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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

George R.R. Martin

Il battello del delirio

Gargoyle books, Pag. 393 Euro 18,00
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Ho visto il modo in cui vi muovete guerra fra voi stessi, ho letto di Vlad Tepes – che non era uno di noi, per inciso - , di Caligola e di altri grandi re; ho visto uomini della vostra stirpe bruciare vive delle donne soltanto perché sospettate di essere come noi, e qui, a New Orleans, ho visto il modo in cui riducete in schiavitù i vostri stessi simili. Vi ho visto frustarli e venderli come animali soltanto per via del colore della loro pelle...

Chi parla è un vampiro che porta avanti le sue ragioni di fronte ad un 'umano' che gli contesta la violenza sanguinaria. Mi pare però che il nocciolo della questione sia altro e si possa ridurre a questo: non chi è più spietato e bestiale tra i due, ma se l'uso della 'forza' sia necessaria e risolutiva nelle dispute.

Controversia che abbiamo riscontrato, recentemente, tra un ministro, Ignazio La Russa, e il responsabile di Emergency (attenti alla dizione della seconda 'e', è preferibile pronunciarla come Charles Aznavour cantava la 'e' finale della sua Boheme), Gino Strada . L'uno indefessamente interventista, l'altro cocciutamente antimilitarista.

Scontro tra titani anche nella fraseologia e nei vocalismi: disciplinati in quest'ultimo, preda di rauchi parossismi quelli del ministro.

Il battello del delirio di George R.R. Martin, scrittore definito in terza di copertina maestro di fantasy e fantascienza, checché ne dica il buon Giuseppe Lippi nell'introduzione sì attenta, ma un po' verbosa perché ripercorre per l'ennesima volta le apparizioni dei più celebri vampiri fino ai giorni nostri (uff...), è una sorta di grido di sofferenza per le tragedie del mondo e per le persecuzioni.

Vi è, forse (il dubbio rimane quando la materia vampiresca è così vasta e a volte sfuggente) per la prima volta il tentativo di far incontrare le due genie: quella degli uomini e quell'altra no (la negazione sottintende non un disconoscimento, ma l'impossibilità a definirla umanamente), un rendez-vous decisamente più fattibile di un 'abboccamento' tra Gino Strada ed Ignazio La Russa.

Ma un vampiro che tenta una liaison col terreno è ancora credibile o forse, come dice lo stesso Lippi nell'introduzione, nel suo imborghesimento ha potuto modellarsi una maschera più simile a quella che noi stessi portiamo, un volto più terreno che lunare?

Domanda tutto sommato non squinzia: più consona ad un lettore d'altri tempi che partendo da Bram Stoker e Polidori ha attraversato tuttto lo scibile vampiresco per approdare appunto a questa sorta di 'volemose bene' universale, che agli imberbi fans di Twilight.

Il romanzo in questione è del 1982 (anche se elegantemente proposto dalla Gargoyle ai nostri giorni), quindi piuttosto lontano dal 'contemporaneo' sentire, ma nella scansione fantastica di Martin si avverte un desiderio di cambiare, come se lo scontro tra forze diverse per la conquista del mondo, si possa anche risolvere con compromessi condivisi (Martin non conosce Berlusconi e quindi ignora quel sanguigno – siamo in tema di vampiri no? – populismo che rende il nostro premier ancora più vampiresco di qualsiasi creatura notturna. E sulla condivisione delle riforme? Nemmeno a parlarne).

Il battello del delirio è buona lettura, avvincente a tratti, sesquipedale in altri, ma sufficientemente suggestiva per non deludere. Si scommette però della poca presa sul 'pargolato twilighitiano'. Bonazzi con gli addominali in vista, nonostante i vampiri siano dotati di forza erculea, nel romanzo di Martin non se ne vedono. E in tempi di 'esposizione di corpi' la cosa fa differenza.



di Alfredo Ronci


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