RECENSIONI
Emmanuel Carrère
Il Regno
Adelphi, Traduzione di Francesco Bergamasco, Pag. 430 Euro 22,00
Definire questo libro inquadrandolo in qualche genere o categoria sarebbe, più che riduttivo, impossibile. Vi si trova tutto ciò che può uscire dalla penna di un grande scrittore: autobiografia, narrativa, esegesi, storia, filosofia, analisi letteraria. E’ evidente che l’impresa lo ha coinvolto intellettualmente ed emotivamente, e questo è ciò che trasmette al lettore. La domanda per me più interessante non è però quella tendente a individuare la categoria a cui ascrivere l’opera, ma quella che individua i lettori a cui l’opera è destinata. Per arrivarci bisogna prima, ma anche questo non è cosa banale, accennare all’argomento del libro.
L’argomento è vasto eppure preciso. Si nutre di innumerevoli digressioni ma non perde mai di vista il filo conduttore. Il lettore si sente sempre accompagnato, anche se può avere talvolta l’impressione di essere condotto bendato all’interno di un labirinto. Quel che conta è che non viene mai lasciato per strada. Pur snodando il suo lavoro su molteplici piani, l’Autore fa capire subito quali sono i due principali fili conduttori: da un lato la sua personale esperienza religiosa e umana e dall’altro un’analisi che cerca di ricostruire lo sviluppo della religione cristiana a partire dalle origini. Ricorrendo a numerose fonti sacre e profane si domanda, dalla sua attuale posizione di non credente, le ragioni del successo del cristianesimo.
Il ventaglio dei possibili lettori dunque si preannunciava vario e lo è stato. Ad alcuni può interessare la sua analisi disincantata dei testi sacri, ad altri la ricostruzione dei caratteri di personaggi come Luca e Paolo, venerati come santi ma poco noti negli aspetti della loro vita quotidiana. Altri ancora saranno commossi per la sua intensa esperienza religiosa, durata solo tre anni, e da credenti si dispiaceranno per la sua conclusione; forse pregheranno per lui.
Penso che il godimento di questo libro raggiunga l’apice nelle persone che possono identificarsi nell’Autore sovrapponendo la loro esperienza alla sua: un ateo che ha conosciuto nella sua vita un periodo di fede intensa e di religiosità praticata (che non ha niente a che vedere con la fede tiepida e formale ricevuta per tradizione e abbandonata per pigrizia, comune a tanti). Una persona che ha conosciuto due punti di vista così opposti da sembrargli di aver vissuto in due mondi diversi. E che, ripensando a quella fase della sua vita, prova talvolta un senso di perversa nostalgia.
E’ così forte per lui la percezione di questa discrepanza che attribuisce allo stesso Paolo una sorta di sindrome del convertito.
Paolo non temeva soltanto le iniziative di nemici, impostori e falsari. Dobbiamo dare un altro giro di vite: Paolo temeva se stesso. (pag.182)
E se gli succedesse di ridiventare Saulo? Se, nel modo inaspettato e sorprendente in cui era diventato Paolo, diventasse un uomo diverso da Paolo? (…) (“Stai parlando di te” osserva Hervé. “Quando eri cristiano, la tua più gran paura era di diventare lo scettico che ti compiaci di essere. Ma chi ti dice non cambierai ancora? Chi ti dice che fra vent’anni non rileggerai questo libro che ti sembra così ragionevole con lo stesso imbarazzo con cui oggi rileggi i tuoi commenti al Vangelo?”) (pag.184)
Hervé, l’amico buddista, è uno dei personaggi della sua vita reale che gli fanno da controcanto. Un altro è la zia Jacqueline, donna di grande intelligenza e di intemerata fede cattolica. Ma entrano nella storia anche psicoterapeuti, bambinaie pazze e perfino Philip Dick.
Io ho letto il libro in una maniera un po’ personale: ho diluito le prime cento pagine, puramente autobiografiche, alternandole con la seconda parte, in cui ci si immerge decisamente nella storia del cristianesimo delle origini (senza che l’elemento autobiografico venga mai abbandonato del tutto, ché anzi entra come parte integrante della riflessione). E’ che non resistevo a stare a lungo lontano da quella materia appassionante che Carrère tratta da investigatore, comunicando al lettore una curiosità così intensa da tenerlo sulle spine. Buona parte del libro segue le tracce di Luca da molto prima che gli venisse in mente di scrivere il suo vangelo, e nel seguirlo incontra subito Paolo, di cui Luca era discepolo. Qui emerge un ritratto di Paolo così intenso e umano, con i suoi slanci e il suo carattere irruento e spigoloso, da dare origine a pagine di grande bellezza.
