RECENSIONI
Andrea Libero Carbone
Filosofia della chiacchiera
Castelvecchi, Pag. 92 Euro 7,50
La Filosofia della chiacchiera di Andrea Libero Carbone ha qualcosa di struggente e spiritosamente lancinante. A partire dall'ingannevole titolo, perché, spiegherà l'autore, una filosofia della chiacchiera non può esistere, e nemmeno si può chiacchierare di filosofia. Ma perché non ci può essere una filosofia della chiacchiera, né si può chiacchierare di filosofia? Perché "dall'antichità ai giorni nostri, il filosofo ha spesso trovato nel chiacchierone un antipode. È una marca imposta agli estranei che sembrano non condividere l'amore della saggezza, le sue pratiche e soprattutto la sua disciplina, in particolare quanto all'impiego regolamentato delle parole". Dunque chiacchiera e filosofia sono agli opposti; e, dunque, devono possedere qualcosa che li accumuna all'essenza. Voglio dire che non si può pensare che un pollo sia il contrario di una sedia, perché si possono trovare molte cose in comune fra un pollo e una sedia, ma nulla che si radichi nella loro essenza. E infatti Carbone dice: "pratica del discorso fra tante, la filosofia si distingue in particolare perché ha per scopo (e spesso per oggetto) il discorso stesso. Per altro verso, le sue ambizioni, i suoi obiettivi collaterali, sono l'autosufficienza e l'autonomia. Ma – scandalo – anche la chiacchiera basta a se stessa."
Il filosofo e il chiacchierone, insomma, parlerebbero per parlare, il che, bisogna ammettere, metterebbe una grossa ipoteca su tremila anni di pratica filosofica. E, allora, bisogna ricominciare da capo: "l'opposizione tra filosofia e chiacchiera, che si vorrebbe netta e senza sbavature, presenta una tendenza inveterata allo scarto". Meglio ammorbidire tutta la questione è dire che fra i tanti chiacchieroni di questo mondo ce ne sono alcuni che fanno i filosofi. Eraclito accusa Pitagora di essere un polymathès, uno che sa tutto ma non la cosa essenziale, un chiacchierone, ma Pitagora è pur sempre quello che si è inventato la filosofia e, infatti, fra tante chiacchiere qualcosa di essenziale deve averlo detto; e non è che Eraclito non sia mai lanciato in qualche divagazione. Siamo uomini e, per esempio, il Nazareno invitava anche lui a ragionare con metodo e rigore e, mancandogli maggiore determinatezza pirroniana, esortava tutti a limitarsi al sì, sì e no, no, ma tutto il resto del mestiere fu per lui cabaret mistique a raccontare storie e fare battute (la cruna dell'ago, la trave nell'occhio e via dicendo). Socrate, certo Socrate, aveva fatto un bel lavoro, lì nel cuore, a estrapolare dalle chiacchiere altrui la filosofia, e nota Carbone come tutti i testi platonici siano un chiacchierio, una tessitura fitta di interazioni ed esclamazioni puntualmente censurati in traduzione a causa del pernicioso pregiudizio che un filosofo e un chiacchierone sono agli opposti: Socrate era un chiacchierone, e anche la gente che frequentava, e, per sovrammercato, Socrate non migliorava gli altri con le sue parole, ma con la sua presenza. E poi c'è il falso filosofo della storiella raccontata da Carbone, il ciarlatano che, in ossequio al pregiudizio di cui sopra, si obbliga a non chiacchierare, rimane in silenzio mentre un vero filosofo lo prende poco filosoficamente a parolacce: la fiaba è a lieto fine: l'imbroglione è smascherato e si dimostra così che il filosofo è filosofo sia quando filosofeggia che quando divaga, magari trivialmente.
Infine, voglio dire, ci sarà pure qualche filosofo che deve essere arrivato a pensare, nella sua ricerca della verità, che la verità non c'è, e che, dunque, se la verità non c'è non deve essere nemmeno vero che la verità non c'è. Da questo è certo che un chiacchierone potrebbe trovare certa legittimazione a parlare a vuoto; non un filosofo.
Benjamin da qualche parte, inoltre, si deve essere incaponito a spiegare che fini e mezzi sono la stessa cosa, una forma di violenza. Il modo, invece, è l'essenziale. E l'essenziale che tocca questo piccolo libro è il modo, struggente e spiritosamente lancinante, in cui viene riguardato il modo in cui vengono impiegate le parole della tradizione filosofica occidentale.
di Pier Paolo Di Mino
Il filosofo e il chiacchierone, insomma, parlerebbero per parlare, il che, bisogna ammettere, metterebbe una grossa ipoteca su tremila anni di pratica filosofica. E, allora, bisogna ricominciare da capo: "l'opposizione tra filosofia e chiacchiera, che si vorrebbe netta e senza sbavature, presenta una tendenza inveterata allo scarto". Meglio ammorbidire tutta la questione è dire che fra i tanti chiacchieroni di questo mondo ce ne sono alcuni che fanno i filosofi. Eraclito accusa Pitagora di essere un polymathès, uno che sa tutto ma non la cosa essenziale, un chiacchierone, ma Pitagora è pur sempre quello che si è inventato la filosofia e, infatti, fra tante chiacchiere qualcosa di essenziale deve averlo detto; e non è che Eraclito non sia mai lanciato in qualche divagazione. Siamo uomini e, per esempio, il Nazareno invitava anche lui a ragionare con metodo e rigore e, mancandogli maggiore determinatezza pirroniana, esortava tutti a limitarsi al sì, sì e no, no, ma tutto il resto del mestiere fu per lui cabaret mistique a raccontare storie e fare battute (la cruna dell'ago, la trave nell'occhio e via dicendo). Socrate, certo Socrate, aveva fatto un bel lavoro, lì nel cuore, a estrapolare dalle chiacchiere altrui la filosofia, e nota Carbone come tutti i testi platonici siano un chiacchierio, una tessitura fitta di interazioni ed esclamazioni puntualmente censurati in traduzione a causa del pernicioso pregiudizio che un filosofo e un chiacchierone sono agli opposti: Socrate era un chiacchierone, e anche la gente che frequentava, e, per sovrammercato, Socrate non migliorava gli altri con le sue parole, ma con la sua presenza. E poi c'è il falso filosofo della storiella raccontata da Carbone, il ciarlatano che, in ossequio al pregiudizio di cui sopra, si obbliga a non chiacchierare, rimane in silenzio mentre un vero filosofo lo prende poco filosoficamente a parolacce: la fiaba è a lieto fine: l'imbroglione è smascherato e si dimostra così che il filosofo è filosofo sia quando filosofeggia che quando divaga, magari trivialmente.
Infine, voglio dire, ci sarà pure qualche filosofo che deve essere arrivato a pensare, nella sua ricerca della verità, che la verità non c'è, e che, dunque, se la verità non c'è non deve essere nemmeno vero che la verità non c'è. Da questo è certo che un chiacchierone potrebbe trovare certa legittimazione a parlare a vuoto; non un filosofo.
Benjamin da qualche parte, inoltre, si deve essere incaponito a spiegare che fini e mezzi sono la stessa cosa, una forma di violenza. Il modo, invece, è l'essenziale. E l'essenziale che tocca questo piccolo libro è il modo, struggente e spiritosamente lancinante, in cui viene riguardato il modo in cui vengono impiegate le parole della tradizione filosofica occidentale.
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