RECENSIONI
Gianfranco Manfredi
Ho freddo
Gargoyle books, Pag. 546 Euro 16,00
Mi si dice storie di vampiri; mi si suggerisce tra Poe, Polidori e Lovecraft; si bisbiglia di atmosfere gotiche: perbacco! In un'epoca di letteratura giovanilistica con supercazzole merceologiche e di noir in salsa camorristica (vedi te che Meridiano zero ha capito tutto della vita!), vicende simili meriterebbero pure le pagine culturali de La Repubblica.
Vero è che sta tornando di moda il vampiro (nelle sale c'è Twilight, sorta, pensiamo, di tremetrisoprailcielo fantastico e falsamente libidinoso), e mi chiedo perché di questa recidiva: tant'è.
Manfredi lo si conosce: il suo passato, le sue passioni e il suo modus operandi testimoniano di un impegno al di là dei facili segnali commerciali. Dunque questo non è un libro prevedibile, tutt'altro.
E sta a noi cercar di decifrarlo. E non mi piace la cifra che gli dà la prefazione, pur se curata dalla Lipperini.
Perché non mi piace il senso superomistico del futuro. Si dice in conclusione: E oggi che la scienza ci dice che abbiamo i mezzi per non morire, il fascino dei vampiri è quello della nostra potenziale non morte. De te fabula narratur, come sempre.
Devo essermi perso qualcosa in questi ultimi anni se non ho colto la notizia che abbiamo i mezzi per non morire.
Falso questo (e pure pericoloso affermarlo) e falsa la questione dei vampiri.
Mi assumo tutte le responsabilità: Ho freddo non è un libro sui vampiri, non c'entra un cazzo Dracula (sì lo so esagero sempre) e i suoi epigoni. Al massimo può entrarci Poe (pochino) la Radcliffe (pochino), il gotico in generale ed il senso del progresso.
Perché su quest'ultimo vorrei soffermarmi: il libro è disamina più che dei successi della medicina, dei suoi misfatti. I personaggi principale della storia, Aline e Valcour de Valmont (grazie Manfredi per averci suggerito che il richiamo a de Laclos è pertinente) sono medici e lavorano di fino, ma peccano, come è logico e prevedibile visto che siamo a cavallo tra il settecento e l'ottocento, di ingenuità ancor mischiate a pregiudizi e superstizioni (ma Aline ha davvero qualcosa in più).
E le malattie che tentano di curare (scambiate dai poveri di spirito come prova dell'esistenza dei vampiri), come depressione, follia e sì, diciamocelo, prodromi dell'Aids sono enfatizzati e non capiti a fondo. Come ora, come ai nostri tempi.
Ecco il fallimento al centro della questio: altro che mezzi per non morire. Dice ad un certo punto Aline: La verità non abita necessariamente nel consesso scientifico. E' sotto i nostri occhi (Pag. 353). Facciamole un monumento (facciamolo a Manfredi che l'ha fatta parlare a quel modo): non è la medicina in quanto tale a dare risposte, ma la sua cugina più povera: l'epidemiologia. O meglio, che il cammino delle due discipline sia parallelo.
Questo è il nocciolo, perché se il libro parla di depressione, di ansie e come si diceva esagerando, di Aids ne parla caricando i toni, ma ignorando la vera realtà ed il vissuto (Aline enfatizza le sue scoperte e l'importanza di certi segnali, ma cogliendo in parte i veri: Veicolo d'infezione –Fiato, Sangue, Sperma, Umori corporei, Deiezioni. Fin troppo ovvio – Pag.399). Sbagliando appunto.
Ho freddo è un gagliardo affresco storico, con riferimenti davvero 'storici', e traccia finalmente una linea di demarcazione tra opera finalizzata al divertimento e alla fabbrica delle sciocchezzuole – perché spesso la letteratura fantastica questo è - e l'impegno vero e proprio.
Non so come la pensi Manfredi sui problemi che ha sollevato (anche troppi, se vogliamo): ci basta e ci avanza che su una falsa storia di vampiri abbia inserito una chiave di lettura finalmente diversa, soltanto da alcuni, in passato, sfiorata.