Con molta onestà l’Autore parla delle sue fonti spiegando i criteri, spesso anche molto personali, con cui ne valuta l’autenticità. Per esempio il criterio dell’episodio imbarazzante o del dettaglio inutilmente preciso, due elementi che ritiene indice di veridicità. Là dove incontra dei buchi, come periodi di tempo non documentati o dettagli omessi, si abbandona, avvertendone il lettore, alla sua vena creativa. Utilizzando gli elementi noti e aiutandosi con tutto quello che può intuire sulle situazioni e sui caratteri dei personaggi, mette in scena con grande vivacità ed empatia le azioni che immagina per loro.
Partendo dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere, ricostruendo la nascita dei Vangeli e indagando il mistero dell’Apocalisse, Carrère sfata il mito di una Chiesa delle origini unita e compatta, e traccia il quadro di un lacerante conflitto fra le chiese d’oriente, fondate da Paolo, e la Chiesa di Gerusalemme, con Pietro Giacomo e Giovanni, da cui deriverà poi quella di Roma. Paolo predica partendo dal mistero della Resurrezione e dell’avvento del Regno, e azzerando tutto il resto (la circoncisione in primis) mentre gli altri apostoli vorrebbero innestare la nuova predicazione sulla tradizione della Legge ebraica. Addirittura Carrère legge l’Apocalisse alla luce di questo dissidio, individuando negli anatemi più minacciosi una diffida ai seguaci di Paolo.
Le oltre 400 pagine di questo libro sono dense di fatti e di considerazioni con cui i fatti vengono analizzati insieme alle fonti da cui sono tratti. Vi si trovano dentro molte pagine di storia con i loro protagonisti: imperatori romani, governatori delle province, sacerdoti e profeti di Israele, apostoli e soldati. Carrère è uno studioso attento, ma la sua scrupolosità non attenua mai, dico mai, la sua felice vena narrativa. E dunque il libro è godibile fin nei suoi minimi dettagli.
di Giovanna Repetto
L’argomento è vasto eppure preciso. Si nutre di innumerevoli digressioni ma non perde mai di vista il filo conduttore. Il lettore si sente sempre accompagnato, anche se può avere talvolta l’impressione di essere condotto bendato all’interno di un labirinto. Quel che conta è che non viene mai lasciato per strada. Pur snodando il suo lavoro su molteplici piani, l’Autore fa capire subito quali sono i due principali fili conduttori: da un lato la sua personale esperienza religiosa e umana e dall’altro un’analisi che cerca di ricostruire lo sviluppo della religione cristiana a partire dalle origini. Ricorrendo a numerose fonti sacre e profane si domanda, dalla sua attuale posizione di non credente, le ragioni del successo del cristianesimo.
Il ventaglio dei possibili lettori dunque si preannunciava vario e lo è stato. Ad alcuni può interessare la sua analisi disincantata dei testi sacri, ad altri la ricostruzione dei caratteri di personaggi come Luca e Paolo, venerati come santi ma poco noti negli aspetti della loro vita quotidiana. Altri ancora saranno commossi per la sua intensa esperienza religiosa, durata solo tre anni, e da credenti si dispiaceranno per la sua conclusione; forse pregheranno per lui.
Penso che il godimento di questo libro raggiunga l’apice nelle persone che possono identificarsi nell’Autore sovrapponendo la loro esperienza alla sua: un ateo che ha conosciuto nella sua vita un periodo di fede intensa e di religiosità praticata (che non ha niente a che vedere con la fede tiepida e formale ricevuta per tradizione e abbandonata per pigrizia, comune a tanti). Una persona che ha conosciuto due punti di vista così opposti da sembrargli di aver vissuto in due mondi diversi. E che, ripensando a quella fase della sua vita, prova talvolta un senso di perversa nostalgia.
E’ così forte per lui la percezione di questa discrepanza che attribuisce allo stesso Paolo una sorta di sindrome del convertito.
