RECENSIONI
Tristan Corbière
Gli amori gialli
Edizioni il foglio clandestino, Pag.275 Euro 15,00
E' proprio vero. Abbiamo sempre più bisogno di eroi. Ma non di eroi muscolari, che i tempi di Rambo e Rocky sono finiti, ma di quelle 'creature' che hanno (o hanno avuto) un'idea del mondo lontana dalla consuetudine e dalla normalizzazione che si è sempre tentato di imporre nel corso dei secoli e lontano dal troppo rumore per nulla.
E credo ormai che anche gli editori, piccoli e grossi, sempre alla ricerca del colpaccio, o quanto meno del titolo di cui fregiarsi vita natural durante, col lumicino vadano a scavare negli anfratti del tempo nel tentativo di riportare fuori qualcosa che possa lasciare il segno in questa contemporaneità leggera ed intangibile.
Quanti di noi possono dire di conoscere Tristan Corbière? A dir la verità, se si fanno delle ricerche, vien fuori che qualche sant'uomo di intellettuale, anche nostrano - in tempi non sospetti, cioè lontani dalla mania tutta moderna di cercare santi, poeti e navigatori che non abbiano l'aura tremebonda della nullità - l'abbia frequentato perché Gli amori gialli non passasse inosservato.
Si diceva appunto Corbière, poeta dall'esistenza rapida, morì di tisi a trent'anni, e scostante e non priva di incontri. Come dice l'introduzione: votato furiosamente al mare che solcava solo quand'era in tempesta, incredibilmente focoso sulla più focosa delle cavalle.
Della sua poesia si fanno cenni molto più concreti e classici. Cioè: addirittura Omero, ma anche Goethe e naturalmente la poesia francese della sua contemporaneità a cominciare da Verlaine.
Spiace, purtroppo, che nella unicità di questa opera (fu davvero l'unico libro di poesie di Corbière, pubblicato a spese del padre dai fratelli Glady nel 1873) non si riesca a cogliere l'essenza della stessa: vuoi per una mancanza, quasi criminale, di qualsivoglia nota che in parte bilanci l'eterogeneità del verso e dei riferimenti, vuoi per le scarse notizie sull'autore (per carità, lo si riesce a collocare sia storicamente sia in quel limbo del maledettismo d'elezione che poi non si sa fino a che punto possa far gioco).
E allora, privi quasi di strumenti di comprensione, nel tuffarci nella lettura cogliamo quel po' che la nostra coscienza e l'idea che ci siamo fatti della poesia ci fa apprezzare. Ed è soprattutto nei riferimenti autobiografici che si capisce la smania di vivere del poeta, questa sua apparente dinamicità dell'esistenza che nascondeva poi un'arrendevolezza autolesionista.
S'ammazzò per smania, o morì di malavoglia.
Se vive è per dimenticare, il suo lascito è questo.
Oppure:
Non ho padrona... e non sono quel che si dice un bel cane.
Oppure:
Mestiere! Mestiere di vivere.
Chiuso, la disamina è finita.
Mestiere: che rima con finire!...
E' tutta questione di abitudini.
Ma in questi casi, più ancora di altri, spetta al lettore singolo districarsi tra i canti e la disperazione. Alla ricerca di un verso che più s'attanagli al proprio sentire, se non addirittura alla propria angoscia di esistere.
di Alfredo Ronci
E credo ormai che anche gli editori, piccoli e grossi, sempre alla ricerca del colpaccio, o quanto meno del titolo di cui fregiarsi vita natural durante, col lumicino vadano a scavare negli anfratti del tempo nel tentativo di riportare fuori qualcosa che possa lasciare il segno in questa contemporaneità leggera ed intangibile.
Quanti di noi possono dire di conoscere Tristan Corbière? A dir la verità, se si fanno delle ricerche, vien fuori che qualche sant'uomo di intellettuale, anche nostrano - in tempi non sospetti, cioè lontani dalla mania tutta moderna di cercare santi, poeti e navigatori che non abbiano l'aura tremebonda della nullità - l'abbia frequentato perché Gli amori gialli non passasse inosservato.
Si diceva appunto Corbière, poeta dall'esistenza rapida, morì di tisi a trent'anni, e scostante e non priva di incontri. Come dice l'introduzione: votato furiosamente al mare che solcava solo quand'era in tempesta, incredibilmente focoso sulla più focosa delle cavalle.
Della sua poesia si fanno cenni molto più concreti e classici. Cioè: addirittura Omero, ma anche Goethe e naturalmente la poesia francese della sua contemporaneità a cominciare da Verlaine.
Spiace, purtroppo, che nella unicità di questa opera (fu davvero l'unico libro di poesie di Corbière, pubblicato a spese del padre dai fratelli Glady nel 1873) non si riesca a cogliere l'essenza della stessa: vuoi per una mancanza, quasi criminale, di qualsivoglia nota che in parte bilanci l'eterogeneità del verso e dei riferimenti, vuoi per le scarse notizie sull'autore (per carità, lo si riesce a collocare sia storicamente sia in quel limbo del maledettismo d'elezione che poi non si sa fino a che punto possa far gioco).
E allora, privi quasi di strumenti di comprensione, nel tuffarci nella lettura cogliamo quel po' che la nostra coscienza e l'idea che ci siamo fatti della poesia ci fa apprezzare. Ed è soprattutto nei riferimenti autobiografici che si capisce la smania di vivere del poeta, questa sua apparente dinamicità dell'esistenza che nascondeva poi un'arrendevolezza autolesionista.
S'ammazzò per smania, o morì di malavoglia.
Se vive è per dimenticare, il suo lascito è questo.
Oppure:
Non ho padrona... e non sono quel che si dice un bel cane.
Oppure:
Mestiere! Mestiere di vivere.
Chiuso, la disamina è finita.
Mestiere: che rima con finire!...
E' tutta questione di abitudini.
Ma in questi casi, più ancora di altri, spetta al lettore singolo districarsi tra i canti e la disperazione. Alla ricerca di un verso che più s'attanagli al proprio sentire, se non addirittura alla propria angoscia di esistere.
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