Che poi nel finale ci racconti pure la nascita, crescita e sviluppo del romanzo può anche interessare, ma non sposta di una virgola il senso ultimo dell'operazione. Che noi crediamo la riconsiderazione del progresso e di certe 'pratiche' sconsideratamente definite scientifiche. Alla Lipperini che invece vuole 'non morire' consigliamo la vecchia clinica 'Quisisana'. Funziona sempre. Garantisco.
di Alfredo Ronci
Vero è che sta tornando di moda il vampiro (nelle sale c'è Twilight, sorta, pensiamo, di tremetrisoprailcielo fantastico e falsamente libidinoso), e mi chiedo perché di questa recidiva: tant'è.
Manfredi lo si conosce: il suo passato, le sue passioni e il suo modus operandi testimoniano di un impegno al di là dei facili segnali commerciali. Dunque questo non è un libro prevedibile, tutt'altro.
E sta a noi cercar di decifrarlo. E non mi piace la cifra che gli dà la prefazione, pur se curata dalla Lipperini.
Perché non mi piace il senso superomistico del futuro. Si dice in conclusione: E oggi che la scienza ci dice che abbiamo i mezzi per non morire, il fascino dei vampiri è quello della nostra potenziale non morte. De te fabula narratur, come sempre.
Devo essermi perso qualcosa in questi ultimi anni se non ho colto la notizia che abbiamo i mezzi per non morire.
Falso questo (e pure pericoloso affermarlo) e falsa la questione dei vampiri.
Mi assumo tutte le responsabilità: Ho freddo non è un libro sui vampiri, non c'entra un cazzo Dracula (sì lo so esagero sempre) e i suoi epigoni. Al massimo può entrarci Poe (pochino) la Radcliffe (pochino), il gotico in generale ed il senso del progresso.
Perché su quest'ultimo vorrei soffermarmi: il libro è disamina più che dei successi della medicina, dei suoi misfatti. I personaggi principale della storia, Aline e Valcour de Valmont (grazie Manfredi per averci suggerito che il richiamo a de Laclos è pertinente) sono medici e lavorano di fino, ma peccano, come è logico e prevedibile visto che siamo a cavallo tra il settecento e l'ottocento, di ingenuità ancor mischiate a pregiudizi e superstizioni (ma Aline ha davvero qualcosa in più).
E le malattie che tentano di curare (scambiate dai poveri di spirito come prova dell'esistenza dei vampiri), come depressione, follia e sì, diciamocelo, prodromi dell'Aids sono enfatizzati e non capiti a fondo. Come ora, come ai nostri tempi.
Ecco il fallimento al centro della questio: altro che mezzi per non morire. Dice ad un certo punto Aline: La verità non abita necessariamente nel consesso scientifico. E' sotto i nostri occhi (Pag. 353). Facciamole un monumento (facciamolo a Manfredi che l'ha fatta parlare a quel modo): non è la medicina in quanto tale a dare risposte, ma la sua cugina più povera: l'epidemiologia. O meglio, che il cammino delle due discipline sia parallelo.
Questo è il nocciolo, perché se il libro parla di depressione, di ansie e come si diceva esagerando, di Aids ne parla caricando i toni, ma ignorando la vera realtà ed il vissuto (Aline enfatizza le sue scoperte e l'importanza di certi segnali, ma cogliendo in parte i veri: Veicolo d'infezione –Fiato, Sangue, Sperma, Umori corporei, Deiezioni. Fin troppo ovvio – Pag.399). Sbagliando appunto.
Ho freddo è un gagliardo affresco storico, con riferimenti davvero 'storici', e traccia finalmente una linea di demarcazione tra opera finalizzata al divertimento e alla fabbrica delle sciocchezzuole – perché spesso la letteratura fantastica questo è - e l'impegno vero e proprio.
Non so come la pensi Manfredi sui problemi che ha sollevato (anche troppi, se vogliamo): ci basta e ci avanza che su una falsa storia di vampiri abbia inserito una chiave di lettura finalmente diversa, soltanto da alcuni, in passato, sfiorata.
Che poi nel finale ci racconti pure la nascita, crescita e sviluppo del romanzo può anche interessare, ma non sposta di una virgola il senso ultimo dell'operazione. Che noi crediamo la riconsiderazione del progresso e di certe 'pratiche' sconsideratamente definite scientifiche. Alla Lipperini che invece vuole 'non morire' consigliamo la vecchia clinica 'Quisisana'. Funziona sempre. Garantisco.
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