RECENSIONI
Elio Rossi
I professionisti del potere
Chiarelettere, Pag. 195 Euro 14,00
Elio Rossi non esiste. Nom de plume, ci avverte l'editore. Come prendere un libro il cui autore è sconosciuto e dice di star dentro ai meccanismi che denuncia? Ci piacciono le persone che ci mettono nome e faccia, lo pseudonimo toglie paradossalmente un po' di credibilità all'operazione sebbene l'autore dica di muoversi nell'intento di rendere un servizio a un pubblico il più ampio possibile. Comunque la domanda è: impariamo qualcosa che non sapevamo da questo pamphlet anonimo? "Ecco come gli italiani sono comandati e da chi" è il sottotitolo. Vediamo.
I nomi son sempre gli stessi, proprio quelli che uno immagina. A parte l'Ovvio di Arcore e Mediobanca, lo IOR del Vaticano, l'Eni, Geronzi, Ligresti, De Benedetti, Telecom, D'Alema, l'UDC e la Lega che non scherza mica. Fra politici e industriali e fondazioni bancarie e amici degli amici e parentele che si scambiano i posti nei consigli di amministrazione e si passano il testimone fra un cazzeggio e l'altro, la corte si allarga a un'estesa servitù che inscena la recita della democrazia per coglionare un popolo allegro e distratto. Il conflitto di interessi, scriveva anni fa in un libro Adelphi Guido Rossi (non è che?...) è epidemico, quindi si farebbe prima a dire chi ne sta fuori. O dobbiamo ricordare i nomi degli industriali degli ultimi governi? O l'elenco di avvocati e notai e magistrati in un parlamento che ancora definiscono sovrano?
L'informazione stessa, chiave di volta senza comprendere la quale il mondo stesso in un certo senso non esiste, è basata sull'agenda setting. Il che vale a dire che è la politica a stabilire cos'è una notizia, a decidere se e quando darla, che le crea insomma, scrivendo la traccia narrativa del mondo in cui crediamo di vivere. Inventa le priorità, depista rispetto alle questioni cruciali che non sa o non vuole affrontare. Non è una grande scoperta, così come quella degli editori che sono essi stessi politici – e non ci sarebbe nemmeno bisogno di arrivare al signor B. L'idea del libro è che più o meno l'intero pianeta giornalistico italiano soggiace a uno strumentario di propaganda, di pubblicità, di fabbricazione del consenso e occultamento della verità. Visto dal retroscena di interessi vitali, quelli del padrone e quelli della servitù che finge di allestire dibattiti e in realtà sobilla opinioni e modi di pensare spacciandoli pure per "naturali", lo scenario è sconfortante ma ahimé noto. Perlopiù i giornalisti si trasformano in uffici stampa – e guai a rimproverarglielo, specie ai recensori di libri, aggiungo io. Si sono lamentati al Fatto Quotidiano di non essere stati segnalati come testata non condizionata da potentati economici – gli altri non lo hanno fatto, e uno non sa se considerarla un'ammissione di responsabilità.
Insomma, i pochi oligarchi che controllano il potere in Italia fanno e disfanno, condizionano l'intero paese, manovrano la finanza e il mercato, pilotano crisi e non ne risolvono altre perché va benissimo così. Il libro si propone dunque come testimonianza dall'interno; considera Berlusconi più un effetto di questo sistema che una causa. A parere di chi scrive, e detto fra parentesi spostando il discorso su un piano culturale, B. è entrambe le cose ma ne abbiamo abbastanza di parlarne. Andrebbe esiliato e morta lì. Ma a proposito di nomi, vale il solito suggerimento agli editori: in libri come questo un indice analitico ci starebbe sempre bene.
di Michele Lupo
I nomi son sempre gli stessi, proprio quelli che uno immagina. A parte l'Ovvio di Arcore e Mediobanca, lo IOR del Vaticano, l'Eni, Geronzi, Ligresti, De Benedetti, Telecom, D'Alema, l'UDC e la Lega che non scherza mica. Fra politici e industriali e fondazioni bancarie e amici degli amici e parentele che si scambiano i posti nei consigli di amministrazione e si passano il testimone fra un cazzeggio e l'altro, la corte si allarga a un'estesa servitù che inscena la recita della democrazia per coglionare un popolo allegro e distratto. Il conflitto di interessi, scriveva anni fa in un libro Adelphi Guido Rossi (non è che?...) è epidemico, quindi si farebbe prima a dire chi ne sta fuori. O dobbiamo ricordare i nomi degli industriali degli ultimi governi? O l'elenco di avvocati e notai e magistrati in un parlamento che ancora definiscono sovrano?
L'informazione stessa, chiave di volta senza comprendere la quale il mondo stesso in un certo senso non esiste, è basata sull'agenda setting. Il che vale a dire che è la politica a stabilire cos'è una notizia, a decidere se e quando darla, che le crea insomma, scrivendo la traccia narrativa del mondo in cui crediamo di vivere. Inventa le priorità, depista rispetto alle questioni cruciali che non sa o non vuole affrontare. Non è una grande scoperta, così come quella degli editori che sono essi stessi politici – e non ci sarebbe nemmeno bisogno di arrivare al signor B. L'idea del libro è che più o meno l'intero pianeta giornalistico italiano soggiace a uno strumentario di propaganda, di pubblicità, di fabbricazione del consenso e occultamento della verità. Visto dal retroscena di interessi vitali, quelli del padrone e quelli della servitù che finge di allestire dibattiti e in realtà sobilla opinioni e modi di pensare spacciandoli pure per "naturali", lo scenario è sconfortante ma ahimé noto. Perlopiù i giornalisti si trasformano in uffici stampa – e guai a rimproverarglielo, specie ai recensori di libri, aggiungo io. Si sono lamentati al Fatto Quotidiano di non essere stati segnalati come testata non condizionata da potentati economici – gli altri non lo hanno fatto, e uno non sa se considerarla un'ammissione di responsabilità.
Insomma, i pochi oligarchi che controllano il potere in Italia fanno e disfanno, condizionano l'intero paese, manovrano la finanza e il mercato, pilotano crisi e non ne risolvono altre perché va benissimo così. Il libro si propone dunque come testimonianza dall'interno; considera Berlusconi più un effetto di questo sistema che una causa. A parere di chi scrive, e detto fra parentesi spostando il discorso su un piano culturale, B. è entrambe le cose ma ne abbiamo abbastanza di parlarne. Andrebbe esiliato e morta lì. Ma a proposito di nomi, vale il solito suggerimento agli editori: in libri come questo un indice analitico ci starebbe sempre bene.
di Michele Lupo
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