RECENSIONI
Lucia Puenzo
Il bambino pesce
laNuovafrontiera, Pag. 155 Euro 15,00
Distinguo: non mi piace un libro quando l'autore scimmiotta uno stile che non gli appartiene. E preciso: vi ricordate Il giovane Holden? Beh Salinger, per rendere più credibile la materia, raccontava le vicissitudini del protagonista adottando un modo di pensare e ragionare tipico dell'età del suo personaggio . Per carità, lecito, dovuto, sacrosanto e per nulla condannabile, ma c'è il rischio comunque che la differenza d'età e di sovrapposizioni culturali innesti un meccanismo per cui la riuscita dell'operazione (ecco, parola questa che per un romanzo, quando è chiara la sua composizione, mi fa venire l'orticaria) sia parziale se non addirittura risibile. Personalmente non ho mai amato Il giovane Holden – probabile pur per motivi diversi – anche se bisogna ammettere che altre storie che hanno adottato quella 'mano' hanno avuto esiti positivi (mi vien da pensare per esempio all'ultimo romanzo della Pavignano, In bilico sul mare).
Preambolo necessario per parlare de Il bambino pesce della scrittrice, sceneggiatrice e regista argentina Lucia Puenzo. Necessario perché a raccontare la storia d'amore tra Lala, una ragazza bene della Buenos Aires più borghese e Guay, una bellissima cameriera paraguayana assunta dalla famiglia Bronte è un cane (fate attenzione alla copertina: sullo sfondo chiaro la silhouette dell'animale si staglia precisa e netta).
Lo ammetto: ho provato un certo fastidio per i motivi di cui sopra e anche perché passi che a parlottar di trame sia un essere umano, ma quando è un animale mi sopraggiunge un malessere vero e proprio (rimedio a volte col confronto cinematografico, con l'antropomorfizzazione degli eroi cartonati e dell'ideologia disneyana. In fondo perché amare Ratatouille e poi magari disprezzare un quattrozampe che discetta di amori saffici?).
Nel caso de Il bambino pesce fortuna ha voluto che la 'poetica' drammatizzazione degli eventi ha in qualche modo relegato in secondo piano la 'presenza' del cane e l'innesto, davvero riuscito, della leggenda appunto del bambino pesce – si narra che Guay abbia partorito nell'acqua e che da questa acqua l'infante non sia mai uscito, ma abbia trovato la sua dimensione più naturale – ha trasformato una storia al limite della credibilità in uno spaccato tragico delle relazioni umane.
Non sto a raccontar finali: basti sapere della riuscita di un personaggio come Lala, sentimentalmente ancorata ad un amore che non vuole spegnersi, ad una passione che trascende qualsiasi imperfezione e qualsiasi ostacolo e che trova la propria realizzazione nel momento stesso in cui diventa più difficile ed insopportabile.
Mai però le cose sono identiche. Guay forse è già lontana: In realtà erano estranee. Innamorate di un ricordo che non era nient'altro che quello. Mentre la corriera si avvicinava alla frontiera l'aria si caricò di incoscienti echi di un sonno altrui, un fluido nel quale, alla fine, tutti sogniamo la stessa cosa.
Poetico.
di Alfredo Ronci
Preambolo necessario per parlare de Il bambino pesce della scrittrice, sceneggiatrice e regista argentina Lucia Puenzo. Necessario perché a raccontare la storia d'amore tra Lala, una ragazza bene della Buenos Aires più borghese e Guay, una bellissima cameriera paraguayana assunta dalla famiglia Bronte è un cane (fate attenzione alla copertina: sullo sfondo chiaro la silhouette dell'animale si staglia precisa e netta).
Lo ammetto: ho provato un certo fastidio per i motivi di cui sopra e anche perché passi che a parlottar di trame sia un essere umano, ma quando è un animale mi sopraggiunge un malessere vero e proprio (rimedio a volte col confronto cinematografico, con l'antropomorfizzazione degli eroi cartonati e dell'ideologia disneyana. In fondo perché amare Ratatouille e poi magari disprezzare un quattrozampe che discetta di amori saffici?).
Nel caso de Il bambino pesce fortuna ha voluto che la 'poetica' drammatizzazione degli eventi ha in qualche modo relegato in secondo piano la 'presenza' del cane e l'innesto, davvero riuscito, della leggenda appunto del bambino pesce – si narra che Guay abbia partorito nell'acqua e che da questa acqua l'infante non sia mai uscito, ma abbia trovato la sua dimensione più naturale – ha trasformato una storia al limite della credibilità in uno spaccato tragico delle relazioni umane.
Non sto a raccontar finali: basti sapere della riuscita di un personaggio come Lala, sentimentalmente ancorata ad un amore che non vuole spegnersi, ad una passione che trascende qualsiasi imperfezione e qualsiasi ostacolo e che trova la propria realizzazione nel momento stesso in cui diventa più difficile ed insopportabile.
Mai però le cose sono identiche. Guay forse è già lontana: In realtà erano estranee. Innamorate di un ricordo che non era nient'altro che quello. Mentre la corriera si avvicinava alla frontiera l'aria si caricò di incoscienti echi di un sonno altrui, un fluido nel quale, alla fine, tutti sogniamo la stessa cosa.
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