno, la creatura nata da Katrina e con la quale la stessa instaura un rapporto di amore fisico e spirituale non possa essere l'idealizzazione di un rapporto saffico. E a noi sta bene.

Sempre meglio degli sproloqui berlusconiani sul partito dell'amore e le isterie vaticane sul diritto alla vita (quella stessa vita che loro vogliono 'nata' per poi successivamente 'stuprarla').



di Alfredo Ronci


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