RECENSIONI
Italo Moscati
Gioco perverso
Lindau, Pag. 275 Euro 21,00
Nella passata legislatura quattro "onorevole" di Rifondazione comunista proponevano un'interrogazione al ministro delle Pari Opportunità sul perché all'interno dell'opera Italiane – dizionario che raccoglie oltre duecento biografie di figure femminili dall'Unità ad oggi – fossero inseriti i ritratti di Claretta Petacci, Rachele Guidi, Piera Matteschi e Luisa Ferida. E a proposito di quest'ultima si leggeva: Ma il culmine, la raccolta patrocinata da Lei e dalla Presidenza del Consiglio, a spese dei contribuenti italiani, l'ha raggiunto con Luisa Ferida.A quanto si apprende dalle dichiarazioni di Anna Foa, che ha curato la relativa voce, di questa donna si sottolineano tutte le responsabilità, che non sono poche perché la Ferida, con il marito Osvaldo Valenti, era sicuramente collegata alla famigerata banda Koch, formata dai peggiori criminali e torturatori della repubblica di Salò. Le prove di questo collegamento sono inoppugnabili. Non capiamo quindi perché dovremmo ringraziarla. Né possiamo ringraziarla per altre circostanze, dato che gli stessi storici propensi a tesi assolutorie, scrivono che i due, Valenti e la Ferida, finirono nel "buco nero" della banda Koch forse più per ragioni di comune consumo di morfina, eroina, cocaina e simili che per motivazioni politiche. Commendevole anche questo?
Certamente no, potrei rispondere, ma forse troppo per "meritare" una fucilazione.
Dunque, la tesi assolutoria di alcuni storici, in qualche modo, è anche di Italo Moscati, esperto di cinema, sceneggiatore, anche docente universitario.
Andiamo con ordine. Chi erano Luisa Ferida e Osvaldo Valenti? Due attori famosissimi della Cinecittà degli anni '30 e dei primi anni '40 (nel 1943, in concomitanza col declino di Mussolini, gran parte delle strutture cinematografiche furono portate a Venezia) che di fronte alla scelta di "da che parte stare" dopo l'8 settembre optarono per la repubblica di Salò per poi finire davanti ad un plotone di esecuzione partigiano.
Dice l'autore su Valenti: Osvaldo, l'aristocratico antiborghese, futurista apolitico e contestatore pere istinto, sfiorato dai fermenti dell'avanguardia culturale, assomigliava a centinaia di giovani che nell'Europa attraversata dalle "rivoluzioni" – quella sovietica e quelle nazionalsocialiste e fascista – alzavano le spalle davanti all'uomo-massa e diventavano campioni di individualismo dorato. In più, nelle vene di Osvaldo bruciava, rispetto ai suoi coetanei, la febbre esibizionista dell'attore. (Pag.48). Tanto esibizionista e bisognoso di successo che non esitò un attimo, alla proposta di JunioValerio Borghese, capo della Decima MAS (inizialmente unità speciale della Regia Marina italiana ma poi, sciolta dopo l'8 settembre, riorganizzata come corpo militare indipendente che combatteva sotto le bandiere della Repubblica Sociale), di entrare a far parte dell'organizzazione come militare perché dopo l'eclissi del regime lui non aveva alzato le mani, non aveva ceduto Pag.172).
Luisa Ferida, secondo le stesse parole di Valenti, era una creatura debole che non sapeva cosa dire e cosa pensare, un corpo senza cervello, una persona prevedibile (Pag.170).
Moscati, nella ricostruzione di questa vicenda che, da più di sessant'anni, e periodicamente, risorge ad emblema di una contrapposizione ideologica, si muove con passi sicuri nella direzione di una parziale assoluzione dei due. Della Ferida ci da un'immagine effettivamente scialba, tranne la constatazione di un discreto talento attoriale, presa da un gioco più grande di lei e assolutamente incapace di determinare responsabilità ed atteggiamenti. Più cinica ed ambigua appare la figura di Valenti, individualista sì, ma ferma nelle sue scelte prima fasciste e poi repubblichine.
Certo, la fine dei due dipese dalla frequentazione di Villa Triste, la villa milanese di San Siro, in via Paolo Uccello, dove Pietro Koch, comandante del reparto speciale di polizia, torturava ed uccideva oppositori di regime e partigiani. Villa che servì come strumento per l'ultimo tentativo dei due di non lasciarsi travolgere dagli avvenimenti, ma soprattutto di non dover abbandonare il magico mondo del cinema. A Villa Triste (...) avevano rabbrividito per i lamenti che salivano dall'imbuto dell'orrore in fondo al quale si trovavano le celle dei prigionieri (Pag.225). Ma nello stesso tempo si legge: Quella notte la coppia dormì nella villa. E ci tornò spesso. (Pag.197).
Lo abbiamo detto, la vicenda conserva ancora pruriginose ambiguità (per dirne un'altra: il Dizionario della Resistenza – Einaudi – riporta la voce di Alida Valli, collega dei due, ma non quelle di Ferida e Valenti). Ci sembra perfetta come considerazione quella riportata da Giorgio Bocca che affermò che erano due piccole persone, sulle quali non reggono interpretazioni troppo sofisticate, troppo sottili(Pag.230). C'è il rischio che nel calderone della tanta decantata "riconciliazione" storica finisca anche la vicenda dei due attori. Non ce ne vogliano i "costruttori di pace" alla Violante, ma in noi l'"assillo"di determinare la giustezza di alcune scelte è ancora viva. Forse deve cambiare la visuale degli eventi e la relativa proporzione delle risposte. Tanto per farla breve: i due, pur con le loro responsabilità – nemmeno equamente suddivise – non meritavano la fucilazione. Come loro, sedotti dal regime (e poi quando questo crollato e sopravvissuti, pronti a saltare sul carro dei vincitori) e dalle opportunità che offriva, ne era pieno il Paese.
Moscati tenta, col libro, anche la carta della seduzione del "setting": nella tragedia e nel dramma, una rivisitazione dei luoghi suggestivi del cinema e qualche sfizioso "gossip" d'altri tempi (esilarante quello su Andrea Checchi). Per coronare un testo "svelto" ed accattivante. Nonostante il sangue versato.
di Alfredo Ronci
Certamente no, potrei rispondere, ma forse troppo per "meritare" una fucilazione.
Dunque, la tesi assolutoria di alcuni storici, in qualche modo, è anche di Italo Moscati, esperto di cinema, sceneggiatore, anche docente universitario.
Andiamo con ordine. Chi erano Luisa Ferida e Osvaldo Valenti? Due attori famosissimi della Cinecittà degli anni '30 e dei primi anni '40 (nel 1943, in concomitanza col declino di Mussolini, gran parte delle strutture cinematografiche furono portate a Venezia) che di fronte alla scelta di "da che parte stare" dopo l'8 settembre optarono per la repubblica di Salò per poi finire davanti ad un plotone di esecuzione partigiano.
Dice l'autore su Valenti: Osvaldo, l'aristocratico antiborghese, futurista apolitico e contestatore pere istinto, sfiorato dai fermenti dell'avanguardia culturale, assomigliava a centinaia di giovani che nell'Europa attraversata dalle "rivoluzioni" – quella sovietica e quelle nazionalsocialiste e fascista – alzavano le spalle davanti all'uomo-massa e diventavano campioni di individualismo dorato. In più, nelle vene di Osvaldo bruciava, rispetto ai suoi coetanei, la febbre esibizionista dell'attore. (Pag.48). Tanto esibizionista e bisognoso di successo che non esitò un attimo, alla proposta di JunioValerio Borghese, capo della Decima MAS (inizialmente unità speciale della Regia Marina italiana ma poi, sciolta dopo l'8 settembre, riorganizzata come corpo militare indipendente che combatteva sotto le bandiere della Repubblica Sociale), di entrare a far parte dell'organizzazione come militare perché dopo l'eclissi del regime lui non aveva alzato le mani, non aveva ceduto Pag.172).
Luisa Ferida, secondo le stesse parole di Valenti, era una creatura debole che non sapeva cosa dire e cosa pensare, un corpo senza cervello, una persona prevedibile (Pag.170).
Moscati, nella ricostruzione di questa vicenda che, da più di sessant'anni, e periodicamente, risorge ad emblema di una contrapposizione ideologica, si muove con passi sicuri nella direzione di una parziale assoluzione dei due. Della Ferida ci da un'immagine effettivamente scialba, tranne la constatazione di un discreto talento attoriale, presa da un gioco più grande di lei e assolutamente incapace di determinare responsabilità ed atteggiamenti. Più cinica ed ambigua appare la figura di Valenti, individualista sì, ma ferma nelle sue scelte prima fasciste e poi repubblichine.
Certo, la fine dei due dipese dalla frequentazione di Villa Triste, la villa milanese di San Siro, in via Paolo Uccello, dove Pietro Koch, comandante del reparto speciale di polizia, torturava ed uccideva oppositori di regime e partigiani. Villa che servì come strumento per l'ultimo tentativo dei due di non lasciarsi travolgere dagli avvenimenti, ma soprattutto di non dover abbandonare il magico mondo del cinema. A Villa Triste (...) avevano rabbrividito per i lamenti che salivano dall'imbuto dell'orrore in fondo al quale si trovavano le celle dei prigionieri (Pag.225). Ma nello stesso tempo si legge: Quella notte la coppia dormì nella villa. E ci tornò spesso. (Pag.197).
Lo abbiamo detto, la vicenda conserva ancora pruriginose ambiguità (per dirne un'altra: il Dizionario della Resistenza – Einaudi – riporta la voce di Alida Valli, collega dei due, ma non quelle di Ferida e Valenti). Ci sembra perfetta come considerazione quella riportata da Giorgio Bocca che affermò che erano due piccole persone, sulle quali non reggono interpretazioni troppo sofisticate, troppo sottili(Pag.230). C'è il rischio che nel calderone della tanta decantata "riconciliazione" storica finisca anche la vicenda dei due attori. Non ce ne vogliano i "costruttori di pace" alla Violante, ma in noi l'"assillo"di determinare la giustezza di alcune scelte è ancora viva. Forse deve cambiare la visuale degli eventi e la relativa proporzione delle risposte. Tanto per farla breve: i due, pur con le loro responsabilità – nemmeno equamente suddivise – non meritavano la fucilazione. Come loro, sedotti dal regime (e poi quando questo crollato e sopravvissuti, pronti a saltare sul carro dei vincitori) e dalle opportunità che offriva, ne era pieno il Paese.
Moscati tenta, col libro, anche la carta della seduzione del "setting": nella tragedia e nel dramma, una rivisitazione dei luoghi suggestivi del cinema e qualche sfizioso "gossip" d'altri tempi (esilarante quello su Andrea Checchi). Per coronare un testo "svelto" ed accattivante. Nonostante il sangue versato.
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