Paolo non temeva soltanto le iniziative di nemici, impostori e falsari. Dobbiamo dare un altro giro di vite: Paolo temeva se stesso. (pag.182)
E se gli succedesse di ridiventare Saulo? Se, nel modo inaspettato e sorprendente in cui era diventato Paolo, diventasse un uomo diverso da Paolo? (…) (“Stai parlando di te” osserva Hervé. “Quando eri cristiano, la tua più gran paura era di diventare lo scettico che ti compiaci di essere. Ma chi ti dice non cambierai ancora? Chi ti dice che fra vent’anni non rileggerai questo libro che ti sembra così ragionevole con lo stesso imbarazzo con cui oggi rileggi i tuoi commenti al Vangelo?”) (pag.184)
Hervé, l’amico buddista, è uno dei personaggi della sua vita reale che gli fanno da controcanto. Un altro è la zia Jacqueline, donna di grande intelligenza e di intemerata fede cattolica. Ma entrano nella storia anche psicoterapeuti, bambinaie pazze e perfino Philip Dick.
Io ho letto il libro in una maniera un po’ personale: ho diluito le prime cento pagine, puramente autobiografiche, alternandole con la seconda parte, in cui ci si immerge decisamente nella storia del cristianesimo delle origini (senza che l’elemento autobiografico venga mai abbandonato del tutto, ché anzi entra come parte integrante della riflessione). E’ che non resistevo a stare a lungo lontano da quella materia appassionante che Carrère tratta da investigatore, comunicando al lettore una curiosità così intensa da tenerlo sulle spine. Buona parte del libro segue le tracce di Luca da molto prima che gli venisse in mente di scrivere il suo vangelo, e nel seguirlo incontra subito Paolo, di cui Luca era discepolo. Qui emerge un ritratto di Paolo così intenso e umano, con i suoi slanci e il suo carattere irruento e spigoloso, da dare origine a pagine di grande bellezza.
Con molta onestà l’Autore parla delle sue fonti spiegando i criteri, spesso anche molto personali, con cui ne valuta l’autenticità. Per esempio il criterio dell’episodio imbarazzante o del dettaglio inutilmente preciso, due elementi che ritiene indice di veridicità. Là dove incontra dei buchi, come periodi di tempo non documentati o dettagli omessi, si abbandona, avvertendone il lettore, alla sua vena creativa. Utilizzando gli elementi noti e aiutandosi con tutto quello che può intuire sulle situazioni e sui caratteri dei personaggi, mette in scena con grande vivacità ed empatia le azioni che immagina per loro.
Partendo dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere, ricostruendo la nascita dei Vangeli e indagando il mistero dell’Apocalisse, Carrère sfata il mito di una Chiesa delle origini unita e compatta, e traccia il quadro di un lacerante conflitto fra le chiese d’oriente, fondate da Paolo, e la Chiesa di Gerusalemme, con Pietro Giacomo e Giovanni, da cui deriverà poi quella di Roma. Paolo predica partendo dal mistero della Resurrezione e dell’avvento del Regno, e azzerando tutto il resto (la circoncisione in primis) mentre gli altri apostoli vorrebbero innestare la nuova predicazione sulla tradizione della Legge ebraica. Addirittura Carrère legge l’Apocalisse alla luce di questo dissidio, individuando negli anatemi più minacciosi una diffida ai seguaci di Paolo.
Le oltre 400 pagine di questo libro sono dense di fatti e di considerazioni con cui i fatti vengono analizzati insieme alle fonti da cui sono tratti. Vi si trovano dentro molte pagine di storia con i loro protagonisti: imperatori romani, governatori delle province, sacerdoti e profeti di Israele, apostoli e soldati. Carrère è uno studioso attento, ma la sua scrupolosità non attenua mai, dico mai, la sua felice vena narrativa. E dunque il libro è godibile fin nei suoi minimi dettagli.
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Adelphi, Pag.267 Euro 20.00Personalmente ho un rapporto conflittuale con Carrère. Ho cominciato a seguirlo quasi subito, soprattutto con I baffi e poi con La settimana bianca. In seguito, come si suol dire, mi sono arenato, e nemmeno l’insistenza di una mia amica a farmi leggere Limonov e ancora di più Il regno mi hanno convinto del contrario.
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