RECENSIONI
Marcello Sorgi
Il Grande Dandy . Vita spericolata di Raimondo Lanza di Trabia, ultimo principe siciliano.
Rizzoli, Pag. 205 Euro 18,90
Raimondo Lanza di Trabia.
Pronunciato così, a freddo, questo nome può risultare altisonante, anacronistico, forse potrebbe far volare l'immaginazione fino a pensare che si tratti dello pseudonimo di qualche scrittore.
Ma Raimondo Lanza di Trabia è stato un uomo, un italiano, una vita che ha intrecciato altre vite, che si è fatto interlocutore acuto e indimenticato della nostra storia vivendola fino in fondo. Come tutta la sua avventura terrena.
Discendente dal Barbarossa e da Federico II di Svevia, ultimo principe siciliano, erede del più importante casato dell'isola, non è ricordato dai più, ma neanche dalla sua regione, dalla sua città, Palermo, che non ha intitolato una strada, un vicolo a questo spericolato nobile italiano.
Strano, anzi buffo, perché di Raimondo, permetteteci di chiamarlo per nome – non fatichiamo a credere che la cosa gli sarebbe piaciuta e che sarebbe stato un nostro lettore per molte affinità elettive reali, tra le quali la voglia di cimentarsi con il nuovo e la sconsiderata passione per il tracciarsi il destino- ne sappiamo molto grazie alla musica, grazie a una canzone che tutti sappiamo intonare, di cui ricordiamo la maggior parte delle parole.
'Vecchio Frac', quella di Domenico Modugno, del 1955, ispirata proprio alla straordinaria vita dell'amico aristocratico e avventuriero in tutti i sensi.
Il nostro nasce già contro ogni regola, dal padre Giuseppe Lanza che a venticinque anni, nel 1914, si innamora di una donna, Madda Papadopoli Aldobrandini, di sei anni più grande di lui, sposata con un noto personaggio romano e già madre di una bambina. Un amore corrisposto, che le fa abbandonare il tetto coniugale e la fa fuggire con il giovane amato, allontanato immediatamente dal casato siculo, soprattutto quando ad aggravare il fatto già increscioso di per sé era arrivata la notizia di una prossima natalità.
Al momento del suo vagito liberatorio nel nostro mondo, Raimondo si trova quindi lontano dai patrii lidi – cresce nella Villa d'Arcellasco nei pressi di Como - e impossibilitato a portare il suo vero cognome, come le leggi del tempo volevano per gli illegittimi, usando quindi quello di uno dei feudi dei Lanza cari al padre. Ginestra.
Cresce bene, forte, con le sue origini ben marcate sulla pelle scura e baciata da un sole diverso, cresce con i racconti "adulti" del padre sulla loro storia, sul lavoro, sui problemi di un'Italia che prendeva strane direzioni. Cresce con la madre che lo educa al cosmopolitismo (per tutta la sua vita non si sentirà mai uno straniero in terra straniera e con gli stranieri, volendone sapere tutto sugli usi e i costumi), a un lusso ricercato, raffinato nella sua autentica gioia di essere, soprattutto a Venezia.
Poi nel '20 a Parigi nasce il fratello Galvano e ha prima il moto di stizza di tutti verso l'ultimo arrivato e poi il giusto amore fraterno, lui insofferente a Vittorio Veneto e Venezia e più vicino a Roma, a quella città eternamente grata di essere mangiata e bevuta da chi ne calpesta le strade, quella città in cui si perdeva in barba a tutte le governanti e da cui prese la "calata" dialettale.
Umorale, estroverso, capriccioso in ogni accezione, era l'orgoglio dei genitori.
Ci piacerebbe continuare da qui, raccontarvi come è riuscito a riprendersi il cognome, a conoscere grandi nomi come Gianni Agnelli, Onassis, lo Sciá di Persia, di come abbia combattuto in Spagna, come spia, di come sia stato un infiltrato durante il fascismo, un giovane e scaltro doppiogiochista che l'avrebbe fatta in barba a qualsiasi agente numerato di Fleming, degli amori e delle passioni che ha avuto( Susanna Agnelli (Suni) o la moglie attrice Olga Villi), dei suoi scherzi, della rinascita della Targa Florio e della nascita-quando ha preso in mano il Palermo Calcio- del calcio mercato. Potremmo farlo ma c'è chi già lo ha fatto, oltre al protagonista di questo e molto altro ancora, e si chiama Marcello Sorgi, giornalista di origini palermitane e collega del La Stampa che ha scritto Il Grande Dandy . Vita spericolata di Raimondo Lanza di Trabia, ultimo principe siciliano.
Una biografia sincera, appassionante che ripercorre un passato che sembra lontano ma che in parte tutti noi avremmo voluto vivere, assaporare in qualche modo. Un libro che svela un animo entusiasta e turbolento, un uomo capace di fregiarsi del titolo di Uomo in ogni suo aspetto e estremismo sentimentale.
Quell'uomo a cui intitoliamo una strada di questo inchiostro, una piazza di un nostro foglio scritto, un vicolo di un nostro brindisi.
Libro che va dritto al cuore, che lo scalda e lo incendia, che lo fa divertire e illanguidire.
Un volo.
Breve come un battito d'ali, lungo come la picchiata di un'aquila.
di Alex Pietrogiacomi
Pronunciato così, a freddo, questo nome può risultare altisonante, anacronistico, forse potrebbe far volare l'immaginazione fino a pensare che si tratti dello pseudonimo di qualche scrittore.
Ma Raimondo Lanza di Trabia è stato un uomo, un italiano, una vita che ha intrecciato altre vite, che si è fatto interlocutore acuto e indimenticato della nostra storia vivendola fino in fondo. Come tutta la sua avventura terrena.
Discendente dal Barbarossa e da Federico II di Svevia, ultimo principe siciliano, erede del più importante casato dell'isola, non è ricordato dai più, ma neanche dalla sua regione, dalla sua città, Palermo, che non ha intitolato una strada, un vicolo a questo spericolato nobile italiano.
Strano, anzi buffo, perché di Raimondo, permetteteci di chiamarlo per nome – non fatichiamo a credere che la cosa gli sarebbe piaciuta e che sarebbe stato un nostro lettore per molte affinità elettive reali, tra le quali la voglia di cimentarsi con il nuovo e la sconsiderata passione per il tracciarsi il destino- ne sappiamo molto grazie alla musica, grazie a una canzone che tutti sappiamo intonare, di cui ricordiamo la maggior parte delle parole.
'Vecchio Frac', quella di Domenico Modugno, del 1955, ispirata proprio alla straordinaria vita dell'amico aristocratico e avventuriero in tutti i sensi.
Il nostro nasce già contro ogni regola, dal padre Giuseppe Lanza che a venticinque anni, nel 1914, si innamora di una donna, Madda Papadopoli Aldobrandini, di sei anni più grande di lui, sposata con un noto personaggio romano e già madre di una bambina. Un amore corrisposto, che le fa abbandonare il tetto coniugale e la fa fuggire con il giovane amato, allontanato immediatamente dal casato siculo, soprattutto quando ad aggravare il fatto già increscioso di per sé era arrivata la notizia di una prossima natalità.
Al momento del suo vagito liberatorio nel nostro mondo, Raimondo si trova quindi lontano dai patrii lidi – cresce nella Villa d'Arcellasco nei pressi di Como - e impossibilitato a portare il suo vero cognome, come le leggi del tempo volevano per gli illegittimi, usando quindi quello di uno dei feudi dei Lanza cari al padre. Ginestra.
Cresce bene, forte, con le sue origini ben marcate sulla pelle scura e baciata da un sole diverso, cresce con i racconti "adulti" del padre sulla loro storia, sul lavoro, sui problemi di un'Italia che prendeva strane direzioni. Cresce con la madre che lo educa al cosmopolitismo (per tutta la sua vita non si sentirà mai uno straniero in terra straniera e con gli stranieri, volendone sapere tutto sugli usi e i costumi), a un lusso ricercato, raffinato nella sua autentica gioia di essere, soprattutto a Venezia.
Poi nel '20 a Parigi nasce il fratello Galvano e ha prima il moto di stizza di tutti verso l'ultimo arrivato e poi il giusto amore fraterno, lui insofferente a Vittorio Veneto e Venezia e più vicino a Roma, a quella città eternamente grata di essere mangiata e bevuta da chi ne calpesta le strade, quella città in cui si perdeva in barba a tutte le governanti e da cui prese la "calata" dialettale.
Umorale, estroverso, capriccioso in ogni accezione, era l'orgoglio dei genitori.
Ci piacerebbe continuare da qui, raccontarvi come è riuscito a riprendersi il cognome, a conoscere grandi nomi come Gianni Agnelli, Onassis, lo Sciá di Persia, di come abbia combattuto in Spagna, come spia, di come sia stato un infiltrato durante il fascismo, un giovane e scaltro doppiogiochista che l'avrebbe fatta in barba a qualsiasi agente numerato di Fleming, degli amori e delle passioni che ha avuto( Susanna Agnelli (Suni) o la moglie attrice Olga Villi), dei suoi scherzi, della rinascita della Targa Florio e della nascita-quando ha preso in mano il Palermo Calcio- del calcio mercato. Potremmo farlo ma c'è chi già lo ha fatto, oltre al protagonista di questo e molto altro ancora, e si chiama Marcello Sorgi, giornalista di origini palermitane e collega del La Stampa che ha scritto Il Grande Dandy . Vita spericolata di Raimondo Lanza di Trabia, ultimo principe siciliano.
Una biografia sincera, appassionante che ripercorre un passato che sembra lontano ma che in parte tutti noi avremmo voluto vivere, assaporare in qualche modo. Un libro che svela un animo entusiasta e turbolento, un uomo capace di fregiarsi del titolo di Uomo in ogni suo aspetto e estremismo sentimentale.
Quell'uomo a cui intitoliamo una strada di questo inchiostro, una piazza di un nostro foglio scritto, un vicolo di un nostro brindisi.
Libro che va dritto al cuore, che lo scalda e lo incendia, che lo fa divertire e illanguidire.
Un volo.
Breve come un battito d'ali, lungo come la picchiata di un'aquila.
di Alex Pietrogiacomi